Un uomo felice

Tristan Séguéla

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Il sindaco conservatore di un paesino della Bretagna è pronto per ripresentarsi alla prossima campagna elettorale, ma riceve una notizia per lui scioccante da parte di sua moglie Edith: dopo diversi anni di matrimonio, la donna rivela di non sentirsi a suo agio nel suo corpo e ora vuole iniziare un percorso di transizione per cambiare sesso. La campagna elettorale rischia di essere stravolta.
DATI TECNICI
Regia
Tristan Séguéla
Interpreti
Fabrice Luchini, Catherine Frot, Rehin Hollant, Philippe Katerine, Artus, Agnès Hurstel, Paul Mirabel, Bastien Ughetto, Jason Chicandier
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Guy Laurent, Isabelle Lazard
Fotografia
Frédéric Noirhomme
Montaggio
Alice Plantin, Grégoire Sivan
Musiche
Amin Bouhafa
Anno
2022
Classificazione
6+
Attività

Presentazione e critica

Jean è un sindaco conservatore di una cittadina francese sposato da quarant’anni con Edith da cui ha avuto tre figli. Durante l’inizio della sua nuova campagna elettorale, la moglie dichiara di essere un uomo, di esserlo sempre stato, per questo motivo inizia un percorso di transizione. Una notizia che sconvolge la vita di Jean e dà il via ad una serie di equivoci, che lo porteranno a rimettere in discussione le proprie convinzioni. Un uomo felice, una commedia francese diretta da Tristan Séguéla, mette insieme per la prima volta Fabrice Luchini e Catherine Frot. Molti sono i film che hanno portato sul grande schermo il tema dell’identità di genere. The Danish Girl, Transamerica, Parigi brucia di Jennie Livingston, per citarne alcuni. Anche Séguéla lo fa, ma affronta un argomento così delicato con intelligenza e ironia denunciando chi, ancora nel 2023, riserva ancora dei pregiudizi. La fonte di ispirazione per gli sceneggiatori Guy Laurent e Isabelle Lazard è la storia di un amico che, all’età di cinquanta anni, decide di iniziare la transizione cercando, allo stesso tempo, di salvare il suo matrimonio.
Un uomo felice è una scommessa difficile che il regista francese vince, perché il suo film non è mai eccessivo e non si trasforma mai in una farsa. Ma non basta saper usare in maniera intelligente un genere per raggiungere un buon risultato. Gran parte del merito va alla coppia Luchini e Frot. Incredulità, rabbia, disperazione, amore. Luchini trasforma continuamente il suo personaggio. Un uomo conservatore che porta avanti i valori tradizionali, è la rappresentazione di una società che rifiuta di aprirsi ad un mondo in costante cambiamento. Conoscendo Jean la domanda sorge spontanea. Come reagirà alla notizia della moglie? Ed ecco che non è solo Edith a trasformarsi e riscoprire sé stesso. Un bacio sulla bocca, che farà scattare una serie di equivoci, porterà ad una consapevolezza nuova. Tristan Séguéle lancia quindi un messaggio di tolleranza, l’apertura mentale è possibile se si lasciano i pregiudizi alle spalle. “On a gagné” verrebbe da dire. Un finale prevedibile quello di Un uomo felice, ma necessario.

Sentieriselvaggi

(…) Un po’ commedia degli equivoci, un po’ slapstick, Un uomo felice affronta temi importanti usando l’arma della leggerezza. Il film usa un linguaggio semplice attingendo ai pregiudizi del quotidiano per dipingere una situazione limite. Il sindaco Leroy incarna il classico politico di destra che si è costruito una posizione altolocata facendo leva sui preconcetti dell’uomo della strada a colpi di comizi, assaggi di prodotti locali (viene in mente nessuno?) e tentativi di mettere in cattiva luce gli avversari. Le apparenze per lui vengono prima di tutto, nel pubblico come nel privato, così l’annuncio della moglie di voler effettuare la transizione rappresenta un fulmine a ciel sereno. In fondo lo slogan alla base della sua campagna elettorale, “En avant comme avant (Avanti come prima“), dice già tutto.
A sua volta Edith appartiene alla stessa generazione ed estrazione sociale del marito. Nel suo primo incontro col gruppo di autosostegno apprende con un po’ di imbarazzo il significato di termini come transgender e cisgender, mentre i videotutorial di YouTube le insegnano a usare le fasce per comprimere il seno. Lo smarrimento di questi borghesi di mezza età di fronte all’improvvisa accelerazione dei cambiamenti sociali, culturali e di pensiero un po’ fa sorridere e un po’ fa riflettere. Tristan Séguéla fa leva su concetti semplici per rappresentare la complessità che stiamo vivendo negli ultimi anni e, dietro momenti di apparente comicità, c’è un’attenta riflessione.(…)
(…) Ridere di temi delicati come l’incapacità di adeguarsi a un corpo e un’identità che non sentiamo nostra senza risultare offensivi non è facile. Un uomo felice ci riesce scegliendo di non andare troppo in profondità, schivando i toni drammatici, la volgarità e le possibili polemiche a favore di una piacevolezza di fondo quasi irrealistica. La storia offre, però, anche l’occasione per irridere bonariamente la società perbenista di provincia e per farsi beffe di una certa politica e dei meccanismi del consenso. Il tutto senza rinunciare a quel garbo tutto francese che rende questo colorato inno alla tolleranza adatto a tutti. “Tous les couleurs de l’arc-en-ciel” come direbbe Eddy.

Movieplayer

Perché le persone che si amano sono sempre un po’ ribelli? Hanno un mondo tutto loro che non è in nessun modo obbligato ad assomigliare a quelli che ci vengono proposti come modelli”. È forse tutto in questo distico cantato da William Sheller in Un homme heureux il senso del quarto lungometraggio diretto dal quarantacinquenne francese Tristan Séguéla, e che non a caso si intitola proprio come la succitata canzone (in Italia è stato tradotto fedelmente con Un uomo felice). Perché in fin dei conti, al di là delle scaramucce che sorgono non appena esplode la miccia accesa da Édith, questa commedia dai tratti gentili e distanti da qualsivoglia asperità reale concentra la sua attenzione su un solo dettaglio fondamentale: Jean ed Édith si amano ancora dopo decenni, senza che la passione sia mai venuta meno, e continuano a farlo in barba a qualsivoglia supposta canonicità. Certo, Jean avrebbe fatto volentieri a meno della novella che gli ha portato in dono la consorte, una donna che ammette finalmente a sé stessa – e al mondo circostante – di essersi sempre sentita un uomo, e di non volerlo più nascondere a chicchessia; ma è altresì vero che anche Édith si sarebbe risparmiata la notizia della terza campagna elettorale come sindaco per il marito, che pure aveva promesso che al termine del secondo mandato avrebbe abbandonato la politica per concedersi un lungo viaggio in camper con la moglie, alla ventura. Il fato ha in serbo in effetti non poche avventure per questa coppia decennale, che vive in un piccolo paesello nel nord della Francia (le riprese sono state portate a termine nella piccola Montreuil-sur-Mer, una sessantina di chilometri a sud-ovest di Calais) dove il tempo sembra in qualche misura congelato. Il sindaco Leroy viene rieletto quasi per abitudine, perché le cose non cambino, e il suo slogan per la campagna elettorale la dice lunga sulla scaglia voglia di rinnovamento: En avant comme avant, sostanzialmente “Avanti come prima”.
Gioca su questa dialettica Séguéla, che si affida a una sceneggiatura scritta a quattro mani da Guy Laurent (già collaboratore per Philippe De Chauveron, a dire il vero senza risultati particolarmente memorabili) e Isabelle Lazard: da un lato la Francia più conservatrice, quella che non solo si oppone ai matrimoni tra persone dello stesso sesso ma riporta l’intera questione attorno alla vita quotidiana al concetto di tradizione – si veda la chiacchierata del sindaco al mercato con il venditore di andouille –, e dall’altro l’intima pulsione di una donna che non si sente tale, e vuole avere il diritto di affermarlo e di autodeterminarsi. Se i temi sollevati da Séguéla sono non solo attuali, ma anche gravidi di un fermento dialettico all’interno della società, Un uomo felice evita con cura qualsiasi spigolo possa incontrare sulla sua strada; certo, non mancano molti momenti di tensione tra marito e moglie, ma tutto viene sempre risolto con estrema facilità, quasi a voler sottolineare l’assoluta naturalezza di ciò che viene raccontato in scena.(…)

Quinlan