La storia di Patrice e Michel

Olivier Casas

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La Storia di Patrice e Michel, vede protagonisti Michel e Patrice, due fratelli che nel 1948, a soli 5 e 7 anni, vengono abbandonati dalla madre e fuggono nella foresta, dove iniziano una vita selvaggia, lontano dalla civiltà. Per sette lunghi anni, sopravvivono affrontando il freddo, la fame e le difficoltà quotidiane, dimostrando una straordinaria capacità di adattamento. Il loro legame diventa simbiotico, una connessione profonda che li rende inseparabili e li lega indissolubilmente alla natura. Decenni dopo, Michel, ormai adulto, intraprende un lungo viaggio nel Grande Nord canadese alla ricerca di suo fratello. Nonostante il tempo passato, il legame tra i due fratelli rimane forte, ma il passato, con i suoi traumi, torna a far sentire il suo peso.
DATI TECNICI
Regia
Olivier Casas
Interpreti
Yvan Attal, Mathieu Kassovitz, Chloé Stefani, Alexandre Castonguay, Chloé Rejon, Marc Robert, Anaïs Parello, Jean-Stan Du Pac, Léa Archimbaud, Alixia Tordjman, Didier Brice, Simon Casas
Durata
105 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Olivier Casas
Fotografia
Magali Silvestre de Sacy
Musiche
Olivier Casas, Simon Casas, Cyril Maurin
Distribuzione
Movies Inspired
Nazionalità
Francia
Anno
2024

Presentazione e critica

1948. Michel e Patrice, due bambini di 5 e 7 anni, dopo essere stati abbandonati dalla madre in un campo estivo nei pressi di La Rochelle, fuggono nella foresta in seguito alla scoperta del cadavere del proprietario del posto che si è suicidato. Lì sopravvivono per sette anni e affrontano insieme continue avversità che fortificano ancora di più il loro legame. Patrice protegge sempre Michel arrivando pure a digiunare pur di far mangiare lui. Trascorrono molti anni. Michel si è sposato, ha due figli ed è diventato architetto. Patrice invece è medico ed è il direttore di una clinica ma un giorno sparisce. Così Michel molla tutto e lascia la sua famiglia per ritrovare il fratello che si è rifugiato in Canada. I segreti del loro passato continueranno però a tormentarli, anche a distanza di tempo e dall’altra parte del mondo. Una vecchia foto in bianco e nero. È l’unica immagine che è rimasta durante l’infanzia di Patrice e Michel. Il film diretto da Olivier Casas, al secondo lungometraggio dopo Baby Phone del 2016, è tratto infatti dalla storia vera dei due fratelli, portati sullo schermo quando sono diventati adulti da Mathieu Kassovitz e Yvan Attal che conservano sui loro volti le cicatrici e i demoni del passato.
Il cineasta francese ha ricostruito i momenti più importanti della loro esistenza in una continua alternanza tra passato e presente, con consistenti fratture temporali proprio per lasciare emergere progressivamente alcuni episodi determinanti: Michel che pensava di morire dopo che il fratello era scomparso, l’incontro con l’uomo che raccoglie le ostriche, l’abbandono davanti la colonia estiva e l’apparizione improvvisa della madre.

In La storia di Patrice e Michel la dimensione avventurosa cede il passo a quella intimista. Poteva invece essere maggiormente messo a fuoco l’istinto di sopravvivenza, la natura solitaria e l’incontro con gli altri – visti anche come alieni – come, per esempio, nella parte dell’incontro con i gitani amplificando così la loro ‘infanzia selvaggia’ con possibili echi dell’anarchia dal cinema di François Truffaut. Prevale però la voce-off di Michel, la sua visione personale e lo sguardo quasi ‘soggettivo’ sul fratello.
(…) il film riesce a mettere adeguatamente in evidenza il differente inferno interiore di Patrice e Michel, il loro scollegamento con la loro realtà professionale e soprattutto familiare che ha la consistenza di fugaci flash. Anche se in maniera diversa, Attal e Kassovitz giocano abilmente di sottrazione. Le loro espressioni, i loro gesti, prevalgono sui dialoghi. Resta soprattutto istintivo il rapporto e il richiamo con la natura, dai boschi oscuri dell’infanzia alle vaste distese innevate del Canada dell’età adulta, che rappresenta l’unico modo per confrontarsi con il loro differente vuoto esistenziale, a dimostrazione del fatto che il film riesce a dare il meglio proprio nelle parti meno narrate.

 

Mymovies

rancia, Châtelaillon. Due bambini, di 5 e 7 anni, nell’estate del 1948 sono smarriti, quando la madre non si presenta a prenderli alla fine della scuola. Iniziano a vagare nella campagna circostante, trovano un uomo impiccato in una casa, fatto che li spinge a scappare. Si ritrovano a vivere nella foresta, nutrendosi di erbe e di vermi e si difendono dal freddo accendendo falò. Una lotta per la sopravvivenza che assomiglia anche a un’incredibile avventura, instaura fra i due un legame indissolubile: quando rientreranno faticosamente nella società, dopo sette anni di stenti all’aperto, non condivideranno niente di quanto hanno vissuto insieme con il mondo circostante.

La vicenda che il regista Olivier Casas racconta nel suo secondo film, La storia di Patrice e Michel è incredibilmente vera. Michel Paul de Lafregeyre, il fratello minore interpretato da Yvan Attal (l’altro è affidato all’altrettanto abile Mathieu Kassovitz) oggi ha 78 anni ed è un famoso architetto che vive a Parigi. Da quando il film è uscito in Francia, lo scorso aprile (con ben 700 mila biglietti venduti), per poi essere trasmesso su Canal+ dallo scorso gennaio, Michel ha girato 40 città per incontrare il pubblico e da allora riceve ogni giorno messaggi di affetto e riconoscenza sui social.

Olivier Casas racconta com’è nato il lavoro di cui si sta già preparando a girare il remake in Usa (sono in corso in questi giorni le trattative con due attori di punta a Hollywood). La storia di Patrice e Michel racconta anche un fenomeno dai numeri considerevoli: in Francia, dopo la Seconda Guerra mondiale, un milione di bambini è rimasto senza casa. Riunirli alle famiglie è stato qualcosa di molto complesso e si sono perse completamente le tracce di 320 mila di loro.

Perché ha deciso di fare un remake di una vicenda francese negli Usa?

«Quella di Patrice e Michel è una storia universale, girando per i teatri e parlando con il pubblico molte persone hanno iniziato a sentire che c’era qualcosa che non tornava anche nel proprio passato. Il film ha mosso molte emozioni, la gente ha iniziato a parlare».

Come l’è venuta l’idea di raccontare questa storia?

«Il personaggio interpretato da Yvan Attal, Michel Paul de Lafregeyre, è mio amico da 20 anni. Una decina di anni fa eravamo insieme a un gruppo di amici, a Parigi, quando l’ho visto con un coltello e un pezzo di legno: ha scolpito qualcosa nel modo in cui lo farebbe un indiano Cherokee con al polso un orologio Cartier. Ho sentito che era un fatto strano, mi sono avvicinato e gli ho chiesto, “Michel, c’è qualcosa che non mi hai detto di te? Lui ha sorriso e dopo un po’ mi ha detto, “ho avuto un’infanzia diversa”. È stata la prima volta che menzionava l’argomento, da lì ha cominciato a raccontarmi com’era stata la sua infanzia. Mi parlava di Patrice, suo fratello, e io ero sconvolto. Comprendere l’amore che unisce questi due fratelli è stato scioccante, ed è il tema principale del film».

I quattro bambini che interpretano i due fratelli in età diverse sono favolosi, e i personaggi adulti sono affidati a due attori eccelsi del cinema francese, Yvan Attal e Mathieu Kassovitz: come li ha convinti?

«Ho scommesso sull’unica possibilità che avevo di convincerli, ovvero la storia. Ma Mathieu la prima volta mi ha detto di no. Non lo conoscevo, in una conversazione durata non più di tre minuti gli ho solo detto che ero molto deluso dalla sua risposta. E che essendo molto legato a Patrice, non potevo dare quel ruolo a nessun altro. Lì mi ha chiesto: “Perché, è una storia vera?”. A quel punto ha accettato al volo».

Da adulti, Patrice e Michel trascorrono molto tempo insieme, a bere whisky e a fumare pacchetti di sigarette parlando tutta la notte della foresta, dei bambini, ancora e ancora… Ma mai una parola con altri, a proposito della loro infanzia.

«Michel oggi è ricompensato dall’aver raccontato tutto in un film, questo mi fa felice. In molti hanno iniziato a parlare con i propri genitori, riconoscendo di sentire cose strane in merito a certe situazioni vissute nelle loro famiglie».

Come spiega il successo che Michel ha avuto come architetto, dopo un’infanzia simile?

«La storia di come è diventato architetto è incredibile, ho dovuto tagliarla per motivi finanziari».

Ce la racconta adesso?

«Quando aveva 18 anni, Michel lavorava in un grande caffè di Parigi. Una sera mentre stava pulendo i pavimenti, vede un tizio che sta disegnando delle piantine su un tavolo. Gli passa accanto una, due, tre volte, l’uomo lo nota e gli chiede se la cosa lo interessa. Michel risponde di sì, “da bambino costruivo cose, e ho provato a lavorare nelle costruzioni..”. L’uomo lo ha invitato a sedersi con lui. Era un giovane architetto che aveva solo il suo diploma e il suo certificato, ma aveva anche un problema che non riusciva a risolvere».

Che Michel gli ha risolto?

«È così. E quando Michel gli ha detto che lavorava facendo le pulizie nel locale, quell’uomo gli ha risposto che aveva un dono, e che doveva diventare architetto. Michel gli ha confessato di non poterselo permettere, l’uomo gli ha risposto che non era un problema, che avrebbe pagato lui i suoi studi. Non sono riuscito a raccontarla nel film, ma questa è l’altra incredibile storia che vive dentro quella principale».

 

Corriere