Uberto Pasolini

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Ulisse torna ad Itaca e trova una situazione in bilico: la residenza del re è circondata dai proci che vorrebbero sposare la regina per impossessarsi del trono, e Penelope prende tempo tessendo di giorno una tela che di notte disfa. Suo figlio Telemaco, convinto che il padre non tornerà ad Itaca e che abbia altrove un’altra donna e un’altra famiglia, vorrebbe che la madre scegliesse un pretendente e ponesse fine all’assedio dei proci. Ma Penelope è devota al marito, anche se le attenzioni di Antinoo, l’unico pretendente che sembra davvero innamorato di lei, non le sono del tutto indifferenti. Ulisse si traveste da mendicante per entrare nel palazzo reale e viene deriso dai proci e osteggiato dal figlio. Ma sarà lui a dire l’ultima parola, ristabilendo l’ordine non solo nel regno, ma anche nella propria famiglia. Abbiamo potuto raccontare tutta la trama di Il ritorno, quarto film da regista di Uberto Pasolini, perché non si discosta da quella dell’Odissea che tutti conosciamo. Ma Pasolini ha voluto raccontarla da un’angolazione diversa e molto adatta ai tempi: l’incapacità di un soldato a rientrare nella sua vita precedente al combattimento e ritrovare il suo vecchio sé, perché la guerra cambia gli uomini e può alienarli persino dagli affetti. Di più: Pasolini si addentra in una riflessione sulla natura maschile e sul peso della sua assenza, delineando in Penelope una madre eccessivamente apprensiva nei confronti del figlio, e un Telemaco infantilmente attaccato alla madre, incapace di difendere il regno dai proci e di affermare la sua virilità. Ulisse ci appare innanzitutto come corpo, abbandonato nudo sulla spiaggia di Itaca: un corpo virile, appunto, stanco di guerra, segnato dalle ferite, ma ancora possente. Un veterano che ne ha viste troppe e che non ricorda (o non vuole ricordare) il proprio posto nel mondo, prima ancora che nel suo regno.
Ralph Fiennes lo incarna con una fisicità più palestrata del solito ma anche istoriata dalle battaglie, e attraverso lo sguardo colpevole di un uomo che, a confitto terminato, non è tornato subito a riprendere il suo ruolo di marito, padre e sovrano, ma ha girovagato, forse perdendosi, forse procrastinando l’inevitabilità del suo recupero di una vita che non sembra più appartenergli. Anche Penelope non è il simbolo di stoica pazienza e incrollabile fedeltà coniugale che ci hanno sempre raccontato: Juliette Binoche che la interpreta dà sfogo alla sua frustrazione e alla sua rabbia davanti a un mondo di uomini per cui lei è solo un trampolino verso il potere, e davanti a un marito che l’ha lasciata da sola ad arginarli, prendendosela comoda nel ripresentarsi a casa. Pasolini dà spazio anche alla sensualità repressa della donna (mentre Ulisse, come sappiamo, non si era negato avventure extraconiugali durante il suo peregrinare per il Mediterraneo), e anche all’anziana madre di Ulisse riconosce una sensualità, nel momento in cui carezza il corpo del figlio ritrovato. Il ritorno è una storia di sopravvissuti che hanno fatto il possibile per resistere, ma la cui fragilità umana è dolorosamente evidente. Su tutti aleggia lo spettro del tradimento: di un coniuge, di un sovrano, di un popolo, di un figlio, dei compagni di battaglia – perché se ad Ulisse non è rimasta altra identità che quella di soldato, anche quella è stata da lui tradita, non essendo riuscito a salvare i suoi commilitoni e a riportarli a casa. Non è facile entrare nello spirito di questo ennesimo adattamento cinematografico dell’Odissea popolato da attori non mediterranei (particolarmente poco azzeccati Charlie Plummer nel ruolo di Telemaco e Tom Rhys Harries in quello di uno dei proci), ma le interpretazioni di Fiennes, di Binoche e Marwan Kenzari nei panni di Antinoo sono intense e convincenti. Alla fine la storia si riallinea come le asce attraverso le quali Ulisse lancerà la sua freccia, e la denuncia di Pasolini verso tutte le guerre, che snaturano le persone e le privano della possibilità di evolversi come esseri umani, è una rilettura potente di una delle storie più antiche e più spesso riproposte. Nota di merito per le musiche di Rachel Postman, abile compositrice per il cinema, prima ancora che ex moglie del regista.
Quello di Uberto Pasolini con Itaca. Il ritorno (The Return, in originale) non è solo un film su Ulisse – o Odisseo, come viene appellato nel film – bensì, è un film sulle prospettive di un uomo portato al limite, ritornato (appunto) per chiudere (o aprire?) i conti con ciò che ha lasciato in sospeso. Un discorso universale, che si allarga anche alla condizione di pace e di guerra. Oltre alla complessità, sempre di un uomo, messo davanti alle proprie responsabilità, storcendo – e meno male – anche la figura dell’eroe mitologico, partito per “non vivere come un bruto”, lasciando però a casa una moglie, un figlio, nonché la sua gente, schiavizzata da un dittico sociale dalle palesi vibrazioni contemporanee. Scritto da John Collee ed Edward Bond, senza tradire lo spirito del poema di Omero (anzi, rispettandolo, in diversi passaggi, quasi alla lettera), Itaca. Il ritorno, presentato prima al Toronto Film Festival e poi alla Festa del Cinema di Roma, e girato tra Corfù e l’Italia (la scenografia è suggestiva, volutamente grezza, austera, desolata), è tra l’altro la dimostrazione di quanto il genere peplum, se ben ideato, ha ancora forti spunti d’interesse, per nulla scontati. E non in ultima veduta, anche molto cinematografico.
Se di trama si può parlare, Itaca. Il ritorno di Uberto Pasolini (vero e proprio autore internazionale, fotografa in due ore uno dei passaggi più emblematici, studiati e ricordati dell’opera di Omero: il ritorno di Odisseo (interpretato da Ralph Fiennes, strepitoso) ad Itaca. Dentro, c’è un po’ tutto: il porcaro Eumeo; il figlio arrabbiato (e come dargli torto?) Telemaco; i cattivi proci, capitanati da Antinoo; c’è il cane Argo, fiero e valoroso, fermo lì ad attendere il suo amico. E c’è ovviamente Penelope (Juliette Binoche, mai così bella, potremmo dire) con il suo telaio, e il suo rancore misto ad amore, verso quel marito sparito nel nulla. Odisseo aka Ulisse, torna fingendosi mendicante, riconquistando, alla fine, ciò che ha perso. O per meglio dire, “dimenticando per ricordare”. Tecnicamente ineccepibile, e anzi dal fascino classico, nella messa in scena e nell’atmosfera (basti pensare all’accompagnamento soave della colonna sonora di Rachel Portman), The Return ha l’umore giusto di risultare tuttavia fortemente moderno, per l’approccio verso una figura archetipa, nonché antropologica e culturale. (…) Anche per merito delle interpretazioni misurate e composte di Ralph Fiennes e Juliette Binoche: c’è un discorso sulla fisicità che Uberto Pasolini rivede facendo del corpo di Odisseo, martoriato e ferito, una contro-storia da poter raccontare. Frammenti di un’istantanea che si ferma sulla psicologia di personaggi (im)perfetti, e per questo di efficace valore narrativo (del resto, il valore dello storytelling lo ha inventato proprio Omero). Un paio di momenti, tra l’altro, valgono la visione. Nemmeno a dirlo, la lacrima versata da Odisseo (l’unica, come scritto nel poema) accarezzando per l’ultima volta Argo, ormai libero di poter morire, e poi la prova dell’arco, di nuovo teso e pronto per scoccare quella freccia carica di vendetta. In un certo senso, Il ritorno si fa anche opera attuale nei riverberi di un prospetto che contrappone, costantemente, la pace alla guerra (entrambi stati mentali, frutto del volere dell’uomo), nonché viene esaltato il parallelo tra i proci, una nobiltà viziata, arrivista, usurpatrice, con la classe politica odierna. Ma la vibrazione migliore arriva, come detto, dalla destrutturazione del profilo dell’eroe di Itaca: finalmente osserviamo un Odisseo vulnerabile e messo in discussione, spostando quella mitologia maschile (e sì, pure un filo maschilista) verso la figura di un uomo tormentato e affranto (perché diciamolo, Ulisse non è solo coraggio e intelletto, ma è anche egoismo e arroganza), tornato per chiedere perdono ad una donna ancora prima che ad una moglie. Una differenza sostanziale, e di rilevanza nevralgica. La modernità di Omero, applicata ad un cinema di rigore formale e di sensazione emotiva.