L’ultima volta che siamo stati bambini

Claudio Bisio

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Siamo nell’estate del 1943 e quattro bambini, nonostante i tempi duri che stanno vivendo, mantengono la loro voglia di scoprire il mondo giocando per strada. Sono molto diversi tra di loro, ma ancora non lo sanno. Italo è figlio di un ricco Federale, Cosimo ha il papà che combatte al confine, Vanda è un’orfana e Riccardo è figlio di un’agiata famiglia ebrea. I loro giochi, che simulano la guerra in maniera del tutto innocente, li porta a fare un “patto di sputo” che li rende inseparabili. Nell’autunno dello stesso anno, Riccardo viene portato in un campo di concentramento insieme ad altri mille ebrei del Ghetto. I suoi amici decidono di onorare il patto andando in missione per convincere i tedeschi a liberarlo. Ad accompagnarli ci sono due adulti, Agnese, suora dell’orfanotrofio in cui vive Vanda, e Vittorio, fratello di Italo. Inizia così un viaggio attraverso l’Italia dilaniata dalla guerra, una storia di spensieratezza e di desiderio di libertà vista dagli occhi dei ragazzini che, guidati dall'incoscienza dell'infanzia, non si arrendono neanche di fronte a una delle pagine più oscure della storia mondiale.
DATI TECNICI
Regia
Claudio Bisio
Interpreti
Alessio Di Domenicoantonio, Vincenzo Sebastiani, Carlotta De Leonardis, Lorenzo McGovern Zaini, Federico Cesari, Marianna Fontana, Antonello Fassari, Claudio Bisio
Durata
106 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Claudio Bisio, Fabio Bonifacci
Fotografia
Italo Pietriccione
Montaggio
Luciana Pandolfelli
Musiche
Aldo De Scalzi, Pivio
Distribuzione
Medusa
Nazionalità
Italia
Anno
2023
Attività

Presentazione e critica

Ambientato nella Capitale del 1943, questa pellicola non arriva in un momento casuale: il 16 ottobre di 80 anni fa avveniva il rastrellamento del ghetto di Roma, che portò alla deportazione di più di 1000 persone, bambini compresi, nei campi di sterminio. Il film racconta questa pagina oscura della storia attraverso gli occhi di tre bambini: Italo, figlio di un federale fascista, Cosimo, il cui padre è al confine, e Vanda, orfana che vive in un istituto gestito da suore. I tre si mettono in testa di andare a recuperare Riccardo, loro amico, preso e portato via dai tedeschi.. Sulle loro tracce si mette presto una strana coppia, formata da Vittorio, fratello di Italo, anche lui con la divisa fascista come il padre, e suor Agnese, che si è particolarmente affezionata a Vanda, quasi come fosse sua figlia. Seguendo i binari del treno, i bambini scoprono un’Italia piegata dalla guerra, mentre l’ufficiale e la religiosa mettono a confronto due modi opposti di vedere la vita. Nonostante il contorno della storia sia tragico, L’ultima volta che siamo stati bambini è un classico road movie di formazione: i tre ragazzi protagonisti affrontano un viaggio che presenta diverse prove da superare, dal procurarsi del cibo a sopravvivere agli attacchi dei nazisti.

Lungo il percorso scoprono di che pasta sono fatti, comprendendo presto che la loro amicizia, ancora pura e non inquinata da ideologie di ogni colore, è ciò che più conta. Più difficile è invece il confronto tra Agnese e Vittorio, ormai adulti, entrambi orgogliosi e convinti della divisa che indossano, che sia quella militare o religiosa. Anche per loro però arriva l’amore a far ricordare cosa è davvero importante: la prima infatti vuole il bene della bambina sopra ogni cosa, così come il secondo fa di tutto pur di ritrovare il fratello. Con grande semplicità e umiltà, Claudio Bisio – che si ritaglia anche un piccolo ruolo, interpretando il padre di Italo e Vittorio – si mette letteralmente all’altezza di questi tre bambini, lasciandosi guidare dalla spontaneità e dalla bravura dei suoi giovanissimi protagonisti. Alessio Di Domenicantonio, Vincenzo Sebastiani e Carlotta De Leonardis sono tre forze della natura, che reggono tutto il film sulle loro spalle. Non soltanto credibili, ma anche perfettamente in parte e affiatati tra loro: Bisio sa sicuramente come dirigere gli attori, anche quando sono così giovani.

 

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Per il suo esordio dietro la macchina da presa Claudio Bisio scavalca ogni cliché e aspettativa cimentandosi con un film in costume interpretato da bambini, una sfida dettata dalla passione per l’omonimo romanzo di Fabio Bartolomei, da cui è tratto il film, presentato in anteprima al Giffoni Film Festival. Viaggio vuol dire avventura e scoperta, ricerca e cambiamento, conoscenza e coscienza, e Bisio si muove agilmente tra questi temi sfuggendo alle trappole di una narrazione consolatoria. D’altra parte la Storia parla chiaro: dei 1259 ebrei deportati da Roma 207 erano bambini e nessun di loro è tornato a casa. Si inizia con la commedia e si scivola lentamente nel dramma in questo doppio romanzo di formazione che vede coinvolti piccoli e grandi, con punti di vista assai diversi su un Paese lacerato dalla guerra, dalla miseria e dalla paura. Se per gli aspiranti eroi si tratta di un gioco poetico e fantasioso, per il soldato e la suora il caos e la violenza sono l’occasione per mettere due fedi a confronto. Il neo-regista guarda a film come Stand by Me – Ricordo di un’estate e I Goonies e sfuma i riferimenti temporali per restituirci un viaggio senza tempo, fiabesco, universale, per poi riportarci necessariamente alla dura realtà della guerra e della morte. La colonna sonora originale del film è firmata da Pivio e Aldo De Scalzi.

 

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Vanda, Italo, Cosimo hanno dieci anni e, nonostante la Seconda guerra mondiale, conoscono ancora il piacere del gioco che condividono con l’amico Riccardo che è ebreo. Il giorno in cui scompare decidono che non si può attendere: i tedeschi, che devono averlo portato via con un treno, debbono essere resi consapevoli del fatto che il loro amico non ha alcuna colpa per cui essere punito. Si mettono quindi in marcia seguendo la strada ferrata. A cercare di raggiungerli ci sono Vittorio, fratello di Italo e milite fascista che ha subìto una ferita, e la suora dell’Istituto per gli orfani che ospita Vanda. L’esordio alla regia di Claudio Bisio appartiene alla categoria di quelli che non si dimenticano. Quando un attore famoso si cimenta nella regia i motivi possono essere diversi e, in più di un’occasione, anche legati ad un’esigenza personale e professionale che non necessariamente deve coincidere con l’interesse degli spettatori. Non è così per l’esordio di Claudio Bisio dietro la macchina da presa che ha più di un punto di contatto con quelli di coloro che nascevano come registi e sono diventati noti ed apprezzati nel panorama nazionale ed internazionale. Perché nella storia scelta, nel modo in cui è stata trasposta sullo schermo dalle pagine di un libro (di Fabio Bartolomei) e in quello in cui è stata girata, si sente l’urgenza di condividere pensieri, riflessioni (non solo, si badi bene, sul passato) ed emozioni. Il romanzo inizia con questa frase: “Cosa stia accadendo di preciso lì fuori, Cosimo non lo sa. È nell’età in cui le risposte si cercano nello sguardo dei genitori o, nel suo caso, del nonno”. Bisio, con il suo co-sceneggiatore Fabio Bonifacci, ha fatto propria questa frase costruendo una favola che, come tutte le favole che si rispettino, abbia in sé innumerevoli elementi di verità. Perché i tre protagonisti, come ogni bambino, hanno mutuato la lettura della realtà da chi li ha educati. Se Cosimo ha un padre al confino e un nonno che vuole evitare ulteriori guai e Italo ne ha uno decisamente fascista, Vanda di padri (e di madri) non ne ha o, meglio, ne ha una che non avrebbe il diritto di esserlo: suor Agnese. A lei si aggiunge il fratello di Italo ‘eroe’ ferito in guerra. Le divisioni degli adulti non riescono però a scalfire l’innocenza dei piccoli. L’amicizia va oltre l’ideologia mettendola in secondo piano.

 

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