Super Happy Forever

Kohei Igarashi

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Il terzo lungometraggio del regista giapponese, già presente nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia nel 2017 con La notte che ho nuotato, è una storia d’amore che non si svolge mai nel presente: è stata o sarà. Accompagnato dall’amico d’infanzia Miyata, Sano, da poco rimasto vedovo, decide di soggiornare in un resort a Izu. La località balneare è per lui particolarmente significativa perché molti anni prima, proprio su quella spiaggia, aveva incontrato Nagi, la sua futura moglie e l’amore della sua vita.
DATI TECNICI
Regia
Kohei Igarashi
Interpreti
Hiroki Sano, Yoshinori Miyata, Nairu Yamamoto, Hoang Nhu Quynh
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Kohei Igarashi, Koichi Kubodera
Fotografia
Wataru Takahashi
Montaggio
Keiko Okawa, Kohei Igarashi, Damien Manivel
Musiche
Daigo Sakuragi

Presentazione e critica

Kohei Igarashi ha iniziato a girare film all’età di diciotto anni, quando si è iscritto all’Università Zokei di Tokyo, seguendo i corsi di Nobuhiro Suwa. Nel 2008, ha diretto il suo primo lungometraggio, Voice of Rain That Comes at Night, proiettato al Cinema Digital Seoul Film Festival (Korean Critics Award). Tre anni dopo, ha firmato il cortometraggio Apartness. Sempre nel 2011, si è iscritto alla Scuola superiore di Cinema e Nuovi Media presso l’Università d’Arte di Tokyo, dove ha studiato con Kiyoshi Kurosawa. Qui ha realizzato nel 2012 e 2014, i cortometraggi Marchen e House of Tofu. Proprio nel 2014, il film diploma Hold Your Breath Like a Lover è stato selezionato dal Festival di Locarno. Nel 2017 ha diretto insieme a Damien Manivel, Takara, la nuit où j’ai nagé. Il film è stato invitato alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, e successivamente al Festival di San Sebastián.

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Il giovane Sano ritorna con l’amico Myata nello stesso albergo dove, cinque anni prima, aveva conosciuto per puro caso la moglie Nagi. Bastano le scene iniziali per capire che la moglie è morta poco tempo prima e il viaggio di Sano, questa volta, non è altro che la dolorosa rielaborazione del lutto. Presentato alle Giornate degli Autori durante la 81esima Mostra del cinema di Venezia Super Happy Forever di Kohei Igarashi (classe 1983, al suo terzo lungometraggio) trova il suo perimetro di ambientazione in una delle località balneari più note del Giappone, la penisola di Izu, sulla costa est dell’arcipelago nipponico. Qui il giovane protagonista vaga inquieto per la spiaggia, per i vicoli della città e per locali notturni alla ricerca di un ricordo dimenticato, come quello di un cappello rosso perso da Nagi, il 19 agosto 2018 (la data indelebile è quella del suo compleanno). La fotografia chiara e luminosa di Wataru Takahashi inquadra questo soggiorno di vacanza come un non luogo, asettico e privo di ogni aspetto ludico e gioioso.

È in questa primissima parte che l’amico Myata cita alcuni versi del poeta Kamo no Chomei, che diventano la cifra del rapporto con la morte nella cultura giapponese: “Il fluire del fiume non cessa mai e l’acqua non sta mai ferma. Sulla superficie degli stagni le bolle si rompono e si riformano, senza mai fermarsi. Sono come la gente che sta in questo mondo”. Il senso è il panta rei, tutto scorre: l’amico ricorda a Sano l’ineluttabilità della vita. Si tratta di un invito a lasciar andare il ricordo e a continuare a vivere. Sano non accetta la realtà e si piega sempre più nel suo dolore. È al punto più estremo di questa elaborazione che Igarashi inverte il senso del racconto e passa alla seconda parte della pellicola con un espediente quanto mai indovinato. Fino a quel momento le riprese sono state per lo più fisse, basta però un lento carrello laterale che ci allontana da Sano e ci porta dalla parte opposta della camera d’albergo. Qui la luce è cambiata, non è più inverno ma quella dell’estate di cinque anni prima. Nagi fa ingresso nella stanza e incominciamo a seguire la sua giornata fino all’incontro con Sano. Lo spettatore però sa già tutto, sa che i due si conosceranno (in una delle prime scene Sano aveva raccontato di come il caso gli avesse fatto conoscere la futura moglie) e si innamoreranno.

A questo punto Igarashi spoglia la storia da ogni tensione narrativa. Non si deve indovinare cosa succederà, se i due ragazzi si ritroveranno dopo la vacanza. La fine è nota. La storia si concentra sui piccoli particolari di un incontro tra due sconosciuti che si piacciono fin da subito: un cappello rosso che Sano regala a Nagi, la passione per i film horror, il piacere di mangiare degli spaghetti take away bollenti, la canzone “Beyond the Sea” (“La mer” di Charles Trenet) appena accennata da lei. Come in Aftersun di Charlotte Wells, il trascorrere apparentemente sereno di una vacanza al mare di un padre e una figlia adolescente in realtà nasconde il sorgere di una depressione e della morte, anche in “Super Happy Forever” una vacanza al mare di due ragazzi che si conoscono e si amano cela un’ombra di morte. E i segnali di questa ineluttabilità pur essendo fugaci comprimari, appaiono come presagi: un cliente si sente male nella sauna, l’albergo che sta per chiudere definitivamente, le magliette con gli zombie. Igarashi ci parla del tema più grande di sempre, la perdita di una persona cara e lo fa con una pellicola che affronta questo argomento con grande delicatezza, soffermandosi sull’importanza del ricordo che si lascia alle persone che ci hanno amato o solo conosciuti di sfuggita, come nel caso della ragazza che pulisce le camere dell’albergo. Quest’ultima è l’inconsapevole collegamento tra Sano e Nagi e porterà lo spettatore per mano fino all’ultima scena sul mare dopo la rivelazione finale. Nagi continuerà a vivere anche nel ricordo di questa ragazza, legato ad un semplice cappello rosso. Il senso struggente della perdita sembra attenuarsi e confondersi col rumore delle onde che si infrangono e dei ricordi di quei luoghi.

Ondacinema

Il fluire del fiume non cessa mai, e l’acqua non sta mai ferma. Sulla superficie degli stagni le bolle si rompono e si riformano, senza mai fermarsi. Sono come la gente che sta in questo mondo»: è una poesia, intrisa di filosofia buddhista, del poeta Kamo no Chōmei, vissuto a cavallo tra l’epoca Heian e l’epoca Kamakura. Viene citata in un dialogo tra i due protagonisti del film Super Happy Forever, del filmmaker giapponese Kohei Igarashi, presentato in apertura delle Giornate degli Autori 2024. La metafora orientale del fiume, dello scorrere in una sola direzione, come il tempo e la vita nella sua impermanenza, il concetto di mono no aware, il pathos delle cose, serve al regista per riportare a una saggezza ancestrale, in una società che sembra averla persa in un percorso di occidentalizzazione e materialismo. Così è il pensiero di Sano che non accetta la prematura scomparsa della propria moglie, dopo appena pochi anni di vita insieme, e torna nella località di villeggiatura dove si erano conosciuti per rievocare quei momenti dolci della loro conoscenza e al contempo rifiutare quello che è successo dopo. Così vediamo Sano stizzito che lancia il cellulare nel mare dopo aver risposto a una telefonata di qualcuno che gli ricordava gli impegni presi con la consorte, senza sapere che questa non c’è più.

Come il fluire delle acque del fiume così è il film Super Happy Forever che scorre con naturalezza, senza mai perdersi in digressioni o didascalismi. Così, solo dopo circa venti minuti dall’inizio, viene espressamente detto che Nagi, la moglie di Sano, è morta. Prima la cosa era suggerita e lasciata intendere. Ma soprattutto il film fluisce anche laddove la narrazione non segue una linearità temporale. Il film è infatti giocato su una prima parte nel presente, dove appunto vediamo i due amici ripercorrere i luoghi frequentati nel passato, e una parte del passato stesso dove quegli eventi erano accaduti, completando a incastro le due narrazioni. Ma il film non è diviso in due parti, non c’è una cesura, scorre tra le due narrazioni con il semplice raccordo di una carrellata tra le porte dell’albergo. Con quel movimento di macchina, Kohei Igarashi abbraccia presente e passato, 2023 e 2018, fine e inizio della vita insieme di due persone, esseri viventi e fantasmi, senza soluzione di continuità. Presente e passato sono contrappuntati da elementi ricorrenti. Il primo del quale è il berretto rosso smarrito, che diventa un’ossessione come lo slittino di Quarto potere, di cui solo all’ultimo verremo a conoscere il destino. L’altro elemento è la canzone Beyond The Sea, la versione inglese della canzone francese La mer di Charles Trenet, che torna al cinema dopo essere stata usata anche da Miguel Gomes nel suo ultimo film Grand Tour, ma anche in tanti film come Goodfellas. Si tratta di una tipica canzone balneare che esalta gli amori sulla sabbia e tra le onde.

Il mare di Super Happy Forever è lo stesso mare che guardano i due anziani coniugi seduti sul muretto di Viaggio a Tokyo, una scena iconica del cinema nipponico. Il film di Igarashi si svolge infatti in parte nella stessa località di quel momento del film di Ozu, Atami, dove avviene il primo incontro tra Sano, Nagi e Myata, e di cui, nella scena successiva, a cena, viene spiegata la derivazione etimologica, come il mare caldo. E il territorio è quello della penisola di Izu, ancora nella filmografia del grande cineasta, un luogo di fuga dalla metropoli tentacolare. Due tra i suoi pochi film non ambientati a Tokyo, Storia di erbe fluttuanti e il suo remake Erbe fluttuanti, hanno come sfondo la stessa penisola. In quei luoghi gravidi di memorie cinematografiche nazionali, Igarashi guarda al cinema americano. I due personaggi scoprono infatti il comune amore per i film di zombi come quelli di Romero. Il che in fondo è un altro modo, con un altro linguaggio cinematografico e in una diversa cultura, per fare coesistere nello stesso film i vivi e i morti.

Quinlan