Stella è innamorata

Sylvie Verheyde

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Per Stella è l’anno della maturità. Ma di questo a lei non importa. Ciò che scopre, in quell’anno, sono i Bains Douches, gli anni Ottanta, Parigi e le sue notti folli. Le sue amiche non fanno altro che studiare, suo padre se n’è andato con un’altra donna e sua madre è depressa. E poi c’è André. Bello, nero e misterioso. André che balla da Dio. Per la sua vita, Stella lo sa, sarà un anno decisivo.
DATI TECNICI
Regia
Sylvie Verheyde
Interpreti
Flavie Delangle, Marina Foïs, Benjamin Biolay, Louise Malek, Prune Richard, Agathe Saliou, Claire Guineau, Dixon, Léonie Dahan-Lamort, Paul Manniez
Durata
110 min.
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Sylvie Verheyde, William Wayolle
Fotografia
Léo Hinstin
Montaggio
William Wayolle, Alexandre Westphal
Musiche
Nousdeux The Band
Distribuzione
No.Mad Entertainment
Nazionalità
Francia
Anno
2022

Presentazione e critica

Parigi, fine anni Ottanta. Stella è una studentessa con una serie di problemi, personali, psicologici e familiari. Vive nel bar di sua madre, fin quando non viene venduto per debiti. Ha una famiglia problematica, una madre disoccupata, un padre assente, una scuola che non la stimola, tutto sembra remare contro la sua felicità. Finché un giorno, insieme alle inseparabili amiche, incontra in discoteca un ragazzo che le piace tantissimo e con cui, per la prima volta, si lascia andare. Un coming of age che è anche una storia di amicizia raccontata a partire da un contesto di disagio sociale.

Stella è innamorata di Sylvie Verheyde si potrebbe anche intitolare “L’amica non geniale”, con le dovute differenze di ambientazione e con la voce narrante della protagonista ancora più presente/insistente. È lei stessa a raccontarsi, in tutte le complessità che attraversa durante un anno universalmente importante, quello della maturità. Ragazza problematica, con difficoltà a dormire senza luce, la fobia degli ascensori e una fatica comprensibile a comprendere e gestire i propri sentimenti, Stella si sente “una buona a nulla”, come le ripete spesso sua madre. Teme che nessuno possa innamorarsi di lei e che non riuscirà mai a diplomarsi. Cresciuta in un bar in condizioni precarie, tra maltrattamenti, separazione dei suoi e ombre di abusi, trova sollievo soltanto nelle uscite con le amiche, con cui si confida e si sfoga, evadendo dal quotidiano. Convince la protagonista Flavie Delangle, un bel mix tra la Natalie Portman di Leon, Audrey Tautou di Il favoloso mondo di Amelie e Adele Exarchopoulos di La vita di Adele, per quanto questo film non abbia lo spessore narrativo dei film citati. Autobiografico e seguito ideale dell’opera precedente di Verheyde, il film sfoggia un’anima volutamente vintage, un po’ in stile Il tempo delle mele, ambientato in una Parigi notturna degli anni Ottanta, ben prima dell’era della digitalizzazione capillare. Forse perché, come insegna Greta Gerwig con il suo inarrivabile LadyBird, per raccontare bene l’adolescenza bisogna fare a meno dei cellulari. Ma non delle discoteche, culla cruciale di divertimento ed evasione, crocevia di incontri magici.

La regia sa raccontare bene, anche da un punto di vista estetico, le altalene emotive dell’adolescenza calandole realisticamente nei loro contesti, tra banchi di scuola, pista da ballo, chiacchierate tra amiche sotto le luci stroboscopiche come al buio di una camera. La sceneggiatura vanta una buona introspezione psicologica della protagonista, meno dei personaggi secondari, che restano come abbozzati. La più raccontata, dalla prospettiva polemica tipicamente adolescenziale, ma anche dall’occhio adulto che ne osserva le azioni discutibili, è sicuramente la madre – il film è dedicato alla madre della regista, non a caso – interpretata al meglio da Marina Fois. Il dramma familiare e adolescenziale cede in alcuni punti il passo al dramma sociale, sfiorando in modo interessante e misurato tematiche come razzismo, depressione emotiva e finanziaria, che contribuiscono ad aggiungere verosimiglianza alle vicende dei personaggi raccontati e sfumature tutt’altro che rosee alla parabola esistenziale della protagonista. Una parabola che sa coinvolgere chi guarda non perché si distacchi da altre opere simili, ma per il suo tentativo di essere universale e transgenerazionale: racconta le difficoltà di individuare un posto nel mondo, di capire chi si è e chi si possa diventare, che tutti almeno una volta nella vita hanno provato.

 

Mymovies

Spesso negli ultimi anni la catarsi al cinema si è raggiunta attraverso la danza. Il ballo di Joker, incarnato da Joaquin Phoenix nell’epopea di Todd Phillips, è una delle sequenze più famose di questo millennio. E ancora: le danze sfrenate di Kechiche in Mektoub, My Love: Intermezzo, la performance diabolica di Dakota Johnson in Suspiria di Guadagnino. Le sinfonie notturne adesso arrivano dalla Francia, con Stella è innamorata. Lei è un’adolescente. In estate per la prima volta va in vacanza con le amiche in Italia, a Parigi in inverno si immerge in discoteca. Qui scopre l’amore, la passione, e cerca una direzione per la sua vita. Si delinea un affresco giovane, energico. La regista Sylvie Verheyde realizza il sequel di Stella, in cui raccontava in verità di sé stessa. Forse in parte l’elemento autobiografico è ancora presente nel secondo capitolo, anche se la cineasta si concentra maggiormente sulle luci, sui corpi, sul pulsare della notte. Il titolo è già un’affermazione, una dichiarazione d’intenti. L’analisi della protagonista è sentimentale, stroboscopica. A fondersi sono le cromature del mondo circostante, che si mescolano a canzoni mai scontate.

Il punto di forza è proprio la colonna sonora. In Francia si dimostrano maestri nel tratteggiare sullo schermo età di passaggio, periodi di transizione, costellati di hit senza tempo. L’ultimo esempio è stato Leurs enfants après eux di Zoran e Ludovic Boukherma, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Ma a spiccare sono anche Estate ’85 di Ozon del 2020 e L’Amour ouf di Lellouche. La musica al centro, specialmente oltralpe. L’effetto nostalgia continua a vibrare, anche in Stella è innamorata siamo negli anni Ottanta. Il passato si fa presente, lo spirito è universale. In un racconto ricco di sfumature, mai crepuscolare, che punta verso una nuova alba. È una storia di fughe dalla realtà, di regole mai accettate, di una libertà di cui cogliere l’essenza. A spingere Stella è il mistero, la paura dell’ignoto che si trasforma in fascinazione. E in cinefilia, a metà strada tra Rohmer e Pialat. La chiave è negli sguardi, nei movimenti, nelle lancette dell’orologio che non smettono mai di correre.

 

 

Cinematografo

La regista Sylvie Verheyde torna a raccontare Stella, già al centro nel 2008 del suo secondo film, in cui seguiva le vicende di una preadolescente nel 1977 alle prese con il primo anno delle medie in una prestigiosa scuola parigina, lei proveniente da un contesto modesto, in una famiglia che lavora in un rumoroso caffè, e abita al piano di sopra. Una storia autobiografica, per Verheyde, che a distanza di quindici anni ha avuto la curiosità di raccontare cosa sia avvenuto alla sua alter ego, ora alle prese con un’età complessa. Stella è innamorata, come suggerisce il titolo, lo è per tutto l’anno scolastico e sempre di più quando scopre una passione, la prima che la scuota dal torpore. Quella per una discoteca, Les Bains Douches, ma soprattutto per un ragazzo più grandi di lei, provetto ballerino e musicista, che cita Basquiat e Pollock. Stella scopre il ballo e l’amore, il piacere di sentirsi libera e leggera insieme a sconosciuti che diventano familiari. Può fuggire dal bar dei suoi, mentre nel frattempo il padre se n’è andato con un’altra donna e la madre ha ufficializzato la relazione “a casa” con l’amante. Sylvie Verheyde segue le peregrinazioni di Stella in questo sogno a occhi aperti, poi da sveglia nelle giornate sempre più annoiate e assonate a scuola, mentre la paura dell’esame (e del futuro) la portano a disinteressarsi sempre più a ben riuscire nello studio. Le amiche alternano un ruolo da scudiere comprensive, come negli anni precedenti, a quello di ostacolo alla sua propensione entusiasta alla notte, concentrate come sono all’affermazione nello studio e a ripercorrere le orme di genitori che vengono da un contesto sociale ben più solido del suo.

Flavie Delangle, vista nella versione francese di Skam, è straordinaria nel sostenere interamente questa storia con disincanto e coraggio. Il film è percorso da una febbre insinuante che conquista, quella della scoperta e del batticuore per un presente che si avvicina alle scelte che consolideranno un futuro ancora ignoto. Ipnotico e divertente, ma anche ansioso da mozzare il fiato, come solo quell’età sa essere di punto in bianco, senza avvisaglie. Un viaggio al ritmo trascinante della musica elettronica e degli anni ’80, lungo l’ultimo anno di un mondo consolidato e conosciuto, con tanti sottintesi e speranze per quello che arriverà dopo. Senza fretta, con la giusta incoscienza e un’inevitabile paura, quella di Stella, che è innamorata e niente sarà più come prima, nonostante tutto.

 

Comingsoon