She, Othello

Raffaella Rivi

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Nel 1623, sette anni dopo la sua morte, viene pubblicato il First Folio di Shakespeare, volume che raccoglie il lavoro del drammaturgo inglese. Romeo e Giulietta, Amleto, Otello solo per citarne alcune, sono opere in grado di creare a distanza di 400 anni una fascinazione che determina destini e passioni. Che accadrebbe se incrociassimo alcuni di questi destini? Il progetto propone un viaggio tra diversi mondi che si approcciano da molti punti di vista all’opera del Bardo costruendo un percorso che mostra le tante sfaccettature del lavoro di Shakespeare, la sua attualità. Con l’aiuto di studiosi di prestigiosi atenei italiani ed esteri, il documentario cerca di capire come nasce uno dei suoi testi più famosi, l’Otello, come viene incluso nel First Folio, quali sono le tematiche che lo caratterizzano e come possa essere vissuto e messo in scena oggi, grazie alla compagnia teatrale Swan, dall’ideazione fino alla messa in scena.
DATI TECNICI
Regia
Raffaella Rivi
Interpreti
Federica Girardello, Francesca Fava
Genere
Documentario

Presentazione e critica

Un documentario sul processo ideativo, creativo e produttivo dello spettacolo teatrale “Othello Reverse”, un adattamento dell’Otello ad opera della compagnia teatrale Swan – l’unica compagnia shakespeariana in Italia composta da sole donne – che prevede un ribaltamento di genere dei ruoli. Una rilettura che reinterpreta la poetica del Bardo alla luce delle istanze e del pubblico contemporaneo. Un “work in project” in quattro atti come dialogo fra testi più interessante che audace. La ricchezza di intuizioni “intellettuali” non compensa la mancanza di apertura all’immaginazione.

“Benvenuti ne bel mondo che per voi abbiam creato. Un mondo che è reale anche se inventato. Immaginate un mondo al contrario di quel che è… “. È sempre affascinante rileggere Shakespeare filtrato da lenti diverse, certamente attualizzanti e magari, come in questo caso, orientate al ribaltamento speculare di genere. Che effetti potrebbe sortire sul pubblico, sugli attori e, non per ultimo, sul senso stesso del testo?
Tale è la questione da cui muove il “work in project” delle interpreti della compagnia teatrale Swan, operativa in Veneto, mentre s’immagina di riscrivere l’Otello ribaltando i ruoli: i personaggi maschili sono donne, quelli femminili sono uomini, ma senza cambiar loro di nome. Con visibile passione, la regista Raffaella Rivi, che si dedica soprattutto a video-sperimentazioni e al teatro di ricerca, accompagna con la sua videocamera il viaggio delle protagoniste e dei protagonisti di She, Othello, documentario non casualmente e un po’ ironicamente sottotitolato “Una questione del genere”. L’approccio è piuttosto classico, alternato fra lo shooting delle autrici/attrici che progettano il testo da mettere in scena, il loro “recitare” rivolgendosi direttamente al pubblico ovvero con lo sguardo in macchina, e alcune talking head rappresentate da studiosi in materia sia italiani che internazionali.

Il film è scandito in quattro capitoli: La scelta, Il ribaltamento, Gli stereotipi, La traduzione. Se nel primo segmento viene di fatto presa la decisione di creare quel mondo al contrario di cui l’incipit, motivandola sull’efficacia della sostanza tematica perfettamente intonata al presente con ardite ma corrette corrispondenze (oggi Iago sarebbe un hater, le maschere contemporanee sono i Social, Otello crede alle fake news…), è nel secondo capitolo che viene finalmente consacrato “il ribaltamento” con tutte le sue complessità.

Al centro del ragionamento, infatti, è il tema del potere – sempre alla base delle tragedie del Bardo – e della sua violenta assunzione: come gestisco le donne? Come si “ribalta” la violenza se a compierla sono le donne? Affrontando il terzo movimento, gli stereotipi, le Swan articolano il tema della diversità osservata su vari piani identitari e dunque di rappresentazione, mentre rispetto alla quarta e ultima parte, si accingono a ragionare sulle problematiche di linguaggio (specie quello di natura sessista) insite nella traduzione/adattamento.
Complessivamente il documentario di Rivi può leggersi come un dialogo con la creazione progettuale di un altro testo, producendo così un’operazione di meta-testualità, e appunto di “messa in progetto” più che di messa in scena.

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