Marco Bellocchio
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
Lo diciamo subito: il papa Pio IX di Paolo Pierobon (eccezionale) popolerà per giorni i vostri incubi. Come un vampiro, avvolge le mani prepotenti sul piccolo protagonista, privandolo della sua identità. A un anno dalla presentazione di Esterno Notte a Cannes, Marco Bellocchio torna al festival francese con un nuovo film, ancora una volta mastodontico.
Con Rapito Bellocchio racconta la storia vera di Edgardo Mortara, bambino ebreo bolognese sottratto alla propria famiglia nel 1858 e portato a Roma per essere educato secondo la fede cattolica, perché battezzato in segreto da una domestica, che non voleva vederlo finire nel limbo. Mortara non è stato l’unico ragazzo tolto al proprio nucleo familiare dallo Stato Pontificio. In un momento storico in cui il Vaticano vedeva in pericolo il suo potere (nel 1870 ci sarebbe infatti stata la breccia di Porta Pia), papa Pio IX cercava con ogni mezzo di riaffermare la propria autorità. Religione, politica, l’influenza che il potere ha nelle nostre vite: il regista torna ad affrontare i temi a lui più cari raccontando un fatto storico come se fosse un horror. Le donne che portano Edgardo a Roma sembrano delle streghe, avvolte in un velo nero, facendo leva sul suo senso di colpa: quando chiede di vedere la mamma gli dicono “te lo devi meritare”. Ormai forte di una totale libertà, il regista ha il coraggio di fare un horror di possessione in cui il demone è la Chiesa cattolica, che, inevitabilmente, in Italia ha un potere enorme, influenzando le vite di tutti, più o meno consapevolmente.
La lotta interiore del protagonista non è soltanto per ritornare dai suoi affetti, ma soprattutto una battaglia per difendere la propria identità. Religiosa e intellettuale. Scelto per diventare un soldato di Cristo, Edgardo a poco a poco si trasforma, lasciando che la conversione alla fede cattolica cambi anche la sua emotività. Sempre più distante da genitori e fratelli, finisce per vedere proprio in Papa Pio IX una figura paterna.
Quanto l’ambiente in cui cresciamo sia determinante per le persone che diventeremo è uno dei punti più interessanti di un film ricco e denso di suggestioni. Per essere più forti di ciò che ci circonda bisogna avere una determinazione e una sicurezza in se stessi enorme. E un sistema capillare come quello della Chiesa cattolica è davvero difficile da mettere in discussione. E nel mostrare questo Papa vampiro, Bellocchio parla anche della politica contemporanea. Quando fa dire a Pierobon: “Non sono reazionario, io resto fermo: è il mondo che si muove verso il precipizio” sembra di ascoltare diversi politici di oggi, che non vogliono riconoscere l’evoluzione di una società che ormai è molto più evoluta di loro.
Se è vero che l’ambiente è determinante, quello che si è creato sul set del precedente film di Bellocchio deve essere stato particolarmente florido: il regista recupera molti degli attori con cui ha lavorato in Esterno Notte, da Fabrizio Gifuni a Fausto Maria Alesi, che interpreta il padre di Edgardo, Salomone, compreso lo stesso Pierobon, ottenendo da loro prove di altissimo livello. Proprio Alesi e Barbara Ronchi, che nel ruolo di Marianna, madre del protagonista, hanno le scene più intense dal punto di vista emotivo, dando a questi genitori privati di un figlio un’umanità straziante.
Scritto da Bellocchio insieme a Susanna Nicchiarelli ed Edorado Albinati, premiato autore di La scuola cattolica, e reso cupissimo dalla fotografia plumbea di Francesco Di Giacomo, Rapito è anche un film sul conflitto che, prima o poi, ognuno di noi sperimenta sulla propria pelle: quello che porta a scontrarsi tra loro chi siamo veramente e ciò che vorremmo essere.
Quando la Chiesa interviene, il governo tace. Se c’è di mezzo la religione, la famiglia obbedisce. Dio è ovunque, Dio è dappertutto, in cielo e in terra. Non c’è regola statale per la parola di Dio.
Abbasso il dominio di Papa Re Pio IX. Si legge questo in un frame di Rapito, il nuovo film di Marco Bellocchio liberamente ispirato a Il caso Mortara di Daniele Scalise presentato alla 76ª edizione del Festival di Cannes. Nel 1858 Papa Pio IX era il re dei cristiani, il pastore assoluto a cui il popolo italiano mostrava profonda devozione. Ogni sua parola era legge divina. Tanto che proprio in quell’anno la sua potente autorità bussa alla porta della famiglia Mortara. Ebrea, di origine e di credo religioso. L’ordine è quello di portare via il piccolo Edgardo Mortara di appena sei anni e impartirgli un’educazione cattolica. A nulla serve opporsi: il bambino quando era ancora in fasce aveva ricevuto di nascosto il battesimo. Edgardo è quindi un bambino cristiano e deve vivere con loro. Il caso esplode a Bologna, tra lacrime e disperazione. Ma cos’altro può fare una famiglia afflitta se non rivolgersi alla comunità ebraica romana fedelissima al Papa?
Passano gli anni. La vita continua. Edgardo pensava che se avesse fatto il bravo sarebbe tornato a casa. A patto che la famiglia si fosse convertita. Il bambino comincia a metabolizzare i principi cristiani, a imparare le preghiere in latino, a “dimenticare” quelle ebraiche e a sposare il Dio cattolico. La famiglia originaria diventa un lontano ricordo. La sua “nuova” famiglia lo accoglie, lo istruisce, lo forma. Rapito è un coming of age tutto all’italiana, se così si può definire. Ma rapito è una parola chiave, di grande senso psicologico: il rapimento, l’essere strappato dalla famiglia, trascina azioni e reazioni sopite, rabbia repressa, anche e soprattutto nei vent’anni seguenti trascorsi tra messe, omelie e insegnamenti
Bellocchio conduce un’indagine religiosa e psicanalitica, in piena cifra stilistica: visioni oniriche – una bellissima sequenza in chiaroscuro ambientata in Chiesa mette i brividi – la croce, metafora simbolo cara anche a Esterno Notte (2022). E la dimensione privata, dalla solida componente psicanalitica appunto, e quella politica che “viene fuori da sola, quando vado nell’intimo di certi personaggi”, come rivela Bellocchio stesso. Diversamente da Esterno Notte con il caso Moro raccontato da più punti di vista, è la storia vera a narrare Rapito, nei fatti così come sono accaduti. Con la breccia di Porta Pia nel 1870, la caduta dello Stato Pontificio, la rivoluzione in casa Mortara, la conversione come nuova sorgente di vita e il finale struggente nel forte bisogno di spiritualità.
La presenza di Dio è costante. In ogni inquadratura, tanto nella dottrina ebraica quanto in quella cattolica. In Edgardo piccolo (Enea Sala) e adulto (Leonardo Maltese). In ogni scena mistica costruita su dialoghi scritti da Marco Bellocchio e Susanna Nicchiarelli (Chiara, 2022). Tuttavia il modus operandi registico non si schiera contro il dogma cristiano. Piuttosto mette in discussione l’istituzione religiosa stessa. Rapito colpisce, arriva dritto al cuore, e ci mostra un fatto di cronaca reale che ha scardinato il potere ecclesiastico. Bisogna aspettare la parte finale per capire se ci sono vincitori o sconfitti, anche se tende più a simpatizzare per una visione finzionalizzata della costruzione dialogica.