Lagunaria

Giovanni Pellegrini

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DATI TECNICI
Regia
Giovanni Pellegrini
Durata
85 min
Genere
Documentario
Anno
2023

Presentazione e critica

Lagunaria, prodotto da Ginko Film per la regia di Giovanni Pellegrini, arriva ad aprile nelle sale cinematografiche italiane. Venezia è la protagonista del docufilm raccontato con uno sguardo al contempo mitico e attuale, e in chiave leggendaria dalla voce narrante dell’attrice Irene Petris che sembra venire da un tempo remoto. Il film è stato prodotto con il sostegno della Veneto Film Commission e il supporto straordinario di Legambiente. Dopo aver partecipato in concorso al Matsalu Nature Film Festival in Estonia, all’Another Way Film Festival di Madrid e all’Ecocup in Russia, è stato proiettato il 25 marzo 2023 negli Stati Uniti, al Salem Film Fest di Boston; e da aprile è approdato nei cinema d’Italia.
Da diverso tempo il regista veneziano Giovanni Pellegrini, con la propria casa di produzione e distribuzione Ginko Film, sta raccontando la sua città attraverso il progetto audiovisivo “Venezia Liquida” che colleziona corti e lungometraggi con l’obiettivo di restituire l’anima più autentica della città e il suo rapporto speciale e fondativo con l’acqua. Se il suo precedente documentario La città delle sirene era incentrato sulla grande alluvione di Venezia della notte del 12 novembre 2019, in Lagunaria il regista sembra alzare l’asticella, liberandosi del tutto dalla cronaca e prediligendo il racconto ammantato di toni rarefatti e di un’aura favolosa e mistica di “alcune delle storie che circolano su questa città“. Si parla del passato di una città presente, tentando di prevedere il futuro. Probabilmente non esiste città più adatta a questo approccio di Venezia, considerata la bellezza dei suoi panorami mozzafiato e dello svolgersi del suo Carnevale, il “peso” della cultura e delle tradizioni dei suoi abitanti, l’incanto della fauna lagunare e la vita nascosta nel groviglio dei suoi canali che il film prova a rappresentare attraverso un racconto fantasmagorico di questo mondo unico.
Lagunaria è un’opera intima che mira a farci toccare l’invisibile, cioè l’anima più autentica di Venezia, avvolgendo il racconto con toni rarefatti e un’aura da leggenda. Il film è frutto di un lavoro di ben cinque anni di riprese in cui Pellegrini ha ricercato le più belle ed eloquenti immagini della sua Venezia – una delle città turistiche più note al mondo – “rubate” peraltro durante un periodo storico difficile: quello della Pandemia. Con il punto di vista narrativo sempre differente, il regista osserva la storia e ce la racconta affrontando alcune delle grandi problematiche che affliggono la città lagunare negli ultimi anni come il cambiamento climatico e il sovraffollamento turistico: in una scena emblematica si vede una nave turistica mastodontica entrare da sinistra, per le sue dimensioni arriva a coprire buona parte dello schermo ma, soprattutto, le più alte e più belle vedute di Venezia. Il film stimola perciò una riflessione sulla sopravvivenza di questa città e su queste questioni sempre più urgenti.
Troviamo un forte contrasto fra la realtà delle immagini e la narrazione di un racconto onirico, fantasy, attraverso cui il regista prova a far vivere a chi guarda la vera Venezia ( non la città lagunare vista come tappa obbligatoria del grandtour, ma la Venezia vista dai Veneziani). Con una colonna sonora che parla di magia e mistero, una voce narrante fine e leggera e immagini spettacolari della laguna, il documentario realizza il suo scopo di comunicare in modo efficace il suo messaggio d’amore che è anche un accorato appello al rispetto, per questa terra dichiarata Patrimonio Unesco che non smette di far sognare.

Cinematografo

Quello di Lagunaria è un racconto pieno di nostalgia. Una voce narrante di inflessione mitica guida il ricordo di comunità invisibili dentro luoghi misteriosi nascosti da un reticolo di canali acquatici, sorvola le rovine di una civiltà che a causa di un appiattimento commerciale sembra scomparsa, venduta a favore del profitto, vittima del moto ondoso provocato dalle grandi navi da crociera. Mostra le carcasse di pietra esposte alle mire del dio del mare, invadente e capriccioso amante dotato di un abbraccio mortale. Attraverso una ricostruzione storica di Venezia emergono le debolezze strutturali di un patrimonio edilizio reso fragile dagli allagamenti ed una datazione degli interventi in atto per scongiurare la scomparsa, ed evitare la totale distruzione. Ma quello che preme al regista sottolineare è soprattutto la perdita d’identità collettiva di un luogo con una vita dipendente dagli abitanti temporanei legati al movimento turistico ed interi isolati occupati da un numero interminabile di bed and breakfast.
Una città che con la pandemia si è trovata svuotata dal solito flusso incessante di visitatori ed ha potuto guardare le case abbandonate, i quartieri sgombri e nei meandri silenziosi si è trovata a navigare in un posto sconosciuto, irriconoscibile senza il solito maquillage remissivo a favore di ospite, spogliata dai ninnoli rumorosi del carnevale permanente. E si chiede mormorando con preoccupazione dove siano finiti l’orgoglio dell’appartenenza, l’atteggiamento imponente, il volto fiero.
Guarda al passato con uno sguardo epico, e tra gli indizi del presente scorge gli insegnamenti del tempo, le radici bagnate eppure solide, quel filo che tramanda la memoria di generazione in generazione ad esempio insegnando ai ragazzi a vogare. Ha la fiducia e la necessità di interpretare quel collegamento come l’argine indistinguibile che fa gridare all’assenza. Il documentario è di tipo narrativo/osservazionale e naviga in mezzo alla popolazione rimasta di presidio, il nucleo di una rinascita possibile, ammesso si riescano a dileguare i fantasmi di un’isola inghiottita dalla nebbia del disinteresse.
Un malinconico grido d’aiuto unito alla ricerca di un sintomo autoctono, sussurrato dai reperti, condiviso insieme al disagio dell’acqua alta, febbrile passione di Poseidone. E che potrebbe aver trovato ispirazione nel mito fondativo di Metamauco, un’isola fonte di leggende di sapore atlantideo, che secondo gli studiosi si trovava nel posto più cinematografico della laguna, il Lido, e si è dissolta nel XII secolo. Trova delle soluzioni visive seducenti, si nutre di suoni e di riflessi, mentre alla lunga fa più fatica a tenere il ritmo di un discorso mitico e divulgativo ed evitare la trappola della ripetizione, ma la somma può considerarsi positiva.

Sentieriselvaggi