Mara Tamkovich

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Katsaryna Andreyeva e la sua camerawoman Darya Chultsova sono finite in carcere a Minsk solo per aver fatto giornalismo d’inchiesta e, in particolare, per aver ripreso le manifestazioni antigovernative represse dalla polizia del premier Lukashenko. Il film testimonia la sua azione e ciò che il marito ha messo in atto per difenderla.
Un film di denuncia che ci ricorda che la libertà di cronaca va difesa giorno per giorno. L’opera prima della regista polacco-bielorussa Mara Tamkovic è stata realizzata grazie ad un finanziamento del governo polacco nell’ambito di un progetto denominato Microbudget per registi esordienti. Il regolamento stabilisce che la cifra a disposizione non è alta (250.000 euro) e che il film va completato entro circa un anno dopo aver ottenuto il contributo.
Ciò spiega le costrizioni necessarie che hanno finito con il divenire la forza del film. Le riprese sono spesso in interni domestici, la luce è naturale e gli attori sono due o tre. Tutto questo finisce con il mostrare la pervasività di una dittatura nella vita quotidiana. Le ristrettezze di budget fanno sì che a livello di montaggio qualche flashback rischia di creare confusione ma si tratta di un peccato veniale rispetto al grido di denuncia che arriva dalla vicenda di una reporter colpevole solo di aver ripreso e messo in onda la repressione di una manifestazione che denunciava l’uccisione di un oppositore. La comparsa di un drone davanti alla finestra da cui Lena (nome dato al personaggio) sta riprendendo, mostra come le nuove tecnologie possano essere utilizzate per individuare chi non si allinea ai voleri della dittatura. Dopo l’arresto il film ci fa seguire l’azione del marito di cui finiamo con il comprendere che ciò che Lena aveva scambiato per codardia era soltanto il desiderio di lasciare il Paese per continuare la lotta all’estero evitando il carcere.Tamkovic, su cui non si trovano notizie in rete (e non è un buon segno) compie un’operazione coraggiosa che merita la visione. Ogni volta che un/una regista mette la propria creatività al servizio della denuncia di un sopruso (da qualsiasi parte provenga) va sostenuto/a. Si tratta di un tipo di cinema di cui abbiamo bisogno che rischia invece di essere soffocato da un mercato saturo di altri tipi di narrazione.
Ciò vale ancora di più nei casi, come questo, in cui si è di fronte ad un’opera prima. Si tratta di un segnale chiaro e forte. Di un’esigenza di narrazione e di denunzia da soddisfare non appena se ne ha l’opportunità. Mara Tamkovic ha saputo coglierla e proporla senza trasformarla in un pamphlet ma piuttosto raccontandoci la vita di donne e uomini disposti a lottare giorno per giorno affinché le libertà civili non vengano definitivamente conculcate.
Se male non ricordiamo, l’ultima volta che si è parlato di Bielorussia al cinema fu in occasione del film di Agnieszka Holland Green Border nel quale si raccontava l’odissea di immigrati mediorientali sballottati dalla frontiera polacca a quella bielorussa e costretti da un rigoroso regime di polizia ad una difesa strenua delle proprie vite.
Con Sotto il cielo grigio, nella sezione principale del Concorso lungometraggi a 42° Torino Film Festival, la Bielorussia farà di nuovo parlare di sé per il suo regime dittatoriale che soffoca ogni dissenso, ogni libertà di informazione e ogni libero pensiero. Quanto alla Polonia, perché è il Paese dove la giovane regista del film, la bielorussa Mara Tamkovich, si è rifugiata e in cui, nonostante ogni giudizio che si può avere sulla politica polacca, il film ha visto la luce. La storia è ambientata nel 2020 quando, in un’atmosfera clandestina, la giornalista televisiva Lena e la sua operatrice intendono raccontare la rivolta di piazza contro il regime di Lukaschenko. Lo fanno da un appartamento dal quale provano a sfuggire ai controlli della polizia che però le individua e le arresta. Da qui per Lena comincia una lunga odissea giudiziaria che potrebbe finire solo con una sua dichiarazione di fedeltà al regime e di riconoscimento dei suoi errori. Ilya, il marito, giornalista anche lui e suo direttore di testata, le sarà costantemente vicino. Sotto il cielo grigio è ancora una storia di vessazioni politiche, annidata in una sacca di questa Europa così tormentata, invade con la forza di una segreta urgenza, i nostri schermi, attira la nostra attenzione con questo film nel quale la fantasia narrativa che ha dato vita al personaggio di Lena si sovrappone ad una realtà fatta di sfuggente cronaca, sommersa come è stata la storia di Katsiaryna Andreyeva di Belsat TV, alla quale la vicenda del film è ispirata e che sta ancora scontando la pena.
Sotto il cielo grigio rompe il silenzio e con la sua carica di rabbia trattenuta irrompe nella già difficile pacificazione del racconto di questi anni così difficili. Il suo pregio è quello di lavorare intensamente sul personaggio della giornalista e con il determinante contributo della brava Aliaksandra Vaitsekhovich, che sa rendere la fatica e lo sfinimento della detenzione con il suo progressivo sfiorire restituendo credibilità alla storia e all’ansia del racconto. Si è davanti ad un film lineare fatto di una cronaca vivente e nel quale le immagini di repertorio, rubate alla cronaca dei giorni della protesta, si sovrappongono a quelle create dalla regista in un ennesimo racconto disperato in cui si è persa traccia di ogni civiltà. Il film di Mara Tamkovich, con il suo carico di impegno civile, porta con sé un soffocato dolore che sembra raccogliere l’eco del film di Agnieszka Holland. Un cinema che ci arriva dai confini di un’Europa, con storie che non vorremmo vedere ma che non possiamo ignorare.
Dramma da camera con vista totalitaria. È Under the Grey Sky, esordio della polacco-bielorussa Mara Tamkovich presentato in prima mondiale al Tribeca Film Festival e laureato al Polish Film Festival di Gdynia migliore opera prima o seconda. Con due camere e prigione, anziché il proverbiale tinello, si torna alla Bielorussia del 2020, allorché si protesta per le elezioni truccate: la giornalista antiregime Lena trasmette live la brutale repressione di una manifestazione pacifica, finendo per essere ripresa da un drone della polizia. La donna, insieme all’operatrice, viene arrestata: Ilya fa di tutto per liberarla, ma le autorità sono di diverso avviso.
Scritto e diretto da Tamkovich, aperto da flashback sulla coppia, il film è ispirato alla storia vera dei giornalisti bielorussi Igor Ilyash e Katsiaryna Andreyva, arrestati nel novembre 2020.
“Nei miei personaggi cerco una prospettiva personale e umana su come affrontare un mondo del genere. Come può un individuo opporsi al sistema?”, riflette la sceneggiatrice e regista, che davanti alla camera mette lo stato dell’arte in Bielorussia: dal 2020, oltre 136.000 persone hanno subito vari tipi di persecuzioni politiche e quasi 1.400 sono da considerarsi prigionieri politici – il numero effettivo è molto più alto e aumenta ogni giorno.
Under the Grey Sky fa di piccolo budget non ristrettezza poetica ma surplus formale (luce naturale, interni, pochi personaggi), declinando l’impegno civile in guerrilla style: secco, schietto, qui e là rischiarato da insight politico-relazionali à la Asghar Farhadi, Under the Grey Sky è un piccolo grande film. Portatecelo in Italia.