Tár

Todd Field

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Golden Globe 2023 - Premio migliore attrice in un film drammatico a Cate Blanchett

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Festival di Venezia 2022 - Premio Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Cate Blanchett

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Lydia Tár è considerata una delle più grandi compositrici e direttrici d'orchestra viventi e prima donna in assoluto a dirigere un'importante orchestra tedesca. La incontriamo all'apice della carriera, impegnata sia nella presentazione di un libro, che in un'attesissima esibizione dal vivo della Quinta Sinfonia di Mahler. Nel corso delle settimane che seguono, la sua vita comincia a disfarsi di fronte alle problematiche attuali e il risultato è uno scottante esame del potere, del suo impatto e della sua solidità nella società odierna. T
DATI TECNICI
Regia
Todd Field
Interpreti
Cate Blanchett, Mark Strong, Julian Glover, Nina Hoss, Sydney Lemmon, Sophie Kauer, Noémie Merlant, Allan Corduner, Vincent Riotta, Sam Douglas, Lucie Pohl, Lee R. Sellars
Durata
158 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Todd Field
Fotografia
Florian Hoffmeister
Montaggio
Monika Willi
Musiche
Hildur Guðnadóttir
Distribuzione
Universal Pictures
Nazionalità
USA
Anno
2022
Classificazione
Tutti

Presentazione e critica

È abituata sempre a salire sul podio, Lydia Tár. Nella prima scena nell’inedito ruolo di solista, intervistata davanti a un pubblico di appassionati. Nel resto del film la vediamo dirigere la sua orchestra berlinese, dando le spalle alle poltrone vuote di un teatro, in attesa di essere riempito da quegli stessi appassionati. È un raro esempio di direttrice d’orchestra donna, americana, dal curriculum che occupa alcuni minuti di presentazione. È sempre in controllo, rigorosa erede di una tradizione che da quelle parti ha visto con la bacchetta in mano dei mostri sacri della professione come Herbert von Karajan. La sua carriera è all’apice, sta per presentare un libro sulla sua visione della musica che già sta attirando molta attenzione, ma soprattutto preparando un’esibizione della Quinta Sinfonia di Mahler.
Un mondo antico, costruito su una ritualità residua del secolo scorso, con sul podio un padre padrone, un maestro, senza declinazione al femminile, anche se è una donna a proseguire la tradizione. Come dice la stessa Tár, un’orchestranon è una democrazia, e diremmo neanche un’oligarchia, ma una tirannia, gestita con il pugno di ferro e totale autonomia, in cui la modernità però negli ultimi anni sta facendo intravedere, almeno nell’esercizio della giustizia e delle nomine dei solisti, una divisione dei poteri. Todd Field scrive nelle note di regia che “questa sceneggiatura è stata scritta per un’artista: Cate Blanchett. Se avesse rifiutato, il film non avrebbe mai visto la luce”. Ne siamo ben convinti, visto che questo ritratto di un mondo ovattato, luccicante all’esterno e spietato all’interno, è una sorta di statua vivente scolpita intorno al carisma, all’eleganza e alla classe di una delle poche dive del cinema contemporaneo.
Tàr è il ritratto di un mondo che si sgretola, in cui un centro di potere perde i suoi privilegi, sottoposto alla forza propulsiva di una modernità più attenta agli sconfinamenti non più accettati fra potere e abuso. Un esame preciso, dal linguaggio cromatico e la composizione di luoghi e temperature emotive implacabili, che mette in risalto la natura matematica della musica, più che quella melodica. La protagonista è un personaggio granitico e come tale incapace di gestire delle incurvature, priva della minima flessibilità che fa superare degli scossoni senza il rischio di crollare senza preavviso. Un mondo dell’orchestra che non è dissimile a quello del cinema, con in cima alla piramide il regista, o una stessa società odierna, sempre più binaria e manicheista, disabituata all’arte del compromesso.
La manipolazione strisciante inizia a emergere come elemento chiave nella gestione da parte della protagonista del suo universo di collaboratrici, da cui proviene anche la compagna, con cui hanno adottata un dolce bambina. Proprio (solo) lei emergono i rari momenti in cui la maschera impettita della persona di potere svela un barlume di umanità, lontana dal podio da cui vive la vita come una costante ossessione: per il potere in sé oltre che per la musica. Un’ossessione che la tormenta anche di notte, sotto forma di rumori notturni inattesi, forma di colonna sonora che non le permette mai di rilassarsi, abbassare le difese, se non quando evade per correre lungo il fiume.
Una storia sul potere malato che viene spinto verso i margini, con l’emergere di una nuova generazione che non sembra subire il fascino del potere, ma quello della proiezione della (propria) realtà attraverso i social. Se Cate Blanchett è semplicemente straordinaria, il film segna il passo nella parte finale, smarrisce la tensione spiazzante che seduce fino a quel momento, quando racconta il crollo del sistema di potere della sua protagonista.

Cominsoong.it

Tàr non è un film favolistico, o tradizionale in termini di happy-ending. Non ha nulla di evolutivo, ma solo distruttivo. La bacchetta si fa machete di una vita che da perfetta si disintegra in collage confusionario e incompleto. Le tessere si perdono e ogni barlume di luce si indebolisce fino a oscurarsi. È un film, Tár, costruito sulla forza del proprio personaggio; è un pianeta di celluloide che ruota attorno alla forza gravitazionale della sua anti-eroina. Con fare naturale, l’opera è istintivamente attratta dalla forza dell’ambizione della donna; rimane accecata dal suo egocentrismo, si fa sua serva narrante, tanto da lasciarsi trascinare insieme a lei verso un buco nero perfettamente reale in termini fotografici da luci della ribalta sempre più investite da aliti di ombre che tutto prendono e tutto avvolgono. Nessuna stella fulgida accecata dal bagliore del successo, adesso, ma scarti della mente imprigionati in terre buie e desolate, le stesse che attraversa Lydia e che la avvolgono, sostituendosi a un mondo brillante che non esiste più. La caduta della protagonista non viene pertanto mai edulcorata, ma enfatizzata, sottolineata, fino a cambiare pelle a tutto ciò che era stato prima, soffocando e distruggendo l’anima precedente di un film solo apparentemente consolatorio, così da lasciar spazio a una natura disorientante e perturbante.(…)

(…) Lo sguardo dell’attrice si fa creta da modellare a proprio piacimento, un ponte diretto su un’interiorità complessa e complessata, mentre il suo corpo è una marionetta manipolata da umori invisibili ora resi tangibili da un gesto, un’espressione, un tono della voce. Poco importa se non si è a conoscenza di cosa sia un ritmo atonale, o si ignori completamente la produzione mahleriana: basta una performance così convincente e potente come quella della Blanchett che ogni lacuna viene illusoriamente colmata. Il trucco sta infatti nello spostare l’attenzione dello spettatore da quel mondo che ha dominato la protagonista, rendendola schiava del suo ruolo, per condurlo nella sua selva oscura e interiore, in quella personalità nascosta con fatica sotto strati di esibizioni e applausi, e ora liberata da un’interprete che oscura se stessa per lasciar spazio a un’identità fittizia ora resa così reale perché imperfetta, fragile e diabolica.

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