Limonov

Kirill Serebrennikov

Image
Limonov, film diretto da Kirill Serebrennikov, racconta la scandalosa storia del poeta radicale sovietico Eduard Limonov . Dopo aver raggiunto una certa fama in patria, si trasferì a New York, dove visse anche come senzatetto, per poi tornare in Europa, a Parigi. Qui Limonov entrò nei circoli letterari francesi e ricevette perfino la cittadinanza.
DATI TECNICI
Regia
Kirill Serebrennikov
Interpreti
Ben Whishaw, Viktoria Miroshnichenko, Tomas Arana, Corrado Invernizzi, Evgenij Mironov, Andrey Burkovskiy, Odin Lund Biron, Ivan Ivashkin, Masha Mashkova, Victor Solé, Alexander Prince Osei, Sandrine Bonnaire, Louis-Do de Lencquesaing
Durata
133 min
Genere
Biografico
Drammatico
Sceneggiatura
Pawel Pawlikowski, Ben Hopkins, Kirill Serebrennikov
Fotografia
Roman Vasyanov
Montaggio
Yuriy Karikh
Musiche
Massimo Pupillo
Distribuzione
Vision Distribution
Nazionalità
Italia, Francia, Spagna
Anno
2024

Presentazione e critica

I biopic sono tra i generi cinematografici più amati dal pubblico (e anche in letteratura le biografie vanno fortissimo). Forse perché approfondire la vita di persone realmente esistite, specialmente se hanno compiuto grandi cose, nel bene e nel male, ci dà la sensazione di assistere a qualcosa di più autentico. Se qualcuno è riuscito davvero a fare una cosa posso immedesimarmi nella sua esperienza e magari anche trasformarla in fonte di ispirazione. Chi scrive crede che le storie di fantasia abbiano lo stesso valore di quelle reali, anzi, a volte anche di più. Ma cosa succede quando il vissuto di una persona davvero esistita viene trasformata quasi in un racconto fantastico? È quello che accade in Limonov: The Ballad, film di Kirill Serebrennikov che porta su schermo la biografia romanzata del poeta russo Ėduard Limonov scritta da Emmanuel Carrère.

In concorso al Festival di Cannes 2024, la pellicola di Serebrennikov non è un racconto lineare: il regista ha infatti trasformato l’esistenza dello scrittore in un grande concerto rock, in cui frammenti di ricordi, sia immaginati che reali, si susseguono a ritmo di musica. A interpretare l’autore russo è l’inglese Ben Whishaw: non si riesce mai bene a capire cosa stia pensando, risultando sfuggente sia per chi gli sta accanto che per gli spettatori.
Capiamo subito di che pasta è fatto dai primi minuti: quando il suo nome viene pronunciato con l’accento sbagliato corregge con voce ferma il proprio interlocutore e, alla richiesta del perché abbia scelto proprio “Limonov” come pseudonimo (il suo vero nome è Ėduard Veniaminovič Savenko) risponde che non viene dai limoni, ma dalle granate. E, almeno a giudicare da questo film, che uscirà in Italia grazie a Vision Distribution, la sua vita è stata davvero come un’esplosione, soprattutto autodistruttiva.La trama di Limonov: The Ballad non è esattamente la vita dell’autore e politico russo. Almeno, sceglie di concentrarsi su una parte per raccontare il tutto. Serebrennikov, per fortuna, rifiuta un biopic scritto leggendo Wikipedia e cerca di trovare l’uomo dietro all’icona. Per farlo racconta soprattutto la sua parte più fisica, fragile e umana. Dall’abuso di alcol alla fame sessuale, che spaziava da donne a uomini, fino al masochismo che lo ha portato a vivere anche per strada, alla mercé di ogni tipo di pericolo. Figura controversa, Serebrennikov non è per niente intenzionato a farne un’agiografia: questo Limonv è infatti un uomo pieno di difetti e mancanze, spesso debole, sia fisicamente che psicologicamente, ma dalla grande tenacia e forza di volontà. Lo vediamo immaginare il suo futuro glorioso, anche quando nessuno credeva che i suoi scritti avessero valore.
Dall’incontro con la moglie Elena Ščapova in Russia, fino alla scoperta del mondo con il trasferimento a New York, questo Limonov somiglia più a un Iggy Pop o a un David Bowie che a un polveroso autore da quarta di copertina. Lo vediamo infatti quasi rotolare e trascinarsi per i set del film, seguito quasi ossessivamente dalla macchina da presa, in lunghi piano sequenza, ricchi di dettagli, comparse, parole e musica.(…)

Movieplayer

I film di Serebrennikov guardano spesso al punto di rottura, alla germinazione e allo sviluppo di un seme di follia, raccontando storie e vite che finiscono per essere trascinate e travolte da passioni esplosive o da forze irrazionali. Più di una volta, così, le immagini rischiano di perdere il controllo, lasciandosi andare ad accensioni visive, a ondeggiamenti e allucinazioni, che mostrano una vitalità segreta, a tratti dirompente. Anche quando si avvertono tutte le forzature. Il risultato può convincere o meno. Fatto sta che da Summer in poi, il cinema di Serebrennikov sembra aver trovato un suo registro e una sua urgenza. Più di pancia che di testa, di sensazioni più che di discorsi. Cinema politico ma in maniera del tutto istintiva. Nella misura in cui si ostina a individuare le eccezioni alla logica di un sistema. Ecco, la vita di Ėduard Veniaminovič Savenko, in arte Limonov, contorta e controversa figura di poeta, scrittore, militante, leader politico, sicuramente offriva molti spunti per continuare nella direzione intrapresa negli ultimi film. Sulla traccia, chiaramente, della biografia romanzata di Emmanuel Carrère, che di fatti a un certo punto fa la sua apparizione per consacrare l’operazione. Ma si tratta di una vita a dir poco movimentata, ostinatamente e ostentatamente vissuta “contro”. Dai primi passi a Charkiv, città che soffoca le ambizioni del giovane poeta che si guadagna da vivere in fonderia, agli anni di Mosca, con la frequentazione dei circoli intellettuali e l’incontro fulminante con Elena, la donna di cui Limonov si innamora di una passione folle, vorace. A metà degli anni ’70 la coppia riesce a raggiungere New York, che sembra poter spalancare le porte della libertà e della felicità, ma che in realtà si rivela un mondo ben più duro e ostile di quanto immaginato. Qui è tutto un turbine di vicissitudini che portano Limonov prima sull’orlo della disperazione e poi a essere maggiordomo di un miliardario. Da lì a Parigi, la pubblicazione dei libri e i primi riconoscimenti letterari. Fino al ritorno a Mosca nel 1989. Dove, con il crollo del URSS, inizia tutta un’altra storia, con l’impegno nel Partito Nazional Bolscevico, coacervo di idee staliniane e di deviazioni naziste e nazionaliste.

La materia era complessa. E per forza di cose, la sceneggiatura di Serebrennikov, di Pawel Pawlikowski (che ha avuto rapporti con Limonov) e di Ben Hopkins opta per una selezione e una semplificazione. Ma la sensazione è che, alla fine dei giochi, si sia andati troppo oltre. Una riduzione che si concentra sulla dimensione umana e artistica del personaggio e relega in secondo piano le velleità da rivoluzionario e le intricate questioni della sua attività politica. Certo, Serebrennikov dà prova di una sicurezza registica invidiabile nel conmporre la sua ballata, tutta fondata su un ritmo incessante. Grazie soprattutto all’intuizione di raccordare i passaggi di tempo ai movimenti senza soluzione di continuità nello spazio. Ma è una fibrillazione pop, tutta di superficie. A differenza dei film precedenti e a dispetto delle premesse e delle intemperanze di Limonov, c’è qualcosa di troppo trattenuto e controllato. Quell’energia che altre volte sembrava emergere dal profondo, qui rimane in superficie. E neanche l’ottimo Ben Whishaw riesce a dare anima. Sarà anche che il film mette in gioco produzioni italiane (con Fremantle), francesi e spagna. Ma l’impressione è quella di un perfetto esempio di “stile internazionale”, da esportazione. Moderno, accattivante, funzionale. Con le canzoni di Lou Reed e la musica al momento giusto, le scritte sullo schermo, il lavoro sui formati e sulla grana delle immagini.

 

Sentieriselvaggi