Jeff Nichols
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
The Bikeriders è un film che passa in prima battuta attraverso l’udito. Lo spettro acustico è quello che va dall’inconfondibile VLAM VLAM dei bicilindrici a V di 45° dei motori Harley-Davidson ai silenzi ostinati del Benny di Austin Butler. Nel mezzo, il tintinnare di infinite bottiglie di birra e il timbro alto e strascinato della Kathy di Jodie Comer, il borbottare aspro del Johnny di Tom Hardy e i click della macchina fotografica del Danny di Mike Faist, lo sbattere tra loro delle biglie da biliardo e il crepitare di qualcosa che brucia e va a fuoco, il caos ridanciano delle feste e lo smack di qualche cazzotto ben assestato.
Così, ascoltando, oltre che vedendo, si viene trascinati indietro nel tempo, all’epoca d’oro degli Onepercenters, delle bande di motociclisti che facevano della ribellione (all’autorità, alla legge, alla società, in fondo anche a loro stesse) il loro marchio di fabbrica. Ci si immerge del tutto in atmosfere che odorano di grasso e sigarette.Jeff Nichols è partito dal libro fotografico di Danny Lyon che raccontava degli Outlaws MC, uno dei quattro club più importanti di quel mondo, qui ribattezzato Vandals. Sulla base di quel materiale, ha costruito un mondo dalla impressionante correttezza filologica, e un racconto visivo che abbraccia senza incertezze la pulizia formale e le regole grammaticali di un cinema orgogliosamente classico, lontano da ogni tentazione modaiola.
L’arco narrativo è quello dell’ascesa e della decadenza di un club, raccontato dal punto di vista di un personaggio tangenziale ai Vandals: la Kathy finita quasi per caso sposata con Benny, motociclista dedito solo al culto di una libertà anarcoide e individualista che riesce a sfiorare solo in sella alla sua moto. Benny, uno che non si toglie di dosso i colori dei Vandals per nessun motivo al mondo, ma che nei Vandals è comunque sempre volutamente lontano dal potere, con grande smacco di Johnny, il capo.
Johnny, uno che faceva il camionista, e che ha messo su i Vandals dopo aver visto Marlon Brando in Il selvaggio alla televisione (quanta ironia), e che sembra sempre un po’ schiacciato, squilibrato (anche mentalmente) dal peso di quel che i Vandals sono diventati. Specie dopo la fine degli anni Sessanta, quando tra reduci del Vietnam, tossici vari, e crescente disprezzo per ogni regola morale, il suo club si è andato trasformando in qualcosa di ingestibile, di impazzito, pronto a divorare il suo stesso genitore.
The Bikeriders non ha alcun tono shakespeariano nel suo racconto, come invece accadeva nell’altro grande prodotto audiovisivo che ha raccontato il mondo dei bikers, la serie tv Sons of Anarchy. E non ha nemmeno, con buona pace di quanti hanno tirato in ballo Quei bravi ragazzi, tutta la voglia che aveva Scorsese di raccontare un microcosmo in maniera anti-epica e antropologica. Certo, l’approccio è a tratti quasi documentaristico, ma il film di Nichols e intinto da capo a piedi in una malinconia, un senso di rimpianto, e un crepuscolarismo che, casomai, fanno venire in mente American Graffiti, o ancora di più Un mercoledì da leoni.
Anche perché, in qualche modo, The Bikeriders – come quasi sempre nel cinema di Nichols – è il racconto di due personaggi che hanno finito per cavalcare onde più grandi di loro, di un’amicizia che non ha retto l’impatto con la complessità della vita, di una sottocultura che pensava di potersi mettere di traverso rispetto alla storia e che ha visto la sua mutazione impazzita rovinare i suoi piani, e portarla all’autodistruzione. Quello di Nichols è un film felicemente fuori moda anche nel suo essere così chiaramente maschile, e la mediazione della voce e dello sguardo di Kathy – la prima ad accorgersi, sulla sua stessa pelle, delle grandi trasformazioni e delle tragedie a venire – è chiaramente figlia della voglia di avere un controcanto di genere. Ma anche, e soprattutto, figlia di una chiara intenzione di Nichols: quello di non avere mai, nell’affresco della vita e delle imprese dei Vandals, un approccio troppo romantico e idealista, né al contrario con uno sguardo di giudizio o, peggio, di condanna.
La voce di Kathy, un piede nel mondo dei Vandals e uno in quello delle persone “normali”, è quello di una coscienza superiore, capace di osservare, descrivere e riportare, di avere una consapevolezza più profonda, un punto di vista più ampio. Quello che poi adotta Nichols, con quella distanza un po’ disillusa e dolente che gli permette, tanto per cambiare, di raccontare non solo una controcultura, ma la storia del paese che l’ha generata e poi soffocata.
Un personaggio-simbolo, dunque, che Jeff Nichols rende il manifesto di un’epoca, quella della ribellione contro tutti e nessuno, dove il senso di appartenenza a un gruppo significava morire l’uno per l’altro anche al costo di sottostare a regole inventate per gioco.
The Bikeriders non è quindi un film che fa del racconto di una storia il suo punto nevralgico, ma un film che fa del ritratto della Storia – quella dell’epoca d’oro dei motociclisti – il suo scopo e la sua poetica.Sebbene la costruzione narrativa segua gli stilemi di un reportage – il film è tratto da un libro fotografico di Danny Lyon – The Bikeriders ha un respiro orgogliosamente classico capace di rendere tangibile una sottocultura statunitense vissuta grazie ai personaggi che l’hanno saputa inconsciamente costruire.Lo spazio dedicato alle battaglie per il potere della banda dei bikeriders – i Vandals – è ridotto all’osso, perché quel periodo rappresenta la fine di un’era. Non ci sono intrighi o “giochi di palazzo” à la Sons of Anarchy (serie TV che hareso pop le motociclette) perché a Jeff Nichols – come sempre nel suo Cinema – interessa l’aspetto umano dei personaggi. Se Benny è un cane sciolto senza molta caratterizzazione – un simbolo, appunto – è nel parco immenso degli altri bikers che il film diventa un ritratto d’epoca intriso di malinconia. (…)
(…) in The Bikeriders la spiegazione di ogni personaggio è data dunque da un lavoro di accumulo, in modo tale che sia lo spettatore a capire le scelte e le dinamiche che popolano i sentimenti di ogni personaggio. Nichols mette in scena il tutto con uno stile “invisibile”, al servizio del film, visto con odio e amore dall’occhio di KathyNon è un caso che The Bikeriders sia raccontato dal punto di vista della moglie di Benny, unico personaggio in grado di vedere con sufficiente distacco il cambiamento dei Vandals che diventa, di riflesso, il simbolo di un intero Paese. Come se fosse un western crepuscolare, la decadenza viene elevata a mito con gli ultimi cowboy/bikeriders destinati alla morte o alla legge.