We live in time – Tutto il tempo che abbiamo

John Crowley

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Un incontro fortuito cambia le vite di Almut , una chef in ascesa, e Tobias, appena uscito da un divorzio. Attraverso istantanee della loro vita insieme –innamorarsi perdutamente, costruire una casa, diventare una famiglia – emerge una verità che mette a dura prova la loro storia d’amore. Mentre intraprendono un percorso scandito dalla dittatura del tempo, imparano ad apprezzare ogni attimo del loro amore.
DATI TECNICI
Regia
John Crowley
Interpreti
Florence Pugh, Andrew Garfield, Adam James, Aoife Hinds, Marama Corlett, Nikhil Parmar, Heather Craney, Kevin Brewer
Durata
108 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Nick Payne
Fotografia
Stuart Bentley
Montaggio
Justine Wright
Musiche
Bryce Dessner
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Gran Bretagna, Francia
Anno
2024

Presentazione e critica

Si incontrano in un ospedale. Lui è Tobias Durand, lavora per la fabbrica di cereali Weetabix e si trova in strada di sera in accappatoio alla ricerca di una penna per firmare le carte del divorzio. Lei è Almut Brühl, un’ex-pattinatrice ora chef in ascesa, che l’ha investito. Tra loro nasce una forte attrazione e dopo poco vanno a vivere insieme. Da lì parte la loro storia che attraversa circa dieci anni, tra alti e bassi, momenti di grande felicità culminati con la nascita della figlia ad altri tragici quando Almut scopre di avere un cancro e deve scegliere un trattamento che può allungarle la vita ma farla soffrire di più oppure sfruttare al meglio il tempo che le rimane. Tutto nasce per caso. Oppure no. Una matita che si spezza, un’auto incastrata tra altre due, date di momenti importanti che finiscono per coincidere. We Live in Time non è solo un melodramma sulla malattia, o almeno non soltanto.

Rispetto a Voglia di tenerezza, segue un percorso meno classico e non lineare da un punto di vista narrativo. Per questo passato e presente si alternano per mettere a fuoco la vita della coppia tra incomprensioni (la reazione di Almut quando Tobias le ha chiesto di sposarlo) a frammenti di felicità, dai momenti sulla giostra fino alla scena, la più coinvolgente ma anche frenetica, irresistibile di tutto il film, del parto nella stazione di servizio con la porta del bagno bloccata. John Crowley segue i suoi protagonisti nel corso del tempo come aveva già fatto con Il cardellino ed Boy A che è stato anche il primo ruolo da protagonista per Andrew Garfield. L’attore statunitense in We Live in Time trova un’intesa perfetta con Florence Pugh. Sono loro i principali punti di forza di un film caratterizzato da una drammaturgia solida, quasi di stampo teatrale nei dialoghi della sceneggiatura di Nick Payne che trova a sua volta un magnifico contrasto con un cinema che prova a immortalare la fuggevolezza del tempo.

Forse lo stesso tipo di struttura, con altri attori, non avrebbe retto allo stesso modo. Sia Garfield sia Pugh li rendono aderenti alla realtà, lasciano avvertire quello che provano anche con un solo sguardo come nella prima reazione di entrambi davanti al responso della dottoressa, oppure mettono in evidenza anche le tensioni nascoste della coppia che emergono, per esempio, dopo che Tobias ha visto il filmato della gara di pattinaggio di Almut. Ci sono però anche toccanti momenti di istintiva intimità quando lui le taglia i capelli. Oppure tutte le scene in cucina, come la preparazione e la gara internazionale di cucina del Bocuse d’or che sembrano uscite da The Bear e alterano nuovamente gli equilibri tra i due personaggi perché Almut inizialmente aveva tenuto all’oscuro Tobias che avrebbe partecipato alla competizione. We Live in Time cammina sospeso, potrebbe cadere da un momento all’altro, diventare troppo sentimentale oppure al contrario cercare un taglio più brillante. Trova invece un miracoloso equilibrio proprio perché riesce a intrecciare insieme due diagnosi di cancro, una storia d’amore, la nascita di una figlia nello stesso film.

Il cineasta si mette principalmente al servizio della storia e dei suoi attori ed è per questo che la sua regia è così trasparente a quella tradizionale di Brooklyn. In quel caso mostrava una faccia del ‘sogno americano’, qui invece le pagine della vita di una coppia. Come i protagonisti, We Live in Time coglie l’attimo. Ogni piano su di loro (insieme o da soli) cattura il momento di felicità o disperazione. Non c’è mai un esito scontato come nei drammi sulla malattia, anche quello bellissimo di James L. Brooks con Debra Winger e Shirley MacLaine. Il destino di Tobias e Almut può cambiare da un momento all’altro prima del finale. Il vissuto e la sua rappresentazione sono la stessa cosa. In We Live in Time, tra il cinema e la vita non c’è più nessuna distanza.

 

Mymovies

È tutta questione di tempo in We live in time: tempo da recuperare, tempo da non perdere, tempo da rivivere nello spazio di un ricordo. E se a scandire il senso di una cronologia che sfugge via al cinema è lo splendido raccordo tra sequenze e inquadrature, allora il nuovo film di John Crowley è un perfetto film di montaggio. Un montaggio mai lineare, ma fondato su continue associazioni che scaturiscono dalla potenza di un ricordo, di un momento, di un attimo fugace pronto a ripresentarsi chiedendo il conto per un’emozione pronta a rivivere per poi scappare di nuovo via. Quello di Justin Wright è un raccordo di montaggio chiamato a restituire il lavoro cerebrale di una mente che si aggrappa al passato per poter vivere appieno la bellezza del presente. L’esistenza di Almut e Tobias diventa così copia perfetta di una quotidianità riconoscibile agli occhi degli spettatori, dove il pensiero non è mai lineare, ma frammentato, saltellante, dato per piccoli input. Ma per donare vita a un racconto forgiato sulla forza di emozioni mai mielose, o ruffiane, ma dolorosamente realistiche, vi è bisogno di una coppia altrettanto credibile. Più che semplici attori al lavoro, Florence Pugh e Andrew Garfield si fanno portali diretti su esistenze verosimili. Ogni gesto è un taglio pronto a squarciare un corpo provato dalla malattia, o dalla paura, per rivelarne l’essenza dell’anima. Non esistono Almut e Tobias, se non nello spazio di un’invenzione cinematografica; eppure Crowley riesce a compiere la magia, e grazie ai propri interpreti, fa di idee, fantasie, storie immaginate, una realtà concreta e credibile.

Scorre una chimica pazzesca tra Andrew Garfield e Florence Pugh. I due si muovono sullo schermo facendoci dimenticare del loro ruolo di semplici attori. Sospinti da una straordinaria naturalezza performativa, i due interpreti diventano ricettacoli umani di emozioni tangibili, condivisibili e per questo comprensibili. In un mondo dove si scardina l’ordine del tempo, lasciando piena libertà a sequenze che passano tra un passato di gioia, a un presente di accettazione del dolore, la coppia Pugh-Garfield si eleva a narratrice privilegiata di istanti (stra)ordinari all’interno di una coppia. Grazie a questi salti cronologici, Crowley evita la riproposizione reiterata e canonica di una tipica storia d’amore intaccata dall’ombra della malattia, per donare nuovo spirito al genere, e acuire la portata emozionale di ogni attimo. Un’esaltazione dei sentimenti sottolineata sia dal talento dei due protagonisti, che da una fotografia cangiante, che si accorda cromaticamente agli umori che investono queste anime in balia di istantanee mnemoniche, passando dal caldo ricordo del passato, alla fredda incertezza del futuro. È una giostra dei sentimenti, We live in time; come quel carosello che regala ad Almut e Tobias un attimo di pura felicità, il film corre su e giù sulla scala delle emozioni. Fa ridere, e poi commuovere; ti rallegra e poi rattrista; tutto con pura semplicità e senza piallare la ruvidità di due esistenze che proprio sulla spinta delle loro fragilità, tra errori e paure, basano la credibilità della propria esistenza cinematografica. Ogni gesto, pensiero, o semplice parola, si fa architetto del tempo, costruttore di realtà vere, commoventi, perché vicine alle nostre. Ma la giostra di We live in time non corre in circolo; la sua corsa non segue un percorso prestabilito; è piuttosto una macchina da scontro che viaggia liberamente da un angolo all’altro del proprio spazio di azione, per colpire ogni volta lo spettatore, adesso con un sorriso, adesso con una lacrima scesa senza forzature, ma con estrema facilità e autonomia. Non vuole assurgere alla commozione, Crowley: il regista vuole semplicemente redigere il proprio racconto umano.

Un racconto che non si esime dal mostrare le scelte sbagliate e i successi, le cadute e le riprese di uomini e donne colti nella loro estrema e fallace umanità. Almut e Tobias, proprio come Ellis Lacey prima di loro, sono stampini, calchi di possibili realtà. Per loro il tempo si fa un filo che riunisce due destini andati perduti per l’intromissione di una morte mai mostrata, ma solo suggerita. Nulla è edulcorato, filtrato, o celato in We live in time, ma tutto è spiattellato nella sua totale, completa e apparente onestà. La nascita della figlia, il vomito, le iniezioni, sono restituite senza censura, donando un ulteriore strato di verosimiglianza a una duplice esistenza che reale lo pare davvero. Tutto scorre per venire poi modellato, recuperato e ordinato a proprio piacimento in We live in time. Tutto vive, mentre i minuti scorrono, e Almut e Tobias trovano un posto dentro di noi. Lo fanno con naturalezza, senza forzare la porta di accesso, ma entrando direttamente dall’ingresso principale. Non sono ospiti abusivi, i due, ma invitati voluti da uno spettatore adesso incapace di lasciarli andare, e salutarli, per lasciarli soli in una pista di pattinaggio, o nella cucina di un ristorante.

 

Cinema.everyeye