Jeanne du Barry – La favorita del re

Maïwenn

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Nata in povertà, la cortigiana Jeanne du Barry è una giovane donna della classe operaia affamata di cultura e piacere che usa il suo fascino per scalare i gradini della scala sociale fino a diventare la compagna preferita del re. Ignaro del suo status di cortigiana, Luigi riacquista interesse per la vita grazie alla loro relazione. I due si innamorano perdutamente. Contro ogni decoro ed etichetta, Jeanne si trasferisce a Versailles, dove il suo arrivo scandalizza la corte. Luigi XV morì nel 1774 e Madame du Barry fu costretta a ritirarsi in convento. Fu così che Maria Antonietta cominciò a regnare incontrastata in Francia.
DATI TECNICI
Regia
Maïwenn
Interpreti
Johnny Depp, Maïwenn, Melvil Poupaud, Pierre Richard, Pascal Greggory, Benjamin Lavernhe, Noémie Lvovsky, India Hair, Robin Renucci, Marianne Basler, Caroline Chaniolleau, Suzanne De Baecque, Capucine Valmary, Patrick d'Assumçao
Durata
116 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Maïwenn, Teddy Lussi-Modeste, Nicolas Livecchi
Fotografia
Laurent Dailland
Musiche
Stephen Warbeck
Distribuzione
Notorious Pictures
Nazionalità
Francia
Anno
2023

Presentazione e critica

In riva a un fiume, nel mezzo della campagna ben lontano dal centro da ogni forma di potere. I natali di Jeanne Vaubernier furono estremamente umili. Nella metà del Settecento in Francia la mobilità sociale era davvero ridotta, ma per elevarsi socialmente la bella Jeanne mise a frutto ogni suo talento, l’arguzia e il fascino, l’eleganza e la malizia. Per il suo sesto film, Maïwenn cambia decisamente stile e ambientazione, allontanandosi dal realismo contemporaneo, spesso metropolitano se non di strada, per andare indietro di alcuni secoli affrontando un genere a se stante come l’affresco di corte, anche grazie a un budget particolarmente importante. Quello che non è molto diverso da altri suoi lavori, pur raccontando di Jeanne du Barry, arrampicatrice sociale e favorita del re di Francia Luigi XV, è il punto di partenza molto personale, in passato talvolta ombelicale.

Si ritrova molto in Jeanne, Maïwenn, nata Le Besco, cognome stabilmente rinnegato per i pessimi rapporti con i genitori. Condividono una nascita periferica e umile, così come il complesso ambientamento in un contesto molto diverso. Per Jeanne la corte reale di Versailles, amante di re Luigi XV, per Maïwenn il mondo del cinema, fin da giovanissima legata per alcuni anni al re del cinema transalpino in quegli anni: Luc Besson.
È attraverso il passaggio di un legame con il Conte di Barry, che la giovane si avvicina ai palazzi della nobiltà, prima che Richelieu in persona lo presenti al sovrano. Proprio la scena del loro primo incontro, con l’avvertenza di non guardarlo negli occhi, pena un chiaro e malizioso messaggio, ovviamente sostenuto poi nei fatti da uno scambio libidinoso fra i due, sintetizza bene la voglia di emergere della cortigiana, capace di contagiare con la sua energia “scandalosa” il re, incupito dalla perdita della sua amante precedente, Madame de Pompadour.
Jeanne du Barry è esagerata, sorridente, inopportuna. Per raccontarla (e raccontarsi) l’autrice tratteggia un film posato, in cui qualche guizzo eccentrico non destabilizza l’impianto elegante scelto da Maïwenn, con rumori soffusi lontani un mucchio di decibel da Polisse o Mon roi. Una bellezza formale che esplode in alcune sequenze davvero ben costruite, in cui i colori pastello si alternano ai velluti di corte, con scene a tavola illuminate da luce di candela – valorizzate dalle riprese in 35mm – che strizzano un occhio al Kubrick di Barry Lyndon. Speravamo in qualche sberleffo in più, ma qui la regista e interprete trattiene la sua turbolenta visione del cinema, gli estremi narcisisti e auto referenziali, pur dopo alcune smorfie pericolose di troppo, grazie a qualche guizzo ironico piacevole e, ci sembra, non involontario.

La dimensione del gioco aiuta a sostenere i momenti migliori di un film che pecca di qualche rallentamento che rischia di far emergere un contesto polveroso come i tappeti dell’immenso palazzo, con Versailles a rappresentare contemporaneamente un labirinto e un terreno di giochi, che nella Maria Antonietta di Sofia Coppola – riferimento dichiarato – alimentava una malinconia capace di far emergere uno spaesamento esistenziale deliziosamente in contrasto con i colori pastello e gli anacronismi della messa in scena, mentre qui Maïwenn rimane più in superficie, sempre su Jeanne, senza riuscire a farla comunicare con quello splendido antagonista che avrebbe potuto essere Versailles.
Rimangono le invidie di corte, di sorelle perfide quasi quanto le sorellastre con Cenerentola, fra scandali e il tempo che passa implacabile, mentre Jeanne è stata così brava a far dimenticare i suoi umili natali di partenza, in un patto faustiano per la rivincita sociale, che pochi anni dopo subirà lo sberleffo di una rivoluzione al grido di “potere al popolo”, lei che veniva da quelle fila, con la ghigliottina pronta all’azione e una vendetta sociale dal senso dell’umorismo particolarmente affilato.

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