The Quiet girl

Colm Bairéad

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The Quiet Girl, il film diretto da Colm Bairéad, è ambientato nell'Irlanda rurale del 1981 e racconta la storia di Cáit, una tranquilla bambina di nove anni,che proviene da una famiglia problematica, povera, con molti figli e in attesa di un altro bambino.
DATI TECNICI
Regia
Colm Bairéad
Interpreti
Catherine Clinch, Carrie Crowley, Andrew Bennett, Michael Patric, Kate Nic Chonaonaigh, Joan Sheehy, Tara Faughnan, Neans Nic Dhonncha, Eabha Ni Chonaola, Carolyn Bracken
Durata
94 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Colm Bairéad
Musiche
Stephen Rennicks
Distribuzione
Officine UBU
Nazionalità
Irlanda
Anno
2022

Presentazione e critica

Siamo agli inizi degli anni Ottanta, nella contea irlandese di Waterfort. Se visto in lingua originale, per tutta la durata di The quit girl, si avverte una lingua estranea, quella gaelica.
Si parla poco, a dire il vero. Parla molto poco Cáit che porta tutti i segni del disamore, la ferita dei non amati, nel tentativo ostinato di esorcizzarla. Parla pochissimo Seán il marito di Eibhlín che all’inizio non accoglie la bambina, chiuso anche lui nel silenzio e nel suo inesprimibile dolore da tenere a bada. Eibhlín, invece, dà alle sue frasi un non so che di nenia antica, come se le parole venissero da tanto lontano nel tempo e fossero quelle rassicuranti della tradizione. Un tono tranquillo, il suo, nel maternage che da subito caratterizza ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo. Accompagnati dal cibo preparato e offerto amorevolmente. Tesoro, amore, piccola mia: così si rivolge a Cáit: “Se tu fossi mia figlia non ti lascerei mai ad estranei”.In questa casa non ci sono segreti- E dove non ci sono segreti non c’è vergogna.
La narrazione di The quiet girl sembra rinnovare la malia di un mito perenne. Pettinare i lunghi capelli della bambina, andare insieme a raccogliere l’acqua nel pozzo, sbucciare le cipolle: ogni azione viene compiuta lentamente, quasi a non voler perdere un attimo di consapevolezza, in questo nuovo rapporto a due che ricalca la maternità di sempre. Anche il tempo delle inquadrature è lento, ma misurato. A volte si soffermano sui dettagli (il secchio che dondola ad assecondare la camminata della madre e della figlia in prestito), altre volte è l’insieme che accoglie al centro il personaggio, come la corsa della bambina nella nostra direzione. Che rallenta, perché si assapori il piacere del gioco, la sfida proposta dall’uomo alla piccola. Finalmente un’intesa che sta per nascere, la promessa dell’affiatamento che verrà. Le immagini, con la fotografia eloquente di Kate McCullough, impreziosiscono lo schermo dando significato ai dialoghi essenziali, dicendo ciò che le parole non dicono, avvalorando un silenzio che è sempre e solo di attesa. Di ascolto.
Non ci sono primi piani in questo racconto, bensì le giuste distanze che inseriscono i personaggi nell’ambiente rurale, quasi a voler di volta in volta farceli sentire nella loro quotidiana esperienza, nelle loro nuove o rinnovate relazioni: quella dei genitori provvisori verso l’ospite, amata come una figlia, quelle della bambina che impara a conoscere l’affetto, negato dalla famiglia vera. Quella tra Eibhlín e Seán, colti una volta sola, ma basta, in un momento di effusioni visto con gli occhi di Cáit.
La composizione accuratissima dello sfondo e della scena regala alla narrazione un che di fiaba. D’altra parte, ce ne sono tutti gli elementi. L’allontanamento della bambina, le prove da superare, come quella di identificarsi in un ruolo diverso, se pure in un ambiente migliore. Gli antagonisti (la famiglia d’origine e lo stesso Seán prima del suo coinvolgimento). L’aiutante nella figura di Eibhlín, una fata amorevole e comprensiva, inserita nelle scene più luminose del film. Sul premio finale, presente o meno, non possiamo e non vogliamo dire.

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Il silenzio può raccontare l’universo interiore di un personaggio con altrettanta efficacia delle parole? È l’assunto che sembra voler dimostrare il film di Colm Bairéad, documentarista al suo primo lungometraggio di finzione, a partire dal titolo: una “ragazza tranquilla”, abituata a rimanere chiusa in se stessa e a non dar voce ai propri pensieri, specialmente in uno spazio domestico in cui – lo recepiamo fin dalle sequenze iniziali – fatica a sentirsi amata. Il silenzio di Cáit, una bambina irlandese di nove anni, è dunque il punto di partenza della nostra recensione di The Quiet Girl, sceneggiato e diretto da Colm Bairéad a partire dal romanzo breve Foster di Claire Keegan e candidato all’Oscar come miglior film internazionale del 2022: la prima nomination in assoluto in questa categoria per una pellicola prodotta in Irlanda, resa possibile dalla scelta di far recitare gli attori in lingua gaelica.

L’ambientazione di The Quiet Girl, ma prima ancora dell’opera di Claire Keegan, è l’Irlanda rurale del 1981, ma l’anno in questione ha ben poca rilevanza: quella narrata da Colm Bairéad è una storia di carattere universale, e lo scenario in cui si svolge l’estate della piccola Cáit risulta privo di riferimenti cronologici precisi, collocandosi piuttosto in un tempo sospeso, interiore. Così come è una prospettiva interiore, del resto, quella assunta dal film stesso, che sposa appieno il punto di vista di Cáit, ruolo affidato all’espressività dell’esordiente Catherine Clinch. Inserendosi nella lunga tradizione dei coming of age sui piccoli terremoti emotivi dell’infanzia, The Quiet Girl ci fa penetrare nella quotidiana solitudine di Cáit, nel senso di inadeguatezza che la opprime tanto a scuola, quanto fra le pareti di casa, dove la freddezza dei suoi genitori è perfino accresciuta dalla nuova gravidanza di sua madre. A incrinare la barriera che la bambina ha visto erigere attorno a sé è l’estate trascorsa presso una cugina di sua madre, Eibhlín Cinnsealach, e di suo marito Seán: una coppia a sua volta non troppo loquace, ma che non esita a riversare sulla giovanissima ospite un’ampia quantità di premure e di affetto. E il film, in fondo, è tutto qui: nella cronaca di un’estate diversa dalle altre, in cui Cáit farà esperienza di un’attenzione e di un calore che non aveva mai conosciuto prima di allora. Un calore a cui, sul piano visivo, corrisponde la fotografia morbida e avvolgente di Kate McCullough, tale da permeare la casa di Seán ed Eibhlín di una grazia leggiadra, di natura quasi trascendentale.

L’approccio minimalista di Colm Bairéad si riflette sulla capacità di cogliere le sfumature insite negli sguardi e nei piccoli gesti dei personaggi, nonché nel pudore con cui ci presenta l’unico ‘sussulto’ narrativo del film, relativo al disvelamento di un trauma legato al passato dei coniugi Cinnsealach. Rinunciando a qualunque tentazione di enfasi, The Quiet Girl ci suggerisce la presa di coscienza della protagonista, la sua potenziale apertura rispetto al mondo esterno, proprio attraverso il modo in cui Cáit arriverà a comprendere davvero Seán ed Eibhlín: il dolore nascosto dietro la gentilezza dei due maturi zii nei confronti della nipote, destinata a lasciare il loro tetto con la fine dell’estate e l’approssimarsi della scuola, in un congedo di toccante semplicità.

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