Roberta Torre
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
Presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023 e in sala dal 20 ottobre, Mi fanno male i capelli è il film di Roberta Torre che porta su schermo un’interessante riflessione su cinema e identità. La regista, che cura anche la sceneggiatura, sceglie di raccontare una storia che rappresenta un lento svanire, una coscienza che per non abbandonare il suo corpo si ancora ad un personaggio, Monica Vitti, ai suoi film e a tutto ciò che vi ruota intorno. Vivere una vita immaginaria è l’unico modo che la malattia concede alla protagonista per continuare ad esistere ed è intorno a questo parallelismo tra realtà e finzione che tutto accade, che tutto si confonde. Alba Rohrwacher e Filippo Timi offrono una prova attoriale che è quasi un passo a due e che letteralmente dà forma ad una pellicola tanto delicata quanto intensa, un manifesto di fragilità umana e allo stesso tempo un’ode al cinema italiano e ad alcuni dei suoi più celebri e apprezzati protagonisti.
Monica è una donna che lentamente sta perdendo la memoria, la sua diagnosi è la sindrome di Korsakoff, una condizione irreversibile e per la quale c’è ben poco che si possa fare. La protagonista cerca di ricordare i nomi degli oggetti attraverso appunti e post-it e, mentre tenta di aggrapparsi alla sua vita, inizia a confondere realtà e finzione. Per rimanere ancorata prende in prestito ricordi e immagine di colei che evidentemente aveva sempre ammirato: Monica Vitti. In trappola in una realtà confusa, Monica si veste come la sua attrice preferita, parla come lei, dialoga con la sua immagine come una confidente, fino ad arrivare al punto di credersi protagonista dei film che interpretava. Accanto a lei, però, c’è Edoardo, suo marito, un uomo che non le fa mancare il suo affetto e che accetta questa sorta di “gioco” come nuova quotidianità, come distrazione da quei problemi reali, pressanti e contingenti che si presentano ben presto alla loro porta. Mi fanno male i capelli racconta la malattia, una patologia che come tante altre invade il quotidiano e proprio come ogni invasore reclama a sé i territori della mente di Monica: piano piano, pezzo per pezzo, lei svanisce, la sua coscienza si fa più labile e a chi sta intorno non rimane che il riflesso di ciò che è stato, le briciole di una vita che ormai appartiene al passato. Non è morte, non è vita e proprio per questo la donna, anche se inconsciamente, applica una strenua resistenza a questa condizione.
È questa resistenza che dà carattere al film grazie a una scrittura che efficacemente porta alla luce tutte le criticità, il dolore, di una simile condizione. Roberta Torre scrive una quotidianità che è un lento e inesorabile passo verso l’oblio, il cui unico salvatore è il cinema. È il cinema con la sua anima immortale, i suoi protagonisti e i suoi ruoli senza tempo a costituire quell’ancora di cui Monica ha bisogno e che le consente almeno di immaginare ancora un’esistenza.
L’elemento metacinematografico, infatti, è la parte più interessante e più azzardata dell’intera pellicola. Quando realtà e finzione si incontrano lo spettatore è in grado di entrare nella mente della protagonista e partecipare alle incursioni che i film interpretati da Monica Vitti fanno nella sua quotidianità. Scene originali e scene reinterpretate si alternano in sequenze non sempre pienamente riuscite che in alcuni momenti spezzano l’armonia e la poesia di molte curatissime inquadrature. Le immagini, infatti, sono un punto di forza di quest’opera: molto spesso lo stato d’animo di Monica, la sua condizione, ci vengono resi attraverso associazioni di immagini, tanto potenti quanto efficaci. Un plauso anche alle scenografie, in grado di dare personalità al film riuscendo nell’impresa di rendere un’ambiente fuori dal tempo, un luogo che offre pochi punti di riferimento e che pian piano si spoglia proprio come la mente della protagonista, un terreno su cui l’immaginazione può cercare di adattarsi e dal quale, purtroppo, pur non avendo barriere invalicabili è impossibile uscire.
L’idea della Torre è oltremodo originale perchè nell’intenzione di rendere omaggio al celebre personaggio raccontandolo al di fuori dei soliti contenitori, e dunque evitando di celebrarla attraverso il ricordo di chi l’ha conosciuta e le immagini che ce l’hanno resa famosa, la regista milanese inventa un dispositivo che non rinuncia a farlo e che però si inventa una nuova maniera di presentarne le gesta. Differente dal documentario creativo e dalla docufiction e nello stesso tempo versione che li contiene entrambi, ridisegnandone le fondamenta, Mi fanno male i capelli evita di far morire Monica Vitti una seconda volta, immortalandola nel tempo che fu. Al contrario, reinterpretandola attraverso le vicissitudine di un personaggio corrispondente e allo stesso tempo altro, a cui si presta con la solita dedizione Alba Rohrwacher, ne riporta in vita il ricordo collocandolo in un contesto, quello di oggi, che indirettamente conferma l’attualità di un’arte, quella della Vitti, ancora oggi capace di dialogare con il nostro tempo attraverso l’eternità dei suoi personaggi.
Mentre racconta l’evolversi della vicenda patologica, trovando di volta in volta il modo di far corrispondere le parole e il contesto dei personaggi interpretati dalla Vitti a quello del suo alter ego (un lavoro d’archivio non indifferente e di certo meticoloso per l’efficacia dei vari accostamenti) la Torre fa procedere l’evoluzione narrativa a quella formale, eliminando per volte successive la distanza tra cinema e vita, per arrivare al punto in cui le due realtà, quella reale e quella di finzione si compenetrano dando vita a un unico universo che nel film corrisponde al sovrapposizione del destino che accomuna la persona al personaggio.
Scandito dai magnifici costumi di Massimo Cantini Parrini e illuminato dalla calda e nostalgica fotografia di Stefano Salemme, Mi fanno male i capelli riesce a trovare un equilibrio tra la predisposizione ad arricchire lo spettacolo attraverso il desiderio di sperimentare nuove soluzioni sceniche, e la necessità di rimanere in contatto con il suo pubblico cinematografico, meravigliandolo con infinite possibilità di intersecare il repertorio d’archivio con la camaleontica predisposizione della Rohrwacher, a cui fa da spalla un Filippo Timi mai così asciutto come questa volta. Progetto ambizioso quello di confrontarsi con un nume tutelare del nostro cinema e allo stesso tempo di costruire una metafora sulla persuasione della Settimana arte e sulla sua capacità di influenzare il nostro immaginario, Mi fanno male i capelli regge il confronto con il dovuto rispetto e senza voyeurismo, evitando di farsi schiacciare dalla personalità della celebre attrice e dalle ambizioni poste a premessa del progetto. Certo è che una volta compreso il meccanismo con cui la regista costruisce la storia, lo stupore iniziale risulta in qualche modo attenuato da una ripetitività che non assopisce il sentimento di nostalgia e il fascino misterioso prodotto dalle immagini ma toglie qualcosa alla meraviglia che all’inizio accompagnava le epifanie del film. Presentato in concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, Mi fanno male i capelli è visibile nelle sale, distribuito da I Wonder Pictures.