Lauriane Escaffre, Yvonnick Muller
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
“Quando arriva l’amore bisogna lasciarsi andare”. La frase potrebbe riassumere il senso esatto di una pellicola che ci spiega quanto sia necessario includere l’amore nelle nostre vite, e soprattutto quanto l’amore possa essere scovato nei posti più strani e nei momenti più impensabili della nostra storia. Scegliendo il tono della commedia lieve e garbata, in scia con una nuova tendenza francese che cerca vicende di facile immedesimazione, gli autori costruiscono l’intero film sui contrasti e sui contrapposti, impersonati da una protagonista con cui stringiamo immediatamente un rapporto di empatia. Il motivo? Maria potremmo essere noi, alle prese con la sensazione costante di trovarci fuori posto, e poi perché è interpretata da una delle più grandi attrici francesi contemporanee: Karin Viard.
Del resto, Maria e l’amore, insieme alla sua sceneggiatura concentrata in novanta minuti spaccati, è l’esatta fotografia di un mondo che conosciamo bene, per diretta o indiretta esperienza: un lavoro non propriamente stimolante, una routine al limite dell’asfissiante, un’esistenza ormai scevra da ogni tipo di possibili sorprese. Dall’altra parte, una personalità mansueta e gentile che, nonostante le difficoltà, non si lascia avvelenare da un mondo che non fa sconti. Un quadro generale che confluisce appunto in Maria, sposata da venticinque anni e impiegata per una ditta di pulizie. È riservata, timida, un po’ goffa, velatamente affascinante. Ha la passione per la poesia ma non permette a nessuno di leggere ciò che scrive. Insomma, Maria è la classica sognatrice dalle giornate tutte uguali, inserita in un contesto ormai accettato e ampiamente metabolizzato. Eppure, l’inaspettato potrebbe essere dietro l’angolo: assunta come addetta alla Scuola di Belle Arti di Parigi scopre infiniti stimoli legati alla creatività e alla libertà, concetti che legheranno le svolte di un film che parla chiaro a chi ha superato l’età di non ritorno. Le possibilità ci sono, vanno solo colte. E attenzione: pur essendo un film dal chiaro target, il linguaggio di Escaffre e Muller, nella sua essenziale dolcezza, sa parlare in modo diretto e trasversale, uscendo a più riprese da quel cono d’ombra che la vorrebbe solo una commedia femminile over 50.
Dunque, possibilità e bellezza, amore e cambiamenti. Fili di una matassa impossibile da districare, capi di un discorso che poche volte segue un filo logico. Ed è proprio il cambiamento, legato alla magnificenza dell’arte, a stravolgere le carte in tavola di una protagonista risvegliata dal torpore e dall’alienazione. Ad aiutarla (anzi, ad accompagnarla) in questo percorso di rinascita c’è Hubert (Grégory Gadebois), l’irresistibile custode della scuola. L’uomo, come Maria, condivide un’esistenza che non comprende nessun tipo di alterazioni, e il loro incontro sfociato in spassionata amicizia permetterà ad entrambi di scoprirsi e riscoprirsi, mollando gli ormeggi verso un indefinito orizzonte che potrebbe non aver più confini, né mentali né tantomeno fisici. In questo senso, il film di Lauriane Escaffre e Yvonnick Muller segna il punto più importante del racconto: trovare il coraggio di lasciarsi andare, abbracciare la vita, stabilire un contatto con quella bellezza inseguita e troppo spesso rinchiusa in un quaderno scarabocchiato. Orecchie alla colonna sonora di René Aubry: è la musica a dare il tono all’intera storia.
(…) É proprio grazie alla Scuola che Maria inizia a scoprire il suo corpo, in ogni senso: rivive e riscopre la sua femminilità posando come modella di nudo, senza ovviamente dire nulla a casa, perché sa che suo marito non capirebbe. Eppure tra le mura della Scuola Maria scoprirà stimoli inimmaginabili, imparerà a osare e a sentirsi finalmente libera.
Lo farà anche grazie a Hubert, tassello fondamentale del processo di evoluzione e riscoperta di Maria. Ad interpretarlo c’è un attore di spessore ed esperienza, Gregory Gadebois, che si cala abilmente nei panni del custode della scuola. Un tipo simpatico, affabile e mentalmente aperto, eppure poco libero fisicamente, dal momento che non si è mai veramente spostato, appunto, dalla “sua” Scuola. L’incontro tra i due è fatale, crea un legame speciale fatto soprattutto di voglia di oltrepassare i propri limiti e guardare oltre. Oltre le convenzioni sociali e le posizioni lavorative, oltre l’età e il già fatto, oltre tutti i limiti autoimposti, o magari imposti da una vita di coppia non più soddisfacente.
La riscoperta di se stessi è un processo creativo, sembrano voler dire Lauriane Escaffre e Yvonnick Muller con questo film, tratto dalla storia di vita personale della prima, o meglio di sua nonna. Una donna delle pulizie anche lei, mestiere che spesso al cinema è associato a storie di disagio sociale o invisibilità e che stavolta diventa trampolino di lancio per il riscatto di una vita.
Il risultato è una trascinante storia di trasformazione e viaggio interiore, di incontro e confronto con l’arte ma anche con l’altro. Una storia anche universale, come è universale il desiderio di scoprirsi, di darsi un’altra possibilità, di emanciparsi e di nutrire il proprio animo di arte e relazioni appaganti.
(…) Maria e l’amore si rivela un grazioso e godibile ritratto di una donna decisa a riappropriarsi dei propri desideri, metafora utile e convincente per suggerire a chi guarda che non è mai troppo tardi per essere felici e, ancora prima, per capire chi si è veramente. O chi si vuole diventare, anche quando si è già “grandi”.
Maria – Karin Viard, già protagonista de La famiglia Bélier e de Il complicato mondo di Nathalie – è sposata da 25 anni con un uomo che non ha più occhi per lei e inizia un nuovo lavoro come donna delle pulizie presso la Scuola di Belle Arti di Parigi. Tra quelle mura scoprirà il paradiso della creatività: un luogo in cui a farla da padrone sono la libertà espressiva e la capacità di guardare il mondo con occhi nuovi. Ma, immersa in quelle creazioni, conoscerà anche un uomo, Hubert (Grégory Gadebois), un custode sui generis dalla tenerezza infinita e desideroso di amare tanto quanto lei. È probabilmente impossibile non tifare per entrambi i personaggi delineati magnificamente dalla penna di Escaffre e Muller. Grazie a Maria ci si rende conto di quanto poetica possa essere persino la muffa – “un elemento vivo che, decomponendosi, crea delle forme” -, così come di quanto tenere sappiano essere delle semplici spugnette colorate. Maria ha l’aria trasognata di chi non ha smesso di amare, di chi non rinuncia a captare la bellezza di un banalissimo quotidiano, di chi guarda persino agli oggetti simpatia per la loro goffaggine. E toccare con mano la concretizzazione materiale della creatività diventa per Maria addirittura un’occasione per riscoprire il suo corpo e la sua stessa femminilità. Accanto a lei, Hubert approfitta dei ritagli di tempo da un lavoro che conosce ormai troppo bene per allenarsi, a passo di danza, sulle note di Such a Night ed è sempre disponibile a sostenere gli insicuri studenti dell’istituto. Attraverso gli occhi di Hubert si è in grado di riscoprire la seduzione della fragilità.
Maria e l’amore è il tipico film a cui si assegnerebbe la qualifica di delizioso. Si conoscono già dall’inizio le sorti dei due personaggi principali, ma poco importa in un’opera intenzionata a regalare un po’ di intrattenimento con la rassicurazione dei buoni sentimenti. Maria e l’amore è nei fatti un film sul cambiamento di prospettiva: sul considerare, ad esempio, una donna delle pulizie come una persona che rende gli ambienti più confortevoli e non già come qualcuno che non abbia potuto ottenere di meglio. Se nel recente Tra i due mondi osservavamo tutto il dramma dell’invisibilità di chi svolge questo mestiere, qui riscopriamo la poesia e la tenerezza celate dietro una vita apparentemente anonima. La stessa arte contemporanea non viene qui trattata come oggetto di facili risatine, a cui indubbiamente si presterebbe, ma diventa occasione per una riflessione più ampia sulle infinite possibilità della mente creativa.
Ed è forse solo cambiando prospettiva che, in fondo, si trova il coraggio per abbracciare un futuro incerto in cui aver, però, la libertà di essere se stessi e di esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. Dopo un César al miglior cortometraggio nel 2020, i due registi, qui all’esordio nel lungo son riusciti, con la mera forza della loro scrittura, a convincere due fuoriclasse come Karin Viard e Grégory Gadebois a salire a bordo del progetto. In definitiva Maria e l’amore è un film che fa breccia nel cuore dello spettatore con il semplice potere della delicatezza e della tenerezza, glorificando tutte le Maria che incontriamo nella nostra vita (e a cui il film è dedicato), ma di cui spesso rischiamo, per distrazione o abitudine, di non percepire la presenza.