L’imprevedibile viaggio di Harold Fry

Hettie MacDonald

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Harold ha trascorso la sua intera vita vivendo ai margini, senza mai fare nulla di avventato. Vive a Kingsbridge insieme alla moglie Maureen, sebbene il loro matrimonio sia ormai così tranquillo da sembrare caduto nella monotonia. Un giorno, mentre sta andando a imbucare una lettera, Harold scopre che una sua vecchia amica Queenie Hennessy è molto malata e decide di andare a trovarla, percorrendo a piedi l'Inghilterra per raggiungere la cittadina di Berwick-upon-Tweed senza prendere nessun mezzo di trasporto né ricevendo aiuto e supporto da Maureen. Sicuro che il suo eroico gesto terrà in vita la sua amica, l'uomo intraprende un viaggio durante il quale incontrerà diverse persone, interessate al suo intento.
DATI TECNICI
Regia
Hettie MacDonald
Interpreti
Jim Broadbent, Penelope Wilton, Monika Gossmann, Joseph Mydell, Bethan Cullinane, Maanuv Thiara, Earl Cave, Linda Bassett, Daniel Frogson, Naomi Wirthner, Joy Richardson, Ian Porter
Durata
102 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Rachel Joyce
Fotografia
Kate McCullough
Montaggio
Jon Harris, Napoleon Stratogiannakis
Distribuzione
BIM
Nazionalità
Gran Bretagna
Anno
2023

Presentazione e critica

“Forse è di questo che ha bisogno il mondo: meno razionalità è più fede”. Il senso della storia è tutto qui. Ma parliamo di fede non in senso religioso, quanto in senso intimo, personale. È la fiducia in noi stessi e nelle persone, è la fiducia nel fatto che, se facciamo la cosa giusta, tutto non potrà che andare bene. Dal romanzo omonimo di Rachel Joyce, Hettie Macdonald è riuscita a dare vita a un piccolo grande film, intimista e ottimista, una di quelle storie che, quando finiscono, ci fanno stare bene con noi stessi. E con un Jim Broadbent così pieno di umanità che ti viene voglia di abbracciarlo.
Harold è un uomo qualunque, uno di quelli che vivono la propria vita senza prendere iniziative e restando in disparte. Un giorno riceve una lettera. Arriva da un paese a nord, molto a nord, della Gran Bretagna. A scrivergli è Queenie, una vecchia amica che è molto malata e si trova in un hospice. Harold decide subito di scriverle una lettera di risposta. Ma poi ha un’altra idea. Quella di andarla a trovare, attraversando a piedi l’Inghilterra. Sono 800 chilometri. Harold è sicuro che il suo eroico gesto la terrà in vita. Quando un giornalista si accorge della storia, la gente viene a conoscenza dell’impresa di Harold. E si mettono in moto l’empatia e la solidarietà. ” You will not die”. Sono queste parole, ripetute come un mantra, come un ritmo di marcia, che danno forza ad Harold e lo fanno andare avanti. Ma quello che lo fa andare avanti è la fede. Sì, L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è un film sulla fede. Ma non in senso religioso. È la fiducia nelle persone, perché “le persone sono gentili, nel complesso sono gentili”. È la forza di volontà. La voglia, e la convinzione, di poter per una volta cambiare le cose, fare qualcosa di buono.
L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è tutto qui. È un film sulle piccole cose della vita. Guadare un panorama ed emozionarsi. Scoprire, all’improvviso, quanto è buona e preziosa l’acqua. Imparare che le persone hanno ancora voglia di ascoltarti, e di aiutarti. Che c’è ancora chi è capace di essere solidale. Capire a ottant’anni, come vi abbiamo detto all’inizio, che “forse è di questo che ha bisogno il mondo: meno razionalità è più fede”. Quello di Hettie MacDonald è un film lineare che parte da un punto e che arriva ad un altro, come il percorso del nostro Harold. Però, fateci caso: alla fine di ogni giornata quell’uomo si ferma, entra da qualche parte, scopre qualcosa. E così anche il percorso di noi spettatori non è così lineare come credevamo: veniamo trasportati nel passato, scopriamo cose che non credevamo fossero possibili, veniamo sorpresi da alcune piccole svolte che cambiano in parte il nostro punto di vista.
C’è altro, infatti, nell’afflato di Harold verso quella vecchia collega che forse non era nemmeno una sua così grande amica. C’è un senso di colpa e di delusione per come, nella vita, sono andate le cose, per degli eventi che non si sono potuti evitare. Ed è da qui, per un senso di riscatto, per la voglia di fare finalmente la cosa giusta, che nasce l’impresa. Impareremo a conoscere quest’uomo, la sua vita, le sue motivazioni. E quelle di sua moglie Maureen, che asseconda la sua decisione, si fa da parte, ma in qualche modo lo aiuta e non è mai passiva. Il romanzo è scritto da una donna, ed è sempre una donna a dirigere il film. E la sensibilità femminile si sente.
L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è uno di quei film sulle imprese umane che ci sembrano impossibili e invece accadono. Il nostro Harold Fry è un Forrest Gump ottantenne che non va di corsa, ma cammina senza fermarsi mai, indefesso, e così facendo trascina la gente a camminare con lui (e, come quel film, anche questo finisce su una panchina). Harold è come Alvin Straight, il protagonista di Una storia vera di David Lynch, perché come lui – che attraversava gli States su un tagliaerba – sa di andare piano, sa di andare lontanissimo, ma sa che arriverà. L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è tutto negli occhi di quel grande attore che è Jim Broadbent: i suoi sono occhi buoni, enormi, chiari e limpidi. Sono spalancati, a volte, ancora capaci di stupirsi di fronte alla vita. A volte sono fiduciosi, a volte stanchi, a volte ci possono sembrare svuotati da qualche delusione. Sono sempre accesi da una luce, e allo stesso tempo da un velo di tristezza che non se ne potrà andare mai. Accanto a lui c’è Penelope Wilton, una delle star di Downton Abbey, che gli lascia il giusto spazio ma prendendosi anche il suo, con una presenza mai banale. Così nasce un piccolo grande film, intimista e ottimista. Che ci spiega che, per sistemare le cose, a volte basta poco. A volte basta prendere un pezzo di vetro e metterlo nel modo giusto davanti alla luce per illuminare il mondo. E far arrivare le stelle anche dove non ci sono.

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La verità? L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è un film che celebra la vita. Tratto dall’omonimo romanzo di Rachel Joyce (in Italia edito da Giunti), è diretto da Hettie MacDonald (e basterebbe il lavoro fatto su Normal People) che questa volta si affida al volto di un caratterista (e che caratterista) come Jim Broadbent, già vincitore dell’Oscar nel 2002 per l’interpretazione in Iris – Un amore vero) nonché Horace Lumacorno nella saga di Harry Potter. Broadbent qui è Harold Fry, un every-man, un uomo come tanti, che ha sempre vissuto senza prendere iniziative e restando in disparte. Un giorno però scopre che una vecchia amica è molto malata e decide di andarla a trovare attraversando a piedi l’Inghilterra, intraprendendo un incredibile viaggio che farà scalpore conquistando tutta la nazione. Ne nasce così una storia dai temi universali che si concentra sull’affrontare il lutto e provare a guarire dal trauma e dai sensi di colpa legati ad esso. Ma chi è veramente Harold Fry? Forse un eroe di altri tempi che dimostra una bontà ed una fede (che nascondono un passato difficile) che possiamo trovare solo in opere di fantasia ormai (soprattutto visti i tempi correnti), ma il volto così gentile di Broadbent avvicina quanto mai gli spettatori ad un personaggio così amabile. Dal punto di vista visivo il viaggio di questo personaggio è costellato da varie emozioni quanti sono i personaggi che incontra Harold lungo il suo cammino nelle campagne inglesi.

Lo sfondo è eccezionale (grazie anche alla fotografia di Kate McCullough, direttrice della fotografia di quel miracolo chiamato The Quiet Girl) e dona un tono poetico al grande salto di fede che Harold decide di compiere con questo viaggio. Broadbent si evolve e cambia seguendo i movimenti sinuosi dei manti erbosi e delle colline che attraversa da Kingsbridge a Berwick-Upon-Tweed. L’immedesimazione dell’attore è davvero eccezionale: già voce di Fry per l’audiolibro inglese, qui ritorna letteralmente a vestire i panni di questo personaggio affiancato da Penelope Wilton (Downton Abbey, After Life) che interpreta Maureen, sua moglie. Insieme i due apportano una complessità ed una profondità emotiva straordinaria al silenzio con cui questa coppia decide di riempire il proprio matrimonio.
E quando si svela il motivo dietro questo silenzio, l’estraneità che li seguiva fino a quel punto li unisce (e ci unisce) in un momento cruciale che rivela il tema della pellicola: il coraggio di affrontare i momenti più bui, perché non si è mai davvero soli del tutto. Un film commovente sui legami, in cui un crescente ottimismo spinge lo spettatore a compiere il medesimo atto di fede del protagonista. E una volta che ci tuffiamo anche noi dall’altra parte dello schermo, scopriamo che le storie come questa continuano ad avere una potenza incredibile…

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Il viaggio in un’Inghilterra ben poco piovosa diventa un on the road della memoria in cui l’ambiente, sia esso naturale che urbano, diventa qualcosa di più di uno sfondo. Così come il rapporto con coloro che il protagonista incontra nel suo percorso si trasforma in occasione per brevi ritratti di un’umanità che ha bisogno di condivisione anche quando finisce con il negare il bisogno stesso. Come in fondo è accaduto ad Harold e Maureen che, colpiti nel passato da uno degli eventi più traumatici che un essere umano possa sperimentare, hanno finito con il credere di non aver più necessità di uno scambio reciproco condannandosi a una sopravvivenza priva di qualsiasi slancio emotivo. Quello che finisce con l’essere trasformato dai media in un Forrest Gump made in Britain (in questa parte la vicenda assume un po’ il sapore del deja vu) è un uomo che ha una meta (ideale e logistica) ma che non per questo sta fuggendo dal suo punto di partenza, anche se la tentazione è forte. Chi guarda viene invitato a chiedersi se far prevalere il buon senso comune di Maureen o sostenere l’utopia di suo marito. In film come questo solo la presenza di due grandi attori può permettere alla regia di arrivare sino in fondo senza danni. Hettie MacDonald li ha trovati.

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