Vittorio Moroni
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
L’approccio scelto da Vittorio Moroni per realizzare il film L’invenzione della neve permette alla protagonista Elena Gigliotti di creare un personaggio, quello di Carmen, intenso e realistico, anche nei suoi momenti più estremi, riuscendo a sostenere la narrazione.
Il regista porta così sul grande schermo una storia di amore e ferite ancora aperte che segnano l’esistenza, non perdendo mai di vista un interessante equilibrio tra la dimensione interiore della protagonista e ciò che gli altri vedono di lei. L’invenzione della neve racconta la storia di Carmen una donna che ama intensamente e a modo proprio, scontrandosi con le aspettative e il giudizio di chi la circonda.
La sua storia d’amore con Massimo si è conclusa e la coppia deve fare i conti con un passato non proprio limpido e la lotta per l’affidamento della figlia Giada. Carmen sta infatti cercando di trovare un proprio equilibrio pur di trascorrere più tempo con la bambina, affidata al padre, con cui può passare solo un tempo limitato ogni quindici giorni.
I vari tasselli di cui è composta la storia de L’invenzione della neve permettono di seguire Carmen comprendendone la lotta con se stessa e con gli altri, ma al tempo stesso anche il profondo amore che prova per sua figlia.
Il montaggio, firmato in collaborazione con Mattia Soranzo, lascia il tempo alle interazioni più significative, come quelle tra Carmen e Massimo o tra la protagonista e la nuova compagna dell’ex, di svolgersi senza pressioni o limiti temporali, offrendo una rappresentazione naturale e ricca di sfumature dei rapporti al centro della trama. L’utilizzo delle sequenze animate firmate da Gianluigi Toccafondo riesce inoltre ad aggiungere un’ulteriore chiave di lettura agli eventi mostrati sullo schermo, inserendo una dimensione aggiuntiva dedicata ai sogni e alle speranze di Carmen, che si rifugia nella favola inventata per la figlia nella speranza di riuscire, forse per la prima volta nella sua vita, a trasformare i suoi sogni in realtà.(…)
Elena Gigliotti riesce a dare a Carmen la giusta fisicità e intensità espressiva, passando dall’estrema vulnerabilità e desiderio di amore alla rabbia e alla disperazione. L’attrice tratteggia il suo personaggio senza evitarne le zone d’ombra e, nonostante i difetti e gli eccessi, riesce a far provare empatia nei confronti di una donna complicata e dal passato complesso. La quasi totale mancanza di personaggi maschili obbliga Alessandro Averone, interprete di Massimo, a impegnarsi per non rendere l’ex di Carmen il villain del racconto. L’attore riesce nell’impresa quasi senza sbavature, tuttavia non può che restare in ombra rispetto alla performance di Gigliotti.
È un periodo, questo, di ritratti femminili sui generis, per il cinema italiano. Due di questi – tra i più importanti e riusciti – li abbiamo potuti vedere nell’appena conclusa Mostra del Cinema di Venezia: da una parte Felicità, esordio alla regia di Micaela Ramazzotti da lei stesso interpretato, presentato nella sezione Orizzonti Extra; dall’altra questo L’invenzione della neve, terzo lungometraggio di fiction di Vittorio Moroni, che ha fatto invece parte del cartellone delle Giornate degli Autori nella sezione Notti Veneziane. In entrambi i casi, drammi familiari con al centro il tema del disagio (affettivo, psicologico e sociale) guidati da un personaggio femminile forte, e a suo modo atipico. La scelta espressiva di Moroni, tuttavia, può dirsi senz’altro più radicale – e rischiosa – di quella della più nota collega: questo suo nuovo lavoro mescola infatti un registro all’insegna di uno spietato realismo – fatto di lunghi piani sequenza che seguono in modo ravvicinato, e a tratti quasi soffocante, la sua protagonista – con un mood fiabesco che si esplicita, in particolar modo, nelle due sequenze animate curate da Gianluigi Toccafondo, la prima delle quali apre il film. Un amalgama di registri apparentemente in conflitto, che tuttavia restano in realtà presenti, in misure diverse, per tutta la durata del film; una compresenza che rappresenta di fatto una delle principali ragioni del fascino di questo nuovo lavoro del regista valtellinese.
“L’amore è un uccello ribelle che nessuno può domare”, canta Carmen nell’omonima opera di Georges Bizet. E la Carmen di L’invenzione della neve ama ardentemente, follemente, fuori misura. Un amore troppo grande, probabilmente, che viene respinto e che tentano di ingabbiare portando la donna a perdere progressivamente il controllo su di sè e sul proprio avvenire. Il film di Vittorio Moroni è delineato dall’oscillazione tra amore e dolore, come nel dipinto di Munch intitolato proprio in quel modo, in cui una donna sorge dall’oscurità quasi come una sirena, abbracciando un uomo e baciandolo sul collo. La fine dell’amore tra Carmen e Massimo viene rigettata dalla protagonista, che non accetta di non poter più vedere la figlia e di dover rinunciare a quel nido famigliare. Si avventa così sull’ex compagno, ricorrendo alla seduzione, all’aggressione, all’ostinazione e a ogni arma in suo possesso per ritornare al passato. Quel passato non esente da errori e tormenti, ma porto felice nella memoria e nel cuore di Carmen, in opposizione alla totale oscurità che ammanta un futuro che non resiste al presente.
L’invenzione della neve inizia con le splendide e ammalianti immagini animate di Gianluigi Toccafondo, il cui stile pittorico guarda proprio (tra gli altri) a Edvard Munch. A prendere forma è la storia di animali, ambienti marini e giungle che Massimo e Carmen raccontavano spesso a Giada e che ha rappresentato il loro rapporto e il loro profondo amore. Le figure e gli animali si allungano, si deformano e mutano costantemente, riprendendo l’abituale poetica dell’animatore e artista sammarinese, in una danza di forme, ombre e colori che sembra anticipare i contrasti e l’inquietudine del racconto. Quegli stessi animali ritornano più volte durante il film, dipinti su una parete, in forma di palloncini o reali, reminiscenze di un passato che viene cancellato, ma che rimane indelebile sulla pelle di Carmen. Similmente alla Blanche di Un tram che si chiama Desiderio, reagisce alla depressione e all’angoscia che la opprime con un velo di menzogne e ossessione, costruendosi attorno degli specchi che si infrangono e riformano incessantemente, nascondendo l’urlo di dolore che permane inascoltato, come quello nel prodromo della sirena nelle profondità marine. La narrazione si dipana in sei atti (confronti-scontri, ripresi in diversi formati, che Carmen ha con gli altri e con se stessa), che dopo un inizio in media res sempre più svelano i frammenti dei rapporti tra i protagonisti, conducendo progressivamente nel tormento e nell’anima lacerata di Carmen. Un tormento marcato da inquadrature claustrofobiche e sempre vicine ai volti, spesso attorniati da porte e gabbie, imbrigliando lo sguardo e assorbendo le emozioni dei personaggi con un uso estenuante della macchina a mano e pulsioni quasi documentaristiche.