Marco Tullio Giordana
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Volto di donna. Gli echi lontanissimi possono partire da Gustaf Molander (Senza volto) e The Woman’s Face di George Cukor del 1941. I primi piani sulla protagonista in La vita accanto, ispirato al romanzo di Mariapia Veladiano che ha vinto il Premio Calvino, rivelano e nascondono, proprio come nel caso di una giovanissima Ingrid Bergman nel primo film e di Joan Crawford deturpata e contagiata dal Male nel secondo. Il dolore, nel nuovo film di Marco Tullio Giordana, non è però nel corpo di Rebecca. O, almeno, non soltanto. Contagia invece una famiglia bene vicentina in cui ogni respiro vitale si interrompe. Tutto diventa fermo, immobile. Così, proprio nel modo in cui gli interni familiari potrebbero essere attraversati da spettri, si sente la mano di Marco Bellocchio, co-sceneggiatore assieme a Gloria Malatesta e il regista.
Tutto comincia nel 1980 quando nasce Rebecca. La madre Maria (Valentina Bellè) è su di giri e condivide la sua gioia con il marito Osvaldo (Paolo Pierobon) ed Erminia (Sonia Bergamasco), la sorella gemella di lui che è anche pianista di successo. Ma dopo il parto, la famiglia nota che la bambina ha qualcosa di strano; sulla sua faccia infatti c’è una voglia rossastra che la copre per metà. Da quel momento, piomba nello sconforto. Maria cade in depressione e rifiuta le sue responabilità come madre. Osvaldo è come impotente. Solo Erminia si accorge che Rebecca ha talento come pianista. Così la protagonista vede nella musica la possibilità per un riscatto personale.
Dedicato a Chantal Akerman, La vita accanto fa convivere l’accurata ambientazione dei luoghi e dei personaggi con un impulso contagioso in cui il cinema di Giordana sembra essersi improvvisamente ringiovanito. Ed è proprio nell’omaggio alla grande cineasta francese scomparsa nel 2015 che il film cattura i gesti, le vie di fuga, il legame ombelicale ma anche di aperto contrasto con i luoghi. Ci sono scatti di rabbia (Maria che non sopporta il suono degli esercizi della figlia al piano, il litigio di Rebecca con il padre quasi risvegliato da quel sonno profondo in cui è piombato dalla sua nascita) che si alternano con il silenzio e il vuoto, ma anche tanti, possibili, ritorni alla vita. Così è proprio dalla casa che riemergono i segni del passato (il diario e i disegni di Maria), ed è nello stretto rapporto tra memoria e identità – che è tra i temi ricorrenti del cinema di Giordana – che Rebecca (portata sullo schermo da Sara Ciocca da ragazzina e da Beatrice Barison che sorprende per l’intensità che regala a un personaggio difficile) riesce a uscire da un isolamento che non è soltanto suo ma è come se appartenesse solo a lei. La storia privata non s’intreccia a quella italiana come nel caso di alcuni film più famosi del regista come La meglio gioventù o Romanzo di una strage. In più il ‘volto di donna’ di La vita accanto non segue un preciso percorso narrativo come nel caso di Nina/Cristiana Capotondi in Nome di donna.
Malgrado qualche distorsione eccessiva come nella seduzione e inganno da parte di un coetaneo studente di musica di Rebecca o il modo in cui viene mostrata l’aggressione nel sonno da parte della madre della protagonista, sono le derive fantasy/horror che portano il cinema di Giordana verso territori nuovi, riconoscibili ma anche inesplorati, in cui risulta decsamente felice il suo incontro con Bellocchio. Gli sguardi dala finestra, il rumore del tuffo nel fiume. Sono percezioni, oppure già oscuri presentimenti. Gli stessi della famiglia di Lucilla, amica di Beatrice. Nelle scene in cui si trovano insieme quando sono bambine potrebbero esserci – forse è pura allucinazione – delle strane corrispondenze con i biopic sulle star del rock. Sono i tanti strati di un film che rincorre ancora il tempo perduto, anche attraverso il dramma. Non c’è più Giordana solido narratore. Stavolta c’è qualcosa di più inafferrabile, anche confuso. Ma con un nuovo scatto. L’ombra di Chantal Akerman è probabilmente contagiosa.
Spesso si racconta che la nascita di un figlio dovrebbe essere il momento più bello della vita di ogni genitore. Il frutto dell’amore di una coppia rappresenta il destino ultimo della famiglia tradizionale, rafforzando i ruoli stereotipicamente rivestiti dai genitori. Un figlio è anche il frutto di una lunga gestazione fisica e mentale, fatta di dolori, preoccupazioni e aspettative su quello che sarà il futuro del nascituro. Quando La vita accanto, il nuovo film di Marco Tullio Giordana da oggi 22 agosto nelle sale dopo la première al Locarno Film Festival, mostra per la prima volta il volto della neonata Rebecca, capiamo subito che qualcosa non va. Lo vediamo negli occhi di suo padre Osvaldo e della zia Erminia quando notano la grande macchia rossa che copre il collo e parte del viso della bambina.Quella non è una voglia, ma una condanna. Non è una semplice caratteristica che potrebbe essere inserita sotto “segni particolari” in una carta d’identità, è la fine del suo essere figlia e l’inizio del suo essere mostro, specialmente agli occhi della madre Maria . La stessa donna, che prima saltellava per le scale per la gioia di essere incinta, ora vede Rebecca come una malattia, un parassita che la sta divorando dall’interno, il tutto a causa della sua inaspettata “bruttezza”. La figlia cerca allora di redimersi attraverso un grande talento musicale, mentre si affaccia sul mondo insieme alla sua compagna di banco Lucilla, che può vantare una vita famigliare altrettanto strana.Basato sull’omonimo romanzo di Mariapia Veladiano, La vita accanto espone in maniera lapalissiana una tendenza particolarmente forte negli ultimi lavori di Giordana, come in Yara e Nome di donna: il melodramma prende possesso della narrazione, indipendemente dalla sua forma o dai temi trattati, e fagocita tutto quello che la circonda. Ogni conflitto diventa così utile solo a creare l’ennesimo litigio tra i personaggi, per farli urlare tra di loro con frasi estremamente artefatte. Il rapporto tra madre e figlia, nello specifico l’odio causato dalla bruttezza di Rebecca, non è mai davvero esplorato e quello che rimane in superficie è una pura apatia che verso la fine del film scivola in una sagra del grottesco.
Il film annuncia fin dall’inizio di essere ambientato negli anni 80 ma finché la narrazione rimane chiusa tra le porte della dimora familiare è praticamente impossibile saperlo. La vita accanto cerca costantemente il distacco dal tempo, dallo spazio, tra i personaggi: una scelta che vorrebbe rappresentare l’alienazione aristocratica della famiglia protagonista, ma che finisce per essere solamente una parodia fine a se stessa. Ogni personaggio vive così in un universo a parte, ogni accenno che permetta di dar loro una maggiore profondità è lasciato cadere nel vuoto. La sceneggiatura, che oltre a quella di Marco Tullio Giordana vede la firma di Gloria Malatesta e Marco Bellocchio, dimostra la differenza fatale tra gli stili di due grandi autori del cinema italiano, che qui si ritrovano a combattere per portare il film in direzioni diverse e opposte per poi arrivare a un finale che, senza cadere in spoiler (e qui stranamente se ne potrebbero fare), minaccia le stesse fondamenta della storia. Laddove c’era una puntuale riflessione sulla diversità, ora resta solo una vacua autoconsolazione per chi preferisce l’omologazione.