Shekhar Kapur
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Attività
Presentazione e critica
Shekhar Kapur firma la regia di una pellicola internazionale sulla famiglia, il matrimonio e l’intimità, sottolineando l’importanza di promuovere la cultura non occidentale. Obiettivo condiviso anche da Jemima Khan, che ne ha scritto la sceneggiatura: “Volevo fare un film che mostrasse il Pakistan in una luce più colorata, ospitale e positiva di quella che forse vediamo di solito sui nostri schermi” – ha dichiarato. Il regista era entusiasta di dirigere il progetto: “Amore e intimità: le parole più usate e allo stesso tempo più fraintese del nostro vocabolario. È questo che ho trovato esaltante: l’opportunità di esplorare questi termini in profondità, pur contenendoli in una commedia romantica” – ha spiegato.
La sceneggiatrice britannica, al suo esordio in questo ruolo, per scrivere la storia si è ispirata agli anni trascorsi immersa nella cultura pakistana quando era sposata con il giocatore di cricket Imran Khan. Durante la realizzazione Kapur e Jemina si sono confrontati molto e qualche volta anche scontrati: “Se due persone altamente creative sono sempre d’accordo, una di loro sta mentendo. La creatività nasce dal conflitto. C’è una sceneggiatura, c’è un regista e ogni attore interpreta in modo diverso”.(…)
(…) A partire da una sceneggiatura di Jemima Khan, ex moglie di Imran Khan, Shekhar Kapur affronta da una prospettiva nuova il tema dei matrimoni combinati. Nel mettere a confronto le tradizioni di una famiglia pakistana musulmana, il regista fa una lucida riflessione sull’amore ai tempi delle app di dating e sulla dialettica fra passione e pragmatismo. I protagonisti del suo film sono l’ex Cenerentola Lily James e Shazad Latif, alle prese con personaggi che vanno incontro a una trasformazione forse troppo repentina perché soffocati da
un contesto brioso, colorato, ma ingombrante.
È meglio un matrimonio combinato o uno d’amore? Sembra chiedere questo What’s Love?, ed ovviamente si tratta di una domanda provocatoria, per riflettere sulla felicità delle relazioni, dell’importanza della stabilità nella coppia, sui tradimenti e le delusioni. Who Needs a Heart When a Heart Can Be Broken… cantava Tina Turner nel famoso pezzo clonato nel titolo, e nel mondo delle relazioni fluide del presente è una frase di lampante attualità. Per affrontare un argomento del genere Shekhar Kapur, che torna a dirigere un film a 15 anni di distanza da Elizabeth: the Golden Age, sceglie l’ironia e confeziona una commedia sentimentale leggera e spassosa, addirittura esilarante, trascinata dalla straordinaria performance di Emma Thompson nel ruolo di Cath. Lei vive a Londra ed ha una figlia, Zoe, interpretata da Lily James, stavolta nei panni di una documentarista dopo l’exploit di consensi nella parte di Pamela Anderson, con una vita sentimentale abbastanza confusa.
Zoe nel suo nuovo progetto di lavoro, si occupa di matrimoni assistiti, update lessicale per descrivere una pratica diffusa soprattutto nei paesi musulmani. L’idea nasce quando il suo storico amico di infanzia e vicino di casa Kazim, di origine pakistana, le confida l’intenzione di sposarsi, e di accettare l’aiuto della sua famiglia per trovare la ragazza adatta. La ricerca di una pretendente diventa una divertente variazione tinderiana collettiva, conclusa con la scelta di una ragazza della madrepatria conosciuta tramite FaceTime. La storia a quel punto si sposterà di latitudine, verso il Pakistan. Dopo l’inizio di marcato umorismo british, si arricchirà di atmosfere bollywoodiane, con lo schermo riempito di colori sgargianti, di canti e balli cerimoniali. L’accostamento di stili diversi, insieme al ricorso ad una parte metacinematografica, permette al film di mantenere un ritmo ottimale, e soprattutto di avanzare un confronto di cultura, tradizione, e costumi differenti. A riflettere sul razzismo, sulla rappresentazione. A considerare come tra le generazioni questi concetti vengano continuamente rielaborati, assumano nuove forme, che non nascono dalla semplice attribuzione di un aggettivo come sorpassato antiquato e medievale. Il regista, seppure in forma comica, scende fino alla radice del problema e dimostra la tesi piuttosto nei fatti, nelle conseguenze dolorose di una decisione sbagliata. Ed arriva al cuore, consapevole di dover ascoltare la sua voce prima di ogni altra, perché quando è triste il cuore non c’è rimedio o soluzione di comodo, il rischio fa parte del gioco. E non bastano mille cerotti per curare le ferite invisibili agli occhi, e non esiste una gabbia per trattenere le fiamme.
Di fondo, What’s Love Got to Do with It? si interroga sulla natura stessa dell’amore, sia in termini di chimica – mentale e fisica – che sociali. Arriva a dare risposte contrastanti e tirare in ballo analisi e percentuali, ma la verità ancestrale dietro al sentimento più forte e in qualche modo corrosivo al mondo è che resta indomabile, inspiegabile, incomprensibile e ineluttabile. I matrimoni combinati potevano forse durare e funzionare in un’epoca dove il valore della famiglia e dello stesso matrimonio erano superiori al valore della donna in sé, soffocata da imposizioni di natura patriarcale. Anche se l’uomo viene costretto o accetta di sposarsi senza essere (ancora) innamorato dell’altra, l’esperienza sarà comunque vissuta diversamente rispetto al sesso opposto, essendo tutto guidato da un discorso di potere estraneo al contesto delle donne (basti vedere la storyline di Sumaira Khan). Intrigante, anzi, come la più grande custode di un’usanza così avidamente patriarcale sia la madre di Kazim, che ne fa un discorso non solo di onore ma anche di onere, spingendo indirettamente il figlio a una scelta di questo tipo. Da una parte il protagonista maschile è convinto della bontà della sua decisione, della possibilità di costruire l’amore partendo da una base forzosa, dall’altra Zoe filtra ogni avvenimento dalla sua lente d’ingrandimento e analizza ogni singolo dettaglio, portando alla luce paure e incongruenze caratteriali spesso impossibili da sanare. La donna costruisce così un documentario in divenire non solo attraverso la testimonianza diretta della scelta e della conoscenza della sposa, seguendo Kazim fino in Pakistan, a Lahore, nelle tappe fondamentali del suo percorso matrimoniale, ma filmando anche le interviste a tre differenti generazioni obbligate all’unione combinata. La riflessione si fa così articolata tanto dentro quanto fuori dal nostro tempo, ripercorrendo nei dubbi e nelle certezze dei personaggi cent’anni d’evoluzione di un costume che ha prodotto danni e benefici.
Funziona più o meno tutto in What’s Love Got to Do with It?, dalle interpretazioni dei protagonisti fino alla scrittura spesso caustica e pungente della giornalista e sceneggiatrice Jemima Khan. Diviso in due lunghi e corposi blocchi, il primo è quello a sorprendere di più, ricco di sarcasmo e ironia, sprezzante di citazionismo e un pizzico di black humor. Affronta l’inizio del percorso di conoscenza della sposa di Kazim, con momenti assolutamente esilaranti ben connessi e mai slegati dalla tematiche principali e quindi in grado di sviluppare l’argomento attraverso la commedia a tutto tondo, nei primi passi meno sentimentale di come poi diventerà. Dalle intromissioni della famiglia dello sposo fino al dissacrante “wedding planner” e poi ancora ai confronti tra Zoe e la madre, la prima ora scorre perfettamente, in modo pulito e piacevole.
L’arrivo in Pakistan corrisponde all’evoluzione fisiologica del prodotto in un film d’attestazione sentimentale, scavando nel cuore dei personaggi e lasciando esplodere insieme le dinamiche relazionali più vigorose e di contrasto. L’opera resta godibile e divertente, ma diventa quasi predominante il melodramma a’ la Mira Nair e meno impattante lo humor a’ la Richard Curtis, e questo fino alla conclusione naturale della storia, che una volta imbarcata in quella corrente non riesce più a tornare alla pura foce commediata di partenza. In grado di far ridere di gusto e riflettere di conseguenza, What’s Love Got to Do with It? può dirsi un’operazione più che valida e riuscita, un bel ritorno inaspettato per Kapur e una delle comedy cinematografiche migliori e più robuste dell’anno.