Johnny Depp
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Settantadue ore nella vita dell’artista bohémien Amedeo Modigliani – Modi per gli amici – in cui si susseguono un vortice di eventi nella Parigi del 1916, dilaniata dalla guerra. In fuga dalla polizia, il desiderio di Modi di porre fine alla sua carriera e abbandonare la città è ostacolato dai suoi colleghi Maurice Utrillo e Chaim Soutine e dalla sua musa Beatrice Hastings. Modi chiede così consiglio al suo amico e mercante d’arte Leopold Zborowski. Tuttavia, dopo una notte di allucinazioni, il caos nella mente di Modi raggiunge il culmine quando si trova di fronte a un collezionista americano, Maurice Gangnat, che ha il potere di cambiare la sua vita.
È questa la traccia narrativa di Modi – Tre Giorni sulle Ali della Follia, opera seconda del mitico Johnny Depp che passa ancora una volta dall’altra parte della macchina da presa dopo Il Coraggioso del lontanissimo 1997. Modi è basato sulla quasi omonima commedia teatrale di Dennis McIntyre dal titolo Modigliani. Protagonista, suo malgrado, di una delle più rocambolesche storie di cinema. Perché di un ipotetico Modi si parla dal 1979. Solo che all’epoca ci sarebbe dovuto essere Al Pacino come protagonista – che di Modigliani acquisì i diritti di utilizzazione economica – e che nei decenni successivi ha visto avvicendarsi in cabina di regia Francis Ford Coppola, Bernardo Bertolucci e Martin Scorsese. A un certo punto, all’inizio degli anni Duemila, impossibilitato a trovare un regista, proprio Pacino dietro la macchina da presa e sempre figurando come produttore. Il protagonista? Ovviamente Johnny Depp a cui propose il ruolo di Amedeo Modigliani durante la lavorazione di Donnie Brasco. Nonostante il coinvolgimento di grossi nomi, tuttavia, Pacino trovò difficoltà a trovare finanziamenti per il film. E questo ci porta all’oggi, con Modigliani che diventa Modi e Depp che da protagonista passa dietro la macchina da presa e trova in un inaspettato Scamarcio il suo interprete: un perfetto alter-ego. Da questo punto di vista, infatti, c’è si, il talento di uno Scamarcio ormai maturo e capace di gestire perfettamente le inerzie di un personaggio storico così rilevante e complesso, ma dall’altra si avverte come una certa guida maestra da parte di Depp nella direzione attoriale. Come nella (formidabile!) sequenza d’apertura che sembra quasi uscita, per ritmo e spirito, da una scena tagliata di Pirati dei Caraibi.
Da lì parte una parabola di grandezza decadente e sogni mancati, incubi vividi e sporcizia, e follia e creatività che vanno a cementificare il contesto narrativo e le intenzioni sceniche di un Modi che più che indagare – come ci si aspetterebbe (del resto, nemmeno Kirill Serebrennikov lo ha fatto con Limonov) – le ragioni del processo creativo di Modigliani, ce ne restituisce appena uno scorcio, preferendogli, invece, la più facile – e cinematograficamente più interessante – vita avventurosa da tragico bohémien falcidiato da una tubercolosi che non gli darà scampo: e funziona in ogni caso la seconda regia di Depp.
Il tratto esoterico di Amedeo Modigliani anticipa di un secolo, nella sua verticalità formale, il tempo di Instagram. Irriverente, irrispettoso, l’artista in vita è stato irriso, dileggiato e più semplicemente incompreso per l’ermetismo e il distacco delle figure, un’ignoranza che gli occhi e le bocche enigmatiche delle opere non aiutavano a diradare. Il secondo lungometraggio di Johnny Depp, tratto dall’opera teatrale Modigliani: A Llay in Three Acts di Dennis McIntyre, inquadra un segmento parigino lungo tre giorni. Siamo nel 1916 e la capitale francese, translata sulle strade di Budapest, risente del doppio flagello della guerra e dell’influenza spagnola, che si materializza nei panni di un inquietante medico della peste. Modigliani, come Chaïm Soutine e Maurice Utrillo, suoi compagni d’arme, vive di espedienti, elementi di quella Rive Gauche maledetta che finirà sui manuali di studio. Lontani dai salotti che contano, poveri e liberi, trovano la verità nelle esperienze quotidiane di sopravvivenza, nei deliri alcolici delle taverne di infima fama e negli eccessi di follia provocati dall’indigenza.
La loro storia d’amore è la linea di contrasto e di luce che il film decide di opporre al buio dell’amarezza per il talento misconosciuto, in grado di illuminare tra le diverse e contrarie visioni dell’esistenza, ed introdurre l’altra tematica importante che riguarda il discorso artistico. A chi spetta determinare la capacità di un artista? Una delle possibili risposte finisce in un dialogo al ristorante tra Modigliani/Scamarcio, ancora in maudit mode dopo il ruolo di Caravaggio nel film di Michele Placido, ed un avido mercante d’arte interpretato da Al Pacino, che di stoffa ancora ne ha da vendere. Da lì nasce anche la connessione con la moderna abitudine di esaurire nel presente le opzioni, tagliando en tranchant il filo invisibile che lega il passato ed il futuro con una dubbia attribuzione di valore economico, e trascura la prospettiva d’insieme. Probabilmente sconnesso, quello che affascina dello sguardo di Depp è la ricerca di un’innocenza minacciata ad ogni passo dai cattivi maestri, di un bisogno di purezza, di risolvere la complessità in un calice di autentico piacere. Uno sguardo vagabondo che si rivolge innanzitutto agli umiliati, alle persone guardate con sospetto, alle vittime di una società che si permette di emettere un giudizio fatto soltanto di insolenza, incapace di vedere qualcosa che brilla in profondità sconosciute.