Simone Massi
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
“Invelle”, in nessun dove, nowhere, spazio ipotetico in cui il bisogno individuale si fonde e si cancella in quello collettivo, in cui i sommovimenti del mondo trovano una concretizzazione emotiva e allo stesso tempo asettica. A “invelle” non c’è salvezza, solo una ripetizione continua di uno stato di ingiustizia. Non è un caso che Simone Massi, animatore pluripremiato al suo primo lungometraggio, scelga la sua personale terra “spromessa” – una campagna marchigiana senza tempo e senza fiato – per raccontare l’insuccesso collettivo (la rimozione coatta) di un popolo che è fatto di dimenticanza e rimozione. Invelle mastica la propria storia sociale e la risputa: rivendica consapevolezza analizzando una sconfitta che è la sconfitta di tutti. Zelinda affronta i cascami della Grande Guerra con una madre morta di fatica sui campi e un padre che torna trasfigurato dal fronte. Lei vorrebbe studiare, il mondo che la abbraccia con distacco non glielo consente. Segnata – in un film che fa del monocromatismo una bandiera stilistica – da un fazzoletto rosso che chiama resistenza personale, che rimanda alla Resistenza, quella vera, evocata a più riprese nella storia di Assunta – che a Zelinda si sostituisce al centro del racconto, figlie che diventano madri, bambine costrette a una maturità da donne più imposta che desiderata – ragazzina del 1943 che vede gli aneliti di libertà farsi lotta e poi delusione, percepita dolorosamente negli occhi di quegli adulti costretti a subire per l’ennesima volta l’inganno di un’illusione di libertà, il tradimento di una promessa.
A Icaro sarà concessa la porta di una modernità coatta: a lui, che porta in sé l’onomastica di un desiderio di volare destinato al fallimento, si apriranno le porte dello studio – tanto desiderato e sempre frustrato nei sogni delle sue antenate – e delle comodità. Un appartamento vero, il termosifone, l’agognata vita di città. Il prezzo da pagare, nella lucidità commovente del passaggio generazionale – di una commozione che Massi rappresenta sempre a ciglio umido –, è la perdita non solo di un’identità collettiva, ma di un mondo costretto all’estinzione, segnato dal lutto nazionale del rapimento Moro e della strage di via Fani. Ai movimenti interiori corrispondono, feroci e contrari, quelli di un Paese sempre incapace di salvarsi, di redimersi, di guardare davvero verso il futuro.
Un futuro che non sa far altro che cancellare le proprie radici: anche le inflessioni dialettali, nel tempo che passa e nel mondo che vuol rinnovarsi, sono destinate a essere represse, errori da segnare in classe con la matita blu. Invelle riesce allo stesso tempo a essere un’ode lirica che osserva un passato ormai scomparso e a imporsi come una denuncia politica sulle colpe della collettività, responsabile di quella perdita immane. Massi segna questa sconfitta di tutti incidendola sulle immagini del suo film, ostentatamente fatte a mano, che si impongono come testimoni concretissimi di un diritto all’esistenza e al ricordo. Segni dell’uomo, se mai ce ne fossero rimasti ancora. Certo: Invelle è un film orgogliosamente politico e a tratti potrebbe pagare qualche eccesso ideologico, ma il suo coraggio nel fuggire ogni forma di languore pietistico per privilegiare una sorta di lirismo cristallino – naturale fino a fondersi nella rappresentazione di uomini, terra, animali – impone ammirazione e rispetto.
L’animazione di Massi è indescrivibile, quasi fantasmagorica: la macchina da presa si fa veicolo ideale per mescolare e ibridare un mondo talmente lontano e indescrivibile da reinventarsi e ricostruirsi nella memoria. I disegni si mescolano, si fondono, si trasformano. Il ricordo, il passato, l’ipotesi lontana di un segno di speranza, diventano vessillo, ideale, sogno da combattimento. Invelle di Simone Massi è in fondo una variabile immaginifica di un cinema militante che, come la società contadina che racconta, forse non esiste più. Ma di cui avremmo ancora maledettamente bisogno.
Un lungometraggio italiano d’animazione è di per sé già una rarità, ma uno come Invelle (in gara a Orizzonti a Venezia 80) è addirittura unico. Per la prima volta fuori dai limiti del corto (e i suoi lo sono per davvero: i folgoranti La memoria dei cani, Dell’ammazzare il maiale o L’attesa del maggio stanno tutti sotto i dieci minuti), il grande artista scava nella sua terra (Pergola, provincia di Pesaro e Urbino), convoca i fantasmi di una comunità, entra nel corpo vivo della memoria, cavalca i decenni con una missione: salvare i sommersi.
Invelle vuol dire “in nessun luogo”, ma qui il luogo è chiaro: eppure, se la collocazione geografica ha confini precisi, quella umana, antropologica, spirituale li trascende. Invelle è un non-luogo depredato dalla Storia ufficiale, ridotto a periferia narrativa, culturale, sociale, recuperato da un’azione artistica che è atto politico al crocevia tra celebrazione della tradizione orale e slancio artigianale e visionario. Un canto lirico, un poema mitico, una canzone popolare, dal 1918 al 1978, tra la fine della Grande guerra e il sequestro Moro, i destini dei personaggi, bambini nel tempo e per sempre, si rincorrono, si intrecciano, si toccano: da Zelinda, contadina a cui le circostanze impongono di mettere da parte l’infanzia, ad Assunta, che sopravvive sotto le bombe, fino a Icaro, che dalla campagna va in città. Ridurlo a una linearità non rende giustizia a un viaggio lungo tre generazioni che somiglia a un sogno nero, innestato di colori improvvisi che irrompono per rompere e annunciano il dramma dopo il carnevale. E se è vero che il movimento vorticoso e poetico di questa narrazione vertiginosa può disorientare, lasciando che la sovrastruttura sovrasti sulla struttura, il teorico prevarichi sull’emotivo, la tensione intellettuale (e concettuale) sia più forte del battito del cuore. Ma Massi – che a Invelle, certo non lontano dall’autobiografia, ha dedicato anni e anni di lavoro – tra tormenti e sofferenze, si mette al servizio dello sguardo dei bambini, suggerendo alla loro sensibilità e al loro istinto le coordinate per capire quali sono le speranze, i fallimenti, le insofferenze e i dolori di un popolo e di una nazione.
Invelle, in dialetto marchigiano, significa “in nessun posto”. Secondo Simone Massi si tratta di: «Un non luogo da cui la Storia con la maiuscola ha preso e preteso tutto quello che voleva e poteva. In cambio abbiamo avuto le storie con la minuscola, quelle che o le tramandi a voce, oppure si perdono…». La forza del primo lungometraggio di Massi risiede anche nella capacità di riuscire a restituire il senso del racconto orale del passato – tra mito, fiaba e Storia – attraverso un sogno a occhi aperti. Abbiamo la sensazione di vivere una storia (con o senza la S maiuscola) come i suoi personaggi. Veniamo immersi nelle vite infantili di Zelinda, Assunta e Icaro, senza soluzione di continuità, attraverso epoche e tragedie difformi. Nel buio di ogni singolo racconto e di ogni singola vita delle “piccole” persone c’è sempre almeno un baluginio di luce e di colore dentro al nero soffocante della violenza umana “adulta” e barbara. L’animazione di Invelle è davvero unica. Ogni fotogramma di Massi è immediatamente riconoscibile. Ogni immagine “graffiata”, liquida, chiaroscurale, impastata di onirico e di cinema. Di cinema della meraviglia (l’abbraccio di una madre, la magia di un giocoliere appena visibile in disparte…), come di cinema dell’incubo (si percepiscono la violenza bellica, gli spari, l’ombra nera del fascismo, i delatori, i nazisti e, infine, l’omicidio di Aldo Moro). Invelle riesce a immergerci nelle vite contadine del passato con la potenza espressiva ed evocativa di un quadro di Anacleto Margotti. Percepiamo visivamente tutta la fatica, il dolore, il lutto che segnano le vite. Le immagini di Massi sanno portare in un altrove storico, visionario, a tratti struggente. Oltre alla potenza del visivo, Invelle può contare sulla forza dei suoni e delle parole. Un’opera corale in cui oltre ai bambini troviamo molti altri personaggi adulti e molte altre voci.