Totem – Il mio sole

Lila Avilés

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Totem - Il mio sole, film diretto da Lila Avilés, racconta la storia di Sol una bambina di sette anni, che trascorre una giornata insieme al nonno in casa per aiutarlo con la festa a sorpresa per suo padre Tonatiuh.
DATI TECNICI
Regia
Lila Avilés
Interpreti
Naíma Sentíes, Montserrat Marañon, Marisol Gasé, Saori Gurza, Teresita Sánchez, Mateo Garcia, Iazua Larios, Alberto Amador, Juan Francisco Maldonado, Marisela Villarruel, Galia Mayer
Durata
95 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Lila Avilés
Fotografia
Diego Tenorio
Montaggio
Omar Guzmán
Musiche
Thomas Becka
Distribuzione
Officine UBU
Nazionalità
Messico, Danimarca, Francia
Anno
2023
Classificazione
Tutti
Attività

Presentazione e critica

È un giorno importante, lo si capisce subito, nella labirintica casa dalla struttura misteriosa e vitale. Si attende di spostarsi in giardino per un festeggiamento. La piccola Sol, 7 anni, è il nostro punto di ingresso in questa storia e per la prima parte il punto di vista, prima di lasciare spazio, una volta ultimati i preparativi, alla festa vera e propria, agli adulti, con i loro discorsi goffi o commossi, disincantati e sinceri. Perché, al di là delle torte in preparazioni, dei festoni appesi, è una festa a dir poco malinconica, probabilmente l’ultimo compleanno per il giovane papà di Sol, Tonatiuh detto Tona. Un nome orgogliosamente mesoamericano, che rimanda al termine azteco per identificare il Dio Sole, come alcune suggestioni e riferimenti ancestrali e spirituali che condivide questa famiglia allargata. Lo suggerisce il titolo, Tótem, di questa opera seconda della quarantenne Lila Aviles, che rimanda a un’entità che ha un significato simbolico al quale ci si lega per una vita intera.
Sono tutti a casa del nonno, anch’esso malato, mentre il ricordo della nonna da poco scomparsa per un cancro riecheggia fra le mura scure e vitali, a costruire un microcosmo allo stesso tempo soffocante e pieno di quella vitalità che fratelli e sorelle, bambine e cuginette cercano in ogni modo di evocare. Mentre altri totem abbondano, come i riferimenti ad animali, o i quadri dipinti dal festeggiato pittore in fin di vita, per l’occasione tolti dalla parete. Gli si richiede un ultimo sforzo, un saluto alla vita, alla figlia, ai suoi amori e ai suoi affetti, in una storia frenetica come il caos di un formicaio che si popola di risate e commenti, discussioni e speranze. Una luce a illuminare l’ombra della morte, presente e pulsante come una camera a spalla sempre in movimento, ora ad altezza bambina, ora più seria a seguire gli adulti. Una specie di veglia vitale, una preparazione rituale a lasciare andare via, portandosi dietro le fratture di una famiglia sconquassata dalle radici.
Tótem è anche la storia della prematura perdita dell’infanzia da parte di Sol, pienamente consapevole di come la vita presto non sarà più la stessa, per lei, per la madre, la zia e tutti i suoi affetti. Si concede solo pochi momenti iniziali per far emergere l’ultimo bagliore del candore puro dei suoi 7 anni, quando su richiesta della madre esprime un desiderio che sa di ultimo atto da bambina: “che papà non muoia”. Alviles tratteggia con abilità i limiti e gli spazi di una grande casa con la cocciutaggine di un rumba ultimo modello, ma anche con l’anarchia casinista e rigorosamente analogica della cultura messicana.Un addio senza retorica, occhi asciutti e smancerie presto represse, quando qualcuno si azzarda, Tótem è come un soffio di vento vitale che arriva atteso in una giornata estiva, provoca un sollievo gradevole, pur non persistendo nel suo effetto benefico più di tanto. Si ferma forse dopo non molto, perde un po’ la sua efficacia appena il trambusto si è quietato, ma dimostra una sensibilità lodevole da parte della sua autrice. E che bambine irresistibili.

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A volte è strana la vita dei film che guardiamo ai grandi festival internazionali, come nel caso del titolo in uscita per Officine UBU (dal 7 marzo) di cui vi parliamo in questa recensione di Totem – Il mio sole: li vediamo, li ammiriamo, aspettiamo l’uscita per poterveli raccontare e nel frattempo hanno una loro vita che li riporta alla nostra attenzione con un bagaglio di esperienze diverso. Vincitore del premio della Giuria Ecumenica a Berlino 2023, da quel debutto a oggi il film diretto da Lila Avilés è stato selezionato in più di sessanta festival cinematografici di tutto il mondo ed è stato designato come candidato messicano agli Oscar. Ci siamo trovati a guardarlo ancora una volta, con occhi nuovi, apprezzando il rigore, eppure calore, della messa in scena, e la capacità di toccare le corde giuste nello spettatore per il modo in cui riesce a celebrare la vita in ogni sua sfaccettatura. È la piccola Sol al centro del racconto imbastito dall’autrice per Totem – Il mio sole. La vediamo da subito nello spazio confinato di un bagno pubblico insieme alla madre. Uno spazio ristretto evocato anche dal formato video in 4:3 che le incornicia. La storia le segue nell’andare nella casa del nonno, dove aiutano zie e cugini nell’organizzazione della festa a sorpresa per il compleanno del padre, un giovane pittore malato per il quale Sol e la madre hanno in serbo un regalo speciale. Viviamo l’attesa per l’arrivo del padre, per il momento in cui uscirà dalla sua stanza al piano di sopra, mentre parenti e amici arrivano e il giorno volge al termine, immersi in un’atmosfera caotica in cui i legami familiari e interpersonali si evidenziano e mettono alla prova.
È una ragnatela di connessioni tra i diversi individui del gruppo a tenere insieme Totem – Il mio sole. Quello di Lula Avilés è un film che si basa su questo, una storia che sui rapporti umani poggia la sua costruzione narrativa ed emotiva, nel tratteggiare la forma indefinita e variabile di una famiglia che si appresta ad affrontare un momento di grande cambiamento. Un evolvere che viviamo e percepiamo attraverso gli occhi espressivi della piccola protagonista Naíma Sentíes, vera anima e cuore pulsante del film: senza nulla togliere a un cast che si muove sicuro sotto la guida della regista, è la giovanissima attrice a catalizzare l’attenzione e muovere il racconto trasmettendoci, comunicandoci, facendoci vivere le interconnessioni tra i membri di questa famiglia che si muove tra amore e folklore. Un ritratto ricco di sfumature in cui ogni spettatore può riconoscere spaccati della propria vita e della propria esperienza umana e familiare.
È richiesto a noi spettatori un piccolo sforzo emotivo per muovere i nostri passi in questo microcosmo familiare, per poter essere accolti e partecipi di quanto sta accadendo, per essere coinvolti dagli eventi e avvolti dalla fotografia curata da Diego Tenorio, ma una volta entrati nelle dinamiche familiari e interpersonali la ricompensa in termini di sensazioni provate ripaga dell’investimento iniziale. La forza del cinema, tra gioia e tristezza, realtà ed emozioni. Viviamo, come detto, l’attesa di Sol in Totem. Funzionale a questo scopo la scelta del quadro ristretto, opprimente, in cui il cammino verso la festa a sorpresa ci viene raccontato, con le richieste reiterate e sempre più insistenti della bambina al padre, invitandolo a uscire dalla stanza e raggiungerli. È un film di attesa, ma è anche un film in cui si celebra la vita in ogni sua possibile forma, concreta e caotica, che esplode tra amici e parenti raccolti. Totem è un film con una mano autoriale forte, nonostante la regista Avilés sia soltanto alla sua seconda opera dopo The Chambermaid, e che proprio per questo può porre un ostacolo tra sé e una parte di pubblico non avvezzo a voci così personali.

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