Bogdan George Apetri
Premio Giuria Interreligiosa Miglior Film al Tertio Millennio Film Fest, 2021
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Attività
Presentazione e critica
La giovane suora Cristina esce di soppiatto dal monastero dove vive e si reca in città per sbrigare una faccenda urgente. Dopo aver girato tra l’ambulatorio di un ospedale, un palazzo della periferia e una stazione di polizia, decide di fare ritorno al monastero e sale a bordo di un taxi. Nel corso del viaggio, però, è assalita dal tassista e brutalmente violentata. Indagando sul caso, l’ispettore Marius Preda ricostruisce la giornata di Cristina e prova a farsi raccontare da lei, ridotta in fin di vita, come sono andate le cose. Marius rintraccia il presunto colpevole, lo porta sul luogo del delitto e in preda a una rabbia cieca gli intima di confessare. La situazione gli sfugge di mano, ma un miracolo inatteso lo attende…
Diviso in due blocchi, con due protagonisti antitetici, il film oppone visioni opposte della realtà: una fideistica, l’altra materialista; una spirituale, l’altra tenacemente razionale. Bogdan George Apetri, regista al terzo lungometraggio e nel 2010 autore di un esordio, Periferic, nato da un soggetto di Cristian Mungiu, cerca una sintesi tra le due trame complementari del suo film (una più misteriosa e l’altra speculativa) e fra i mondi contrapposti che mette in scena. Giovane, bella, misteriosa, Cristina rappresenta l’innocenza disarmata; aggressivo e risoluto, Marius incarna invece l’esperienza di chi accetta e combatte il male del mondo, ma non può nulla per impedirlo. Marius è al servizio di Cristina, lotta per dare un volto al suo assalitore, ma anche Cristina interviene in favore di Marius, arrivando laddove la ragione non può.Tra questi due mondi e dimensioni – che in Oltre le colline lo stesso Mungiu rappresentava in modo più complesso, costruendo una realtà dove il male era accennato, e per questo spaventoso – c’è un intero Paese, la Romania, diviso fra tradizione e modernità, religione e giustizia; fra l’arretratezza di una campagna dove greggi di pecore bloccano il traffico e i cavalli attraversano paesaggi da western e la modernità di città di cemento che inghiottono esistenze.
Miracle – Storia di destini incrociati non ha la precisione di Sesso sfortunato o follie porno, in cui Radu Jude faceva di una passeggiata a Bucarest un’antologia di parole, immagini e attitudini della società contemporanea. Ciò nonostante, nei paesaggi urbani attraversati dall’attonita Cristina, si scorge ancora pienamente, a diversi anni dall’affermazione internazionale del nuovo cinema rumeno, uno sguardo radicato nella cultura di una nazione, nei suoi spazi e nel suo tempo.
La radio, ad esempio, ascoltata nei viaggi in macchina che sia Cristina sia Marius compiono nel corso del film, diventa una sorta di trait-d’union: i programmi trasmettono continuamente classici della canzone rumena e tra passato e presente, memoria e realtà, si coglie la condizione incerta di una nazione, la solitudine di chi ha ucciso (letteralmente) il padre e non ha saputo sostituirlo. «Forse verrà qualcuno a occuparsi di questo paese», dice un personaggio, ma subito dopo un altro gli chiede se per caso crede ancora ai miracoli…
Nel film di Apetri un miracolo risolve il racconto, alla maniera dei misteri popolari, ma non offre risposte certe. Ciò che avviene potrebbe essere un intervento dall’alto o un semplice desiderio avverato. Visivamente, il punto di svolta del film è mostrato come un riflesso, un attimo che cancella la tensione formale tra l’ampiezza dei piani sequenza (impressionante quello che riprende lo stupro a distanza) e il ritmo dei campi e controcampi nei lunghi dialoghi.
Tale sintesi è un’evidente forzatura, un gesto clamoroso che spezza la narrazione, offrendo ai personaggi una via di fuga e allo spettatore la consapevolezza di assistere a una metafora sulla condizione di un popolo e sull’eterno scontro fra umano e divino.
«Non voglio che la percezione della presenza del regista e le sue scelte di inquadratura decidano per te cos’è importante nella scena o cos’è da tenere in secondo piano. Dobbiamo rispettare la complessità della vita: nella vita nessuno decide i tagli di montaggio per noi» Questa frase di Cristian Mungiu sintetizza straordinariamente l’approccio estetico che accomuna (con le dovute differenze) quella generazione di registi rumeni ormai nota come “Romanian New Wave”. Una comoda etichetta critica nata a Cannes nei primi anni Duemila con i premi vinti da La morte del signor Lazarescu di Cristi Puiu, A Est di Bucarest di Corneliu Porumboiu e 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu, per poi consolidarsi nella Berlinale con i premi a Il caso Kerenes di Călin Peter Netzer, Aferim! di Radu Jude e Touch Me Not di Adina Pintilie. Nomi noti a cui vanno aggiunti importantissimi percorsi autoriali come Cristian Nemescu, Cătălin Mitulescu, Radu Muntean, Adrian Sitaru, ecc. Cineasti certamente diversi come cifra stilistica e consuetudini produttive, eppure uniti da una simile riflessione estetica sull’eredità del Secolo Breve come reale rimosso che preme sul presente rumeno. Istituzioni come la famiglia, la religione, la polizia, i tribunali, la scuola vengono testardamente sondate come dispositivi disciplinari che spingono l’individuo a sondare l’oblio della memoria aprendo i tribolati destini dei vari protagonisti agli echi e alle ombre del passato totalitario.
Arriviamo al punto. Bogdan George Apetri firma il suo notevole terzo film da regista, Miracle – Storia di destini incrociati, diviso in due capitoli. Cristina, una ragazza che ha deciso di diventare suora praticando da poche settimane la vita del monastero, esce dal suo isolamento per andare frettolosamente in città e confidare un segreto a un poliziotto. Non riesce a trovare l’uomo e decide così di rientrare, ma il tassista che la accompagna si rivela un mostro. La seconda parte del film pedina Marius (il poliziotto di cui sopra) mentre indaga sulle violenze subite da Cristina ripercorrendo il suo breve viaggio e cercando di comprenderne le misteriose motivazioni. Cosa cercava la ragazza in città? Come far confessare il tassista che non ha lasciato prove evidenti della violenza? E soprattutto, perché Marius è così coinvolto nel caso di Cristina?
I necessari rimandi narrativi per comprendere il portato sociopolitico della storia – all’interno delle singole parti e specularmente tra una e l’altra – sono delegati solo a piccoli scarti nel flusso di azioni rispettate nel loro tempo di esecuzione attraverso l’utilizzo reiterato del piano sequenza. Un movimento non sempre giustificabile o giustificato (Cristina e Marius hanno zone d’ambra insondabili che significano in quanto tali aprendosi a una sincera comunicazione emotiva con lo spettatore) con stacchi di montaggio dettati solo dalle contingenze frammentate: la complessità della vita ricercata da Mungiu, appunto. Cristina è incinta, ma di chi? Il tassista si scopre un brutale violentatore (in una scena che gela il sangue per l’orrore represso che cova in figure apparentemente paterne), perché?
Domande. Il film è pieno di domande che non trovano risposte se non nel contesto (“ma hai visto cosa c’è intorno a noi?” si continua a ripetere). Dalle istituzioni religiose (omertose) a quelle di sicurezza (innervate da istinti perturbanti con novelli Quinlan pronti a costruire prove false) sembra che né la giustizia divina né quella umana riescano a trovare la grazia di un miracolo garantendo la nascita di una nuova vita. Sino a quando Marius nella sua ambigua sete di verità arriva a sognare a occhi aperti i propri demoni riportando indietro il tempo e operando una scelta etica che spezza il flusso della violenza endemica. Il Miracolo diventa la nascita di una coscienza civile posta al di là di ogni bruttura umana che rigetti simbolicamente ogni rigurgito di passato. Insomma, con il suo terzo film Bogdan George Apetri si inscrive a pieno titolo tra i protagonisti emergenti di questa “miracolosa” generazione di registi rumeni che sta ridefinendo i confini del cinema moderno europeo.