Io Capitano

Matteo Garrone

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Festival di Venezia, 2023 - Leone d'argento, Premio speciale per la regia a Matteo Garrone e Premio Marcello Mastroianni miglior attore o attrice esordiente a Seydou Sarr

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David di Donatello 2024 - Vincitore dei premi per: Miglior film, miglior fonico di presa diretta, miglior produttore, miglior regista a Matteo Garrone, migliore fotografia a Paolo Carnera, migliore montatore a Marco Spoletini, migliori effetti speciali visivi

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Io Capitano,racconta la storia di due giovani Seydou e Moussa, che partono da Dakar, in Senegal, per affrontare un lungo viaggio per raggiungere l'Europa. La loro diventa un'odissea nel mondo contemporaneo, che li porta ad attraversare il deserto e le sue mille insidie, i pericoli del mare aperto e lo stesso essere umano, pieno di ambiguità e ipocrisia.
DATI TECNICI
Regia
Matteo Garrone
Interpreti
Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodu Sagna, Khady Sy, Venus Gueye, Oumar Diaw, Joe Lassana, Mamadou Sani,Bamar Kane, Beatrice Gnonko
Durata
112 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri
Fotografia
Paolo Carnera
Montaggio
Marco Spoletini, Andrea Farri
Distribuzione
01 Distribution
Nazionalità
Italia, Belgio
Anno
2023
Attività

Presentazione e critica

È difficile stabilire quale scena di Io Capitano porteremo a lungo nel cuore, quali immagini e parole continueranno a commuoverci quando il film avrà compiuto il suo giro: forse il barcone che di notte naviga silenzioso nelle acque scure del Mediterraneo, o anche l’immenso deserto del Sahara attraversato faticosamente da piccole figure indistinte. Di certo, per un regista/pittore che, come David Lynch, parte da una suggestione visiva, un’immagine può essere potente ed evocativa di per sé, senza che la si debba “sporcare” con il dialogo o accompagnare con una musica assordante. Basta contemplarla e poi lasciarsi travolgere, o anche solo cullare, approfittando della dimensione “dilatata” del viaggio, che, per quanto avventuroso, ha un suo ritmo e una sua alternanza di quiete e di tempesta, di azione e di reazione. Per Matteo Garrone il senso di Io, Capitano sta proprio – sebbene non soltanto – nel viaggio: un viaggio che somiglia a quella strada che per Giorgio Gaber era l’unica salvezza. Di sicuro, per Seydou e Moussa è una salvezza a caro prezzo, costretti come sono a seguire un cammino irto di minacce umane e reso ancora più aspro da una natura ostile. Per percorrerlo sono necessarie gambe robuste e giovani, e ben allenate. Chi non le ha verrà lasciato indietro a morire, inghiottito dalla sabbia insieme alla speranza di un avvenire sereno. Tornando alla domanda iniziale, sono tanti, in realtà, i momenti suggestivi del film di un regista che agli effetti speciali preferisce l’artigianalità e i paesaggi reali. E, a proposito di realtà (e realismo), guai a scambiare Io Capitano per un ibrido, nella fattispecie un film per metà documentario e per metà di finzione. E infatti, se a un primo sguardo i personaggi sembrano poco caratterizzati, poi acquistano significato e materia, e succede perché il loro obbligato “passaggio per l’inferno” è la metafora di un’evoluzione interiore che si risolve prima nella perdita dell’innocenza e poi nella consapevolezza che diventare adulti vuol dire avvertire un senso di responsabilità e accudire, più che essere accuditi. In questo senso, Io Capitano è a tutti gli effetti un romanzo di formazione, e Seydou e Moussa, a pensarci bene, sono un po’ come Pinocchio, che abbandona chi lo ha messo al mondo e, ascoltando cattivi consigli, si fa rubare i pochi zecchini d’oro che ha in tasca. E se ai loro occhi l’Europa appare come un paese dei balocchi, c’è senz’altro un uomo che fa le veci di un genitore salvifico e affettuoso, e che quindi ricorda la Fata Turchina. Non manca neppure il pescecane, che ovviamente è il barcone sporco e arrugginito che parte da Tripoli e punta verso la Sicilia. Nella sua pancia di ferro, però, non c’è Geppetto, perché mentre Pinocchio alla fine si trasforma in un bambino vero, Seydou deve diventare un uomo, ed è normale che, prima che questo accada, i cattivi gli appaiano come dei mostri e la fatica fisica come il prezzo da pagare per tuffarsi in un’avventura degna del più prodigioso esploratore. Forse in Io, Capitano c’è poco di nuovo e inedito sui sacrifici che un migrante è costretto a fare per abbandonare la terra che gli ha dato i natali e raggiungere il vecchio continente, ma Garrone non parla soltanto a chi sa e ha letto e ha visto, ma anche, anzi soprattutto, a chi non sa o non immagina neanche lontanamente che in Africa le fughe clandestine hanno portato alla nascita di un vero e proprio business, un piatto in cui c’è da mangiare per tutti: banditi, interpreti, autisti, fornitori di passaporti falsi, scafisti, militari. Sono loro i cattivi del film? Se Seydou è Pinocchio, allora questi loschi figuri potrebbero essere i dottori di cui il burattino ha terrore, ma siccome il film racconta pur sempre storie vere, le ben note orecchie da ciuchino con cui una mattina si svegliano Lucignolo e Pinocchio diventano, per i due giovani protagonisti, ematomi, occhi neri e ferite da arma da fuoco, e bisogna sbrigarsi a raggiungere la Terra Promessa, se si vogliono evitare l’amputazione o la morte per setticemia. Non è casuale che Io Capitano dedichi ampio spazio alla quotidianità di Seydou e di Moussa nel loro paese di origine, e cioè il Senegal. È questa la parte più bella ed emozionante del film, che ci mostra un paese povero ma che non perde quasi mai il sorriso, un luogo accogliente nel quale i nostri due sedicenni scrivono canzoni, indossano orgogliosamente la maglia del Barcellona dei tempi d’oro e ai piedi hanno sneakers che sono una perfetta imitazione di un modello di Nike particolarmente in voga. E attenzione: è questa lunga introduzione che ci restituisce non personaggi ma persone, evitando così, nella successiva ora e mezza di film, di far apparire l’intero contingente di migranti come una massa indistinta e anonima, come bestie da soma senza intelletto o, peggio ancora, come dei selvaggi con il gonnellino di paglia. I due ragazzi di Dakar e i loro compagni di traversata sono invece un insieme di individui a cui bisogna riconoscere la dignità di uomini, o anche la dignità dei vinti. E i vinti hanno desideri e speranze come chiunque altro, solo che sono più sfortunati. Per questo è importante per Seydou che nessuno muoia durante il viaggio, e lo è anche per Matteo Garrone, che fa un’altra scelta molto giusta: evitare ciò che tanti film sull’immigrazione ci hanno mostrato, e quindi i primi soccorsi, il soggiorno nei centri di accoglienza e così via. Non c’è il desiderio di distinguersi dagli altri registi a monte di questa decisione, ma solo un bisogno profondo di non rovinare il sogno europeo di Seydou e Moussa. Garrone, seppur consapevolmente, preferisce restare con l’illusione che quella disgraziata brigata, che ha rischiato la vita per arrivare sulle nostre coste, avrà effettivamente un’esistenza migliore e troverà un lavoro e una casa, e forse metterà su famiglia.In fondo non è così che finiscono le fiabe, che per Garrone sono tra le forme di narrazione più belle di sempre? Io, Capitano, tuttavia raccoglie e mescola storie realmente accadute, e le poche incursioni nel realismo magico, che siano sogni o miraggi, confermano la grande capacità affabulatoria di un regista che non perde mai la pietas nei confronti dei suoi personaggi: fallibili come gli esseri umani e archetipici come gli eroi e gli antieroi dei poemi omerici.

Cominsoong

Con Io capitano Matteo Garrone dà voce alla storia di Seydou e Moussa due cugini adolescenti senegalesi che decidono di intraprendere il pericoloso viaggio che conduce i migranti alle sponde di un’Europa da sogno. Presentato in concorso all’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Io capitano è un meraviglioso racconto dal sapore di una favola, ma è anche il primo film prodotto da Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution ad aver un cast composto interamente da attori neri e recitato in dialetto wolof.
(…) Nel raccontare i soprusi e gli orrori dei migranti, Garrone sottrae allo sguardo morboso dello spettatore la narrazione delle violenze, mostrandone soltanto i risultati e scegliendo di non indugiare sulle ferite, sul sangue e il dolore, ma riuscendo con maestria a dare una chiara visione di ciò che troppi esseri umani sono costretti a subire pur di arrivare sulle nostre coste. Tenendosi ben lontano dallo stile documentaristico, il film di Garrone ha il sapore di una favola, in cui alla crudezza di molte immagini si alternano frammenti di visioni poetiche e sognanti – cifra stilistica del suo cinema – per esternare le paure e i desideri di Seydou. Il giovane attore catalizza l’attenzione su di sé, merito anche dei primi piani della regia, perché il pubblico non deve mai dimenticare che l’Io del titolo è quello di Seydou e non di Garrone, né dell’Occidente – le cui responsabilità politiche sono taciute nel film – o della visione bianca e parziale a cui siamo abituati.
Io capitano è un racconto di formazione, una favola dai toni oscuri (ma non lo sono tutte le fiabe?), una testimonianza autentica, coraggiosa e necessaria. Come necessaria è stata la scelta di far uscire in sala il film senza doppiaggio e con i sottotitoli, a ricordare che questa storia non parla, finalmente e per la prima volta, di noi. Io capitano è una visione imperdibile.

Madmass