La sala professori

Ilker Çatak

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Quando la nuova insegnante di matematica e di educazione fisica di una seconda media tedesca, Carla Nowak, decide di prendere l'iniziativa per scoprire chi è il responsabile dei furti che si sono verificati nella scuola, lo fa con le migliori intenzioni. Prima su tutte quella di interrompere la prassi degli interrogatori ai danni di studenti innocenti e di liberarli dall'ombra del pregiudizio che grava su di loro. Sa benissimo, perché lo ha visto con i suoi occhi, che, per esempio, anche tra il corpo docente c'è chi non brilla per onestà. E sa benissimo, perché lo insegna in classe, che una tesi ha bisogno di una dimostrazione valida, da condursi passaggio dopo passaggio, altrimenti si finisce nell'ambito dell'opinione, nel relativismo, nell'anarchia. Eppure la sua azione finisce per innescare una reazione a catena, che sfocia proprio là dove Nowak non avrebbe mai voluto, in quell'immagine finale, che è iconograficamente associabile a una vittoria, ma racconta una tragica sconfitta.
DATI TECNICI
Regia
Ilker Çatak
Interpreti
Leonie Benesch, Leonard Stettnisch, Eva Löbau, Michael Klammer, Anne-Kathrin Gummich, Kathrin Wehlisch, Sarah Bauerett, Rafael Stachowiak, Uygar Tamer
Durata
98 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Ilker Çatak, Johannes Duncker
Fotografia
Judith Kaufmann
Montaggio
Gesa Jäger
Musiche
Marvin Miller
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Germania
Anno
2023
Classificazione
Tutti
Attività

Presentazione e critica

Quando la nuova insegnante di matematica e di educazione fisica di una seconda media tedesca, Carla Nowak, decide di prendere l’iniziativa per scoprire chi è il responsabile dei furti che si sono verificati nella scuola, lo fa con le migliori intenzioni. Prima su tutte quella di interrompere la prassi degli interrogatori ai danni di studenti innocenti e di liberarli dall’ombra del pregiudizio che grava su di loro. Sa benissimo, perché lo ha visto con i suoi occhi, che, per esempio, anche tra il corpo docente c’è chi non brilla per onestà. E sa benissimo, perché lo insegna in classe, che una tesi ha bisogno di una dimostrazione valida, da condursi passaggio dopo passaggio, altrimenti si finisce nell’ambito dell’opinione, nel relativismo, nell’anarchia. Eppure la sua azione finisce per innescare una reazione a catena, che sfocia proprio là dove Nowak non avrebbe mai voluto, in quell’immagine finale, che è iconograficamente associabile a una vittoria, ma racconta una tragica sconfitta. E ce ne sono tante di contraddizioni apparenti in questo film, che scorre come un treno sull’unico binario di un’idea di partenza che dà luogo a una produzione inarrestabile di altre cellule. Per esempio la contraddizione tra “tolleranza zero” e “democratizzazione”, due parole chiave della policy della scuola, o quella interna alla questione della riservatezza (Carla non leggerebbe mai le pagine del diario di un ragazzo, però lascia accesa una webcam in sala professori, per quanto su un’inquadratura strettissima; e noi sappiamo, perché stiamo guardando un film, che certe scelte possono fare la differenza).

Nell’attenta sceneggiatura del regista Ilker Çatak e di Johannes Duncker, si parla dunque di un solo fatto ma di molte conseguenze. Si parla tra le righe di responsabilità personali, di comportamento collettivo e di come, ancora una volta, questi elementi possano non essere accordati tra loro. Si parla, senza retorica, del coraggio che ci vuole a pensare e agire diversamente dal gruppo. La sala professori fotografa con la giusta drammaticità lo stato di un’istituzione in grossa crisi, esogena e endogena, in cui il rispetto che un tempo era precetto è stato sostituito dal sentimento umorale, per cui all’insegnante si dà retta finché è simpatico, sa intrattenere, non si fa scudo con il suo ruolo, perché allora quello scudo, sebbene di latta, diventa subito il bersaglio del tiro incrociato di alunni e genitori. Con passo felpato e occhio lucido, sostenuto da una colonna sonora asciutta e perfetta, Çatak segue l’intensa Leonie Benesch affondare nella spirale del tutti contro tutti, senza mai smettere di opporre resistenza, anche solo con lo sguardo, e mantiene saggiamente il film nell’ambito del verosimile, evitando il salto esplicito nella metafora che aveva contraddistinto lo sloveno Class Enemy, ma ottenendo, se possibile, un effetto ancora più raggelante.

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Ogni tesi necessita di dimostrazione. Il precetto che l’insegnante Carla Nowak impartisce ai propri alunni è matematico, insieme pedagogico. Se sui numeri non ci sono discussioni, una clamorosa smentita colpisce il piano dei comportamenti: sospetto può sortire, onus probandi, accusa ma non necessariamente giustizia.

Siamo in Germania, città di provincia. Scuola media, istituto d’eccellenza. Aule confortevoli, spazi adeguati. Si professa il confronto, il rispetto dei ruoli. Giovani rappresentanti di classe ammessi alla pari nei consigli d’istituto. Le linee guida di un moderno ministero dell’istruzione ampiamente rispettate. Tuttavia. A oscurare la faccia rassicurante della buona scuola intervengono alcuni furti. Episodi incresciosi, inaccettabili per un istituto che ha fatto della “tolleranza zero” il proprio motto ideale, neanche fosse una costola dell’AFD. Ecco contesto e premessa dell’ottimo La sala professori di İlker Çatak, con cui la Germania accarezza l’idea di un clamoroso bis all’Oscar come miglior film straniero, un anno dopo Niente di nuovo sul fronte occidentale. Questo dramma scolastico si difende con onore, regalandoci una delle sceneggiature più belle del 2023 (insieme ad Anatomia di una caduta della Triet). Nell’anno in cui celebriamo i cent’anni della morte di Kafka, lo script di Çatak e Duncker sembra tributargli omaggio, regalandoci un dispositivo narrativo di rara lucidità e perfidia. Un meccanismo diabolico che nell’avviluppo logico e implacabile di azioni e reazioni si spinge fino a sovvertire i fini originari e svelarne l’assurdo morale. Di buone intenzioni, si sa, è lastricato l’inferno. Dei furti la scuola vuol conto e ragione. Insegnanti s’improvvisano detective. Prima “torchiano” due rappresentanti di classe per farsi suggerire i presunti colpevoli. Poi organizzano una vera e propria retata in classe alla ricerca di prove. Tutto sotto lo sguardo atterrito della Novak, la giovane insegnante di origini polacche. Sono ammissibili simili manipolazioni e violazioni della delicata sfera psico-affettiva dei ragazzi? La disapprovazione della Novak appare del tutto giustificata. A maggior ragione quando i sospetti, indirizzati su uno degli studenti, Ali, si riveleranno infondati. Il fatto che Ali provenga da una famiglia turca non è un dettaglio che passi inosservato. I compagni si dividono tra colpevolisti e innocentisti e anche tra i professori serpeggia malcelato il pregiudizio. Il film misura i guasti del sistema educativo, dove anche il più nobile intento può essere sporcato da ideologie di risulta e noti vizi di uomini e donne di ogni tempo. L’invidia tra colleghi, la maldicenza, il bullismo – insomma l’imperfezione umana in alcune delle sue facce – possono sempre aprire una breccia pericolosa. Non stupisce che il turco-tedesco İlker Çatak voglia utilizzare il microcosmo scolastico come metafora politica della Germania odierna (ma l’analogia è estendibile ad altri paesi europei), dove allarma la crescita dei movimenti di estrema destra, la retorica della paura, la crisi dell’autorità, la fobia della devianza e la criminalizzazione dello straniero. Riaffiorano fantasmi di un passato tragico, con cui sembrava che i tedeschi avessero fatto i conti per sempre. Invece persino in un piccolo plesso scolastico si replicano pericolose dinamiche di controllo, talmente subdole e diffuse che la povera Novak è costretta a chiedere a un collega suo connazionale di non parlare polacco a scuola.

A questo punto attori e questioni in gioco sembrerebbero ben delineati, così come il perimetro di un’operazione che lavora contemporaneamente su due livelli: il primo, diretto, di ambientazione scolastica; il secondo, metaforico, di denuncia storico-politica. Ma gli sceneggiatori si spingono oltre e, con un colpo di scena improvviso, attivano un terzo livello di lettura, che ribalta i ruoli e rimanda ogni giudizio. Accade cioè che l’eroina del film, la professoressa Novak, presa anche lei da inarrestabile scrupolo d’indagine, finisca per tendere una trappola al presunto ladro, per stanarlo. E vi riesce pure. Il problema è che questa iniziativa, lungi dal chiudere il caso una volta e per tutte, finirà per moltiplicarne i risvolti attivando una catena di eventi che confonderà il giudizio e metterà in pericolo la tenuta stessa della scuola. Innocenti e manipolatori si confonderanno dentro la linea di faglia che lacera questo piccolo mondo contemporaneo. Strappato tra responsabilità e verità, sorveglianza e privacy, regole e buon senso. Seguendo il moto perpetuo e ansiogeno della Benesch, lo scacco di un punto di vista sempre contraddetto dalla logica contorta degli eventi – danza sincopata sulle quattro note di piano di Miller – La sala professori sposta il focus sull’istanza invisibile del racconto, evocando quelle forze che possono sempre mettersi involontariamente in moto e rovinarci. Mostrando di sentire gli umori di un tempo che artiglia il pensiero e l’etica positiva con caotico determinismo. Salvo rilanciare la posta in gioco nel finale. Una conclusione doppia che lascia tutto aperto.

 

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