Emanuele Confortin
DATI TECNICI
Regia
Durata
Genere
Nazionalità
Presentazione e critica
Riccardo Bee è stato uno dei più forti rocciatori dell’epoca in cui è vissuto, ma parte della sua eredità alpinistica rimane avvolta nel mistero. Attivo soprattutto nelle amate Dolomiti, ha realizzato ripetizioni e vie nuove di elevatissimo impegno. Si è unito in cordata con diversi compagni, a partire da Franco Miotto, ma è in solitaria che Bee ha trovato la sua dimensione, compiendo imprese capaci di ispirare generazioni di alpinisti e ancora oggi temute e rispettate. A quarant’anni dalla scomparsa, L’ultima via di Riccardo Bee non intende celebrare l’immagine dell’alpinista eroe, ma si propone di cogliere il lascito di un marito, di un padre, di un amico spinto da una sorta di incantesimo a cercare in montagna un confronto sempre più profondo con sé stesso. Centrali nella trama sono le testimonianze di chi lo ha conosciuto e amato, a partire dalla moglie Carla e dalle figlie Federica e Valentina, le cui voci svelano l’esistenza di un legame di cordata anche per gli alpinisti solitari. Il contesto scelto per questa narrazione ci porta da Belluno agli abissi del Burel, poi nel profondo della Valle di San Lucano e sulle pareti del gigante per eccellenza, il Monte Agner. Grazie alla digitalizzazione di filmati girati in Super8 nel 1982, quest’opera ripercorre il capolavoro dell’alpinista bellunese, il “Pilastro Bee” sulla Ovest dell’Agner, prova tangibile del talento del suo apritore.Il film L’ultima via di Riccardo Bee è stato un viaggio intenso, che ha portato l’autore almeno 20 volte sull’Agner, con sortite sul Burel e tra le Pale di San Lucano. A conclusione del progetto, Luca Vallata, Samuel Zeni e il regista hanno ripetuto il “Pilastro Bee” sulla selvaggia Ovest dell’Agner, via considerata il capolavoro di Riccardo, tracciata nell’82 in due giorni di arrampicata solitaria tormentata dal maltempo. La narrazione di questa ascesa è impreziosita dalla riscoperta di bobine video girate nel luglio 1982 con una telecamera Super8 e opportunamente digitalizzate.
Intervista al regista: (…)
L’immagine di Riccardo che esce dal film è in linea con quanto finora proposto dalla storiografia ufficiale o si presenta diversa? E se sì, in che cosa differisce?
Se escludiamo l’elenco delle sue realizzazioni alpinistiche, credo non esista altra storiografia ufficiale. Bee è stato trattato in un libro, da qualche articolo di giornale e da un precedente video-racconto ma non è certo una figura analizzata nel profondo come lo sono stati altri alpinisti del passato. È anche per questo che il progetto mi ha affascinato, c’era ancora qualcosa da scoprire e così è stato, in particolare dedicando tempo e ascolto alle figlie Federica e Valentina e alla moglie Carla. Grazie a loro sono riuscito a scorgere l’uomo e a smarcare almeno in parte l’alpinista, evitando di inciampare nel gioco dei “gradi” o di limitarmi a delineare un ritratto (l’ennesimo) di eroe senza macchia che spesso viene attribuito a un grande scalatore caduto in parete.
Nella realizzazione del film quali sono stati i passaggi più impegnativi?
Andando in ordine cronologico, l’assenza di uno screen-play iniziale. Scelta dettata dalla volontà di non ancorarmi ai documenti citati poco fa, ma di “fingere” di non sapere. Ho avviato il lavoro come fosse una prima ricerca, partendo da zero – seppur conoscendo bene le salite e il lascito alpinistico di Riccardo – puntando fin dal principio sulle testimonianze di moglie, figlie e fratelli. L’altro passaggio impegnativo è stato convincere la moglie, Carla De Bernard, a raccontare Riccardo e a raccontarsi. Per quanto mi riguarda la sua testimonianza è il cuore pulsante del documentario, una testimonianza umana e preziosa che trasmette il polso di Riccardo, l’uomo, e ci aiuta a cogliere la caratura dell’alpinista. Per fortuna, dopo esserci conosciuti Carla mi ha dato fiducia e il mio progetto ha iniziato ad acquisire l’umanità che cercavo. L’ultimo passaggio è stata la ripetizione del Pilastro Bee sull’Agner, assieme a Luca Vallata e Samuel Zeni. A causa del meteo e dei rispettivi impegni l’estate era ormai trascorsa … Siamo finalmente riusciti a ripetere la via il 12 e 13 settembre 2022, cogliendo l’ultima finestra utile seguita da una perturbazione che ha poi reso la parete impraticabile, almeno per le riprese.
Il risultato finale ti soddisfa come regista e produttore? E come alpinista ritieni di avere assolto ad una sorta di “obbligo” morale nei confronti della storia o semplicemente di aver approfondito un personaggio che ti affascinava?
Mesi fa, durante il pre-montaggio avevo scritto un messaggio a Luca Vallata “il lavoro su Riccardo profuma di bono”. Questa sensazione era emersa passando in rassegna più di 20 ore di girato. Avevo visto e sentito qualcosa di valido, restava “solo” montare le varie parti e dare un senso al tutto. Quattro mesi dopo la trama narrativa era delineata e mi sembrava valida, anche se ho lasciato l’ultima parola alla famiglia che prima della première a Trento non aveva ancora visto nulla. Il 30 aprile (giorno della prima) tutto è andato nel migliore dei modi e ora mi posso ritenere felice! In quanto agli “obblighi” nulla di tutto ciò. Non sono uno storico e non mi sono mai posto in tal senso, ho semplicemente raccontato a modo mio un essere umano e un grande interprete di un alpinismo che ci sta scivolando tra le dita e che rischiamo di dimenticare. Penso a questo lavoro come a una testimonianza, un messaggio che vorrei chiudere in una bottiglia da lasciare alla deriva del tempo.
Per finire, che cosa ti ha dato questa esperienza?
Un senso di rispetto profondo e sincero per l’Alpinismo, la certezza dell’esistenza di una cordata sottile che ci lega a chi a casa attende il nostro rientro… non da ultimo un crescente amore per la Valle dei Sogni.