Marco Risi
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Attività
Presentazione e critica
Estate 2018. Carlo è un figlio di papà che, dopo una serata con gli amici in cui ha bevuto parecchio, si è messo alla guida provocando un incidente d’auto in cui una ragazza è rimasta sfregiata. Il tribunale lo condanna ad un anno di servizi sociali presso una casa di riposo dove dovrà occuparsi degli anziani ospiti – con il divieto assoluto di definirli “vecchi”. A condividere la sua pena è Manuel, un giovane spacciatore; a presiedere la casa di risposo ci sono invece un direttore che detesta entrambi i ragazzi e vorrebbe vederli in galera, e una capoinfermiera, Luisa, che si è già imbattuta in Carlo, ma non sappiamo né dove né perché. Gi ospiti della casa di riposo sono personaggi assai diversi: un colonnello che non è mai riuscito a diventare generale, un’ex attrice, un intrattenitore sciupafemmine, un fotografo e il rivale che in gioventù gli ha rubato la fidanzata, una signora sempre pronta a partire per una destinazione sconosciuta. E Carlo e Manuel dovranno trovare il modo di relazionarsi ad ognuno di loro, magari anche imparando qualcosa di sé.
Il punto di rugiada ha un’ambientazione e una data non casuali, e si addentra nel mondo a parte delle case di riposo, “cimiteri degli elefanti” (come le definisce l’ospite più lucido del gruppo) visitati raramente dai famigliari e gestiti come centri ricreativi di lusso (in questo caso: spesso sono anche strutture inadeguate).
L’impatto non è semplicissimo. Vuoi per lo stile della regia, vuoi per il modo in cui Marco Risi fa recitare alcuni suoi attori. Non è semplicissimo, soprattutto è un po’ straniante. Ti sembra quasi che in quel mondo così démodé, in quella casa di riposo per anziani che sembra una bolla nello spazio e nel tempo, un luogo di transito, un limbo in attesa di un trapasso, o dell’inizio di una nuova vita, il tuo sguardo contemporaneo sia sempre fuori luogo. Come se tu arrivassi in sneaker e felpa col cappuccio in un salone frequentato solo da signori in giacca e cravatta e paltò, e da signore con abiti lunghi e scialli eleganti. Come se la musica che hai nelle cuffie senza filo andasse a sbattere con i classici che escono da giradischi d’altri tempi. Il punto di rugiada, fuori dal tempo (e dallo spazio del cinema italiano contemporaneo) e forse anche da un restrittivo concetto di realtà, lo è del tutto volutamente. È un film vestito di eleganza classica e impeccabile come quella del suo autore, e che come il suo autore quell’eleganza la indossa con la nonchalance di chi non vi dà troppo peso, e non ne è mai prigioniero. Si tratta di stile, non forma. Quanto allo stridere di due dimensioni temporali e esistenziali diverse, beh: altro non è che il cuore stesso del film. Due ragazzi del mondo di oggi, per ragioni diverse, finiscono a prestare servizio sociale nella casa di riposo che è teatro (quasi) unico delle vicende. Lì uno di loro, il più tormentato e irrisolto, troverà un conflitto, un rispecchiamento, un legame profondo con uno degli anziani ospiti, che per lui diverrà il punto di riferimento che gli era sempre mancato.
Risi, che quel personaggio agé lo battezza con lo stesso nome di suo padre, Dino, e che gli attacca addosso le stesse manie, gli stessi hobby, lo stesso umorismo tagliente, gira questo film alla stessa età in cui il genitore aveva diretto Primo amore, e sarà anche un caso, ma anche il segno che, arrivati a un certo punto, i conti con la vita e quel che ci sarà o non sarà al termine della stessa vanno fatti. Vanno fatti tanto più oggi, in un’epoca in cui l’anzianità viene rimossa nel migliore dei casi, derisa in altri, mentre la giovinezza viene mitizzata e glorificata da un lato, e squalificata con superbia da un altro.
Ecco: se pure Il punto di rugiada non è esente da inciampi, Marco Risi non incappa mai in questi errori, mantenendo sempre un punto di vista perfettamente a fuoco sulle diverse stagioni della vita, sulla vitalità della gioventù e l’esperienza della vecchiaia, trovando così il modo – che appare troppo stesso dimenticato – di farle dialogare tra loro in maniera reciprocamente costruttiva. Allora, lentamente, il disagio provato all’inizio del Punto di rugiada – che è anche il disagio di confrontarsi con l’anticamera della morte, e con il peso dei bilanci esistenziali di una vita, il cui fantasma aleggia su di noi a ogni età – si va via via dissolvendo, come si vanno dissolvendo il disprezzo e la diffidenza di Carlo nei confronti degli ospiti della casa di riposo. Pacificata no, serena tutto sommato neanche, la vecchiaia raccontata da Marco Risi nel film è però sempre vitale, mai rassegnata, caparbia. Forte di un carattere che Carlo saprà scoprire, e anche ereditare. Risi non arretra di un passo di fronte alla morte, non la rimuove né la minimizza. Trova anzi lo spazio per parlare, con grande pudore, di eutanasia, della libertà assoluta di scegliere. Non spezza mai l’eleganza rétro delle sue immagini e delle situazioni, anche quando potrebbe risultare goffa o ridicola, e omaggia una generazione d’attori dando spazio non solo a Massimo De Francovich, interprete di Dino, che ha in sé anche qualcosa del Joe Gideon di All That Jazz, ma Eros Pagni, Elena Cotta, Erika Blanc, Maurizio Micheli, Luigi Diberti. Che lo ripagano, tutti, ampiamente. Il passo, a volte può rivelare un po’ di stanchezza, a volte si fa zoppicante, ma la testa del film e quella di Risi sono sempre alte, fiere, concentrate e con lo sguardo fisso al loro obiettivo. E, a volte, c’è anche di che commuoversi.
“A chi dirò la mia tristezza?”. Se lo domanda più volte il vetturino del racconto La malinconia di Čechov. Si aggira per la città soffrendo in silenzio, e alla fine si confessa con l’unico animale che lo accompagna. È una riflessione sulla solitudine, sull’incomunicabilità. E non a caso viene citato in Il punto di rugiada di Marco Risi, presentato in anteprima all’ultima edizione del Torino Film Fest. Forse bisogna partire proprio da Čechov per trovare la chiave di un racconto agrodolce, sempre sospeso tra dolore e sorriso, come tutto il cinema di Risi. Il regista si destreggia tra i generi. Abbraccia la commedia e gioca con la cronaca, con le sfumature più buie del nostro Paese, da Il muro di gomma a Fortapàsc. Lo sguardo sull’attualità è sempre vivo. In Il punto di rugiada siamo in una casa di riposo. La vita degli anziani prosegue tranquilla, fino all’arrivo di due giovani turbolenti. Carlo viene da una famiglia ricca, ama le feste e gli eccessi, e ha provocato un grave incidente in cui una ragazza è rimasta sfregiata. Manuel è uno spacciatore, che ora deve scontare la sua pena. Qui non siamo dalle parti di Qualcuno volò sul nido del cuculo, non ci sono malati psichiatrici, è la senilità a fare il suo corso. Il punto di rugiada è un film quieto, suddiviso in capitoli, in stagioni, che corrispondono al periodo che i due protagonisti devono passare facendo “lavori socialmente utili”. Come in tutte le storie legate alla redenzione, lo scorrere del tempo si specchia nel percorso di formazione, nel cambiamento. Risi infonde tenerezza alla narrazione, culla i suoi personaggi, trasmette una profonda empatia, che si lega a un progetto venuto da lontano. Realizza una vicenda di confine, ambientata in un limbo, in una fase di passaggio, proprio come indica il titolo: Il punto di rugiada, che può anticipare la venuta della neve. È una lunga attesa. Carlo e Manuel aspettano di essere di nuovo liberi, gli ospiti della struttura hanno la consapevolezza che quella è l’ultima fermata di un viaggio durato decenni. Alcuni affrontano il domani con serenità, altri vorrebbero che la morte arrivasse subito. Risi si muove in questo solco, dosando il conflitto generazionale, facendo scoccare anche qualche scintilla amorosa. Il punto di rugiada sa quali corde toccare, si concentra sui sentimenti, sul cuore, e fa anche riferimento alle prime pagine dei giornali. È una parabola sincera che regala qualche amaro colpo di scena, in cui a brillare è l’interpretazione di Massimo De Francovich.