Francesco Amato
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
La commedia italiana, portata ad un altro livello. Un livello diverso, un universo a sé, dove la comicità, oggi fragile e in via d’estinzione, trova nuova linfa, seguendo lo spirito imprevedibile di attori (comici) che, però, sono anche autori. Dunque, nulla è lasciato al caso, e anzi, come dimostra il film, c’è voglia di raccontare, di far sorridere, ma anche e soprattutto c’è voglia di prendere parte alla causa. In qualche modo, c’è la voglia e la necessità di esprimere opinioni importanti attraverso il mezzo splendidamente nazionalpopolare che è il cinema. Un mezzo che arriva a tutti, altroché. Lo stiamo capendo, lo stiamo rafforzando: un obbligato plurale maiestatis perché, alla fine, siamo tutti sulla stessa barca. Ecco allora che dietro l’umorismo, Santocielo di Francesco Amato, con protagonisti Ficarra e Picone, si rivela più profondo di come appare, meno esuberante di ciò che sembra, più stratificato e mai semplicista (al netto di alcune flessioni fisiologiche indotte dalla durata, ben due ore).
Santocielo è una commedia, e chi sceglie la commedia insegue il buon umore, che di questi tempi è merce rara: vi avvertiamo, affinando la loro poetica, Ficarra e Picone non cercano mai la risata facile (ma ci sono diverse trovate davvero esilaranti), né inseguono la via della scorciatoia. Anzi, Santocielo è, nella sua importate durata, un film volutamente portato a compimento, riempito di temi sociali mai lanciati ma sempre suggeriti, ben legati alla sceneggiatura e ben legati ai personaggi (e alla loro tangibile evoluzione). Il tutto, alleggerito da un pretesto che ci ricorda Niente di grave, suo marito è incinto con Marcello Mastroianni o il cult con Arnold Schwarzenegger, Junior di Ivan Reitman. Ma, appunto, è solo un pretesto: dietro un uomo incinta, il valore della commedia di Santocielo viene strutturata in disamina contemporanea, affrontando argomenti tutt’altro che secondari. Sì, un uomo incinta. Anzi, incinta del nuovo Messia. Lassù, il Paradiso è in fermento. Gli uomini stanno distruggendo il pianeta, tra guerre e inquinamento, e Dio in persona, indice una votazione tra gli angeli: diluvio universale, o un altro Messia, dopo duemila anni? Per un solo voto, viene scongiurata la pioggia apocalittica. Ma chi mandare sulla Terra? Si offre volontario Aristide, che poco conosce gli umani. Appena sceso, combina l’impensabile: per errore, finisce per mettere incinta Nicola, un misogino, bigotto e pregiudizievole professore di una scuola cattolica, che non vuol concedere il divorzio a sua moglie Giovanna per non sfigurare davanti la suora che dirige l’istituto. Come rimediare al patatrac? L’errore macroscopico unirà il puritano Nicola e Aristide, intanto invaghitosi di Suor Luisa.
La forza più grande di Santocielo è l’accessibilità. Lo abbiamo scritto tante volte, il cinema italiano, oggi, pare stia puntando sempre più sui family movie. Peccato però che i family movie, per come spesso vengano intesi, risultano ridicoli, macchiettistici e molto poco adatti al grande schermo. Ecco, l’intelligenza di Santocielo sta proprio nella modulazione narrativa ideata da Ficarra e Picone: sfruttando i cliché, di cui il personaggio di Nicola si fa riassunto, viene messo in moto un umorismo garbato eppure pungente, ricercato eppure scorretto (o corretto?) nelle sue stoccate. Del resto, Santocielo riflette – divertendosi e divertendo – sul ruolo maschile all’interno della famiglia, e su quanto bisogna rintracciare una nuova connessione tra l’uomo e la gravidanza. Un film che parla di famiglia senza aggettivarla, ma prendendo appunto la posizione più naturale e giusta possibile: l’amore. Non una questione di genere, non una questione di identità, bensì di consapevolezza, di empatia, di ruoli che si invertono perché, ora, abbiamo perso la capacità di “metterci nei panni degli altri”. Temi importanti, certo, ma mai sciorinati con tono saccente, tuttavia amalgamati in un umorismo alla portata di tutti. Un pregio, appunto: Ficarra e Picone arrivano trasversalmente al pubblico nel loro archetipo comico e sornione, nel loro essere continui e collegati nelle battute che uno inizia e l’altro finisce. Due che stanno al gioco, come stanno al gioco, dettandolo, Barbara Ronchi e Maria Chiara Giannetta, attrici incredibili nella loro intelligenza scenica ed espressiva. Dunque, nessun ruolo femminile di contorno, anzi. Sono loro il centro di Santocielo, ed è la parte femminile, scoperta da un retrogrado professore, che prende ben presto il sopravvento nella seconda metà, mostrando la verità da un’altra angolazione, nonché smussando le indecisioni di una parte centrale che si blocca di netto, soffrendo un minutaggio probabilmente eccessivo (in fondo, una gravidanza dura nove mesi!) per una commedia. In fine, e fin dal titolo, lo spunto della religione: la Fede viene trattata con equilibrio ma con giusta fermezza, tanto che si affronta il valore della preghiera, molto diversa dal concetto di religione. Del resto, se sono gli uomini che rendono la religione antiquata e schematica, allora forse è arrivato il momento di guardare avanti, accettando la più naturale delle verità: se c’è amore, c’è famiglia.
C’erano tante idee che bollivano in pentola per Ficarra e Picone. Idee che hanno trovato una strada e preso una forma grazie all’aiuto del regista Amato, da cui è poi nata una commedia dal retrogusto amaro, ma che si mostra con una grande tenerezza. Come gli stessi protagonisti ci fanno capire, Santocielo è un film che vuole confrontarsi con il suo pubblico su più tematiche, attualissime, in maniera chiara e leggibile, senza fare la morale a nessuno. Una fra queste è la religione, come dicevamo, e il mal uso che se ne fa, anche a causa di alcune imposizioni della Chiesa, poiché spesso legata a doppio giro con i pregiudizi, questi ultimi pilastro portante dell’intera storia. Da sempre la religione – in tal caso quella cristiana – è vista come una dottrina dominata da regole imprescindibili, quando in realtà, ci dicono Ficarra e Picone, serve solo per creare un legame astratto con quel qualcosa che va oltre la nostra stessa comprensione, di cui abbiamo bisogno semplicemente per saperci meno soli in un mondo in cui sentirsi persi e incompresi è una condizione quotidiana.
Perché questo è, in sostanza, il concetto di fede (ed è qui che il film si fa puramente natalizio), e di cui Santocielo ci parla usando come canale preferenziale Suor Luisa, secondo la quale pregare è un’azione che serve a far star bene noi soltanto, a prescindere se “lassù” qualcuno ci ascolta o esaudisce le nostre richieste. Come ci dimostra il film, è stato proprio l’uomo, poi, con il suo bigottismo – incarnato in Nicola in primis – ad averla utilizzata come mezzo per stigmatizzare ciò che non è – per lui – convenzionale. Il modo migliore per mostrarci quanto sia sbagliato giudicare gli altri, i quali usano spesso come attenuante la religione e le “leggi della Chiesa”, è quello di far diventare qualcosa di impossibile, possibile. Come un uomo incinto (Nicola per l’appunto), che solo facendo sua l’esperienza più alta, intima, e piena d’amore che possa esserci, la gravidanza, capisce che ci sono cose che vanno al di là di quello che gli altri ci vogliono imporre come principio indiscutibile; e al di là di qualsiasi visione esterna deformata. Ficarra e Picone diventano perciò provocatori nelle loro battute, e in tutte quelle situazioni improbabili o equivoche che rappresentano, raccontandoci attraverso di esse il mondo di oggi, le sue contraddizioni e storture, trovando nell’ironia dissacrante un modo sempre intelligente – ma comunque tagliente – per fare critica sociale. Beneficiando di molte analogie con la nascita di Gesù, il duo di comici ci dice con semplicità, evitando di cadere in scene verbose o stucchevoli, quanto spesso ci facciamo influenzare dal pregiudizio altrui, e quanto plasmiamo i nostri comportamenti e il nostro modo di ragionare in base a ciò che pensano gli altri, come appunto avviene con Nicola. Il quale, però, grazie alla dimostrazione del vero amore, che sperimenta con il figlio che ha in grembo, con la vicinanza di un amico quale Aristide e con gli abitanti di un paesello che invece di accusarlo e deriderlo come fanno quelli di città, lo accolgono e proteggono, riuscirà ad avere una visione molto più “sana e pura” della vita. Capendo che è solo avendo il coraggio di lasciarsi andare, rompendo le barriere mentali, che si possono scoprire – e capire – gli altri, ma soprattutto se stessi. Santocielo, perciò, diventa una commedia significativa per i tempi che corrono oggi, in cui non si accettano ancora le coppie gay (Aristide e Nicola sono mal visti pur non essendo davvero una coppia), i divorzi, la libertà d’espressione e la parità dei sessi. In particolare quest’ultima è quanto più importante, estremizzata sì dalla gravidanza di un uomo, ma che come dice lo stesso Amato “è un argomento molto “sentito” in un’epoca in cui agli uomini finalmente viene chiesto di assumere responsabilità sulla famiglia che non siano solo di sostentamento, ma anche e soprattutto di ordine affettivo.”