Alessandro Bardani
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Giovanni è un ragazzo che a causa di un’assurda legge non può conoscere l’identità dei suoi genitori biologici, gli stessi che non l’hanno riconosciuto alla nascita, prima del suo centesimo compleanno. Il giovane vorrebbe veder esaudito il suo unico desiderio e scoprire di chi è figlio prima di diventare vecchio, ma la burocrazia glielo impedisce.
Per smuovere l’opinione pubblica e far sì che si interessi al suo caso, Giovanni ha un’unica speranza: riuscire a conquistare la complicità di Gustavo, unico centenario, come lui non riconosciuto alla nascita, ancora in vita. Peccato che quest’ultimo, nonostante sia l’unico in grado di poter aggirare la legge e avere diritto alla normativa, non sia affatto interessato alla questione. Da quest’incontro tra un uomo proiettato verso il suo futuro e un giovane legato al suo passato nasce un’imprevedibile amicizia.
Onestà intellettuale, sensibilità umana, generosità artistica. È una rarità che un film possieda questa terzina di valori. Raccontare una storia con sincerità narrativa, a prescindere dal contenuto, significa conoscerne i limiti, individuarne la forza e darle risalto. Nello sviluppo (equilibrio sui tre atti) e nei dettagli (scene e dialoghi). Il regista Alessandro Bardani ha lavorato a lungo sull’omonima pièce teatrale, da lui scritta e diretta insieme a Luigi Di Capua, che dal 2015 in poi ha entusiasmato il pubblico da ogni palcoscenico. La transizione della storia verso lo schermo ha dunque ereditato un solido copione, adattato dagli stessi Bardani e Di Capua con Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli. Con le potenzialità del cinema, erano molteplici le strade che si aprivano di fronte ai due autori, ma nessuna di quelle imboccate si è rivelata un vicolo cieco.
IL PIÙ BEL SECOLO DELLA MIA VITA racconta l’incontro tra un centenario e un 25enne. Il conflitto tra di loro non è soltanto generazionale. Il vecchio, pur contando i giorni che gli rimangono, è proiettato verso il futuro come sempre ha fatto nella sua vita, in fuga da un passato che non ha mai voluto guardare in faccia. Il giovane, che davanti a sé ha un’eternità, si tiene ancorato alle sue radici con la frustrazione di non sapere a quale albero appartengano.
Il tema toccato dal film punta il dito contro una legge tuttora in vigore in Italia che impedisce a un figlio non riconosciuto alla nascita, di conoscere l’identità dei suoi genitori biologici, almeno non prima del compimento del centesimo anno di età. È questo l’elemento che accomuna i due protagonisti, interpretati dal perfettamente in parte Valerio Lundini e dal sempre impeccabile Sergio Castellitto (la cui performance è arricchita dall’impressionante trucco prostetico di Andrea Leanza).
Di generosità artistica, si diceva, ce n’è in abbondanza e lo si comprende da come le interpretazioni si nutrano del testo e viceversa. L’irriverenza di alcuni passaggi è gestita con una sensibilità tale da mettere in risalto i sentimenti dei personaggi, senza mai dimenticare le motivazioni che li fanno andare avanti, a volte sulla stessa linea direttrice, altre volte in sensi opposti. I titoli di coda arrivano dopo un bellissimo finale, quando ci si rende conto che sono trascorsi in totale 83 minuti. Ma il tempo cinematografico è relativo, se è usato con intelligenza. Ed è in questo momento che noi spettatori scopriamo cosa ci abbia lasciato IL PIÙ BEL SECOLO DELLA MIA VITA: un velo di compiutezza e soddisfazione. Uno stato d’animo gradito che vogliamo si protragga il più possibile.
(…) È un cinema di parole e situazioni, quello di Bardani, supportato dalla bella fotografia di Timoty Aliprandi e il brano-apripista di Brunori Sas.
Quanta genealogia di realtà c’è dietro IL PIÙ BEL SECOLO DELLA MIA VITA? La legge 184 del 1983 (poi rivista con la 149 del 2001), ad esempio, dove in quella singola linea dell’articolo 7 si stabilisce il concetto presente al centro del film, cioè che ai figli non riconosciuti è precluso l’accesso ai dati di chi li ha partoriti, e questo per la durata di un secolo; oppure le sentenze della Corte Europea, della Corte Costituzionale e della Cassazione, che a partire dal 2012 hanno più volte ricordato al governo italiano della necessità di intervenire sulla materia, cosa che si stava per fare con un disegno di legge passato alla Camera nel giugno del 2015, poi arenatosi come tutta la XVII Legislatura con lo scioglimento del Parlamento a marzo 2018; per non citare l’attuale vuoto normativo, dove a decidere caso per caso sono i singoli Tribunali per i Minorenni, a volte concedendo l’avvio della richiesta di riconoscimento e a volte no, perché non c’è nulla su cui basarsi.
E quanta genealogia c’è anche nella sfera finzionale, visto che il film arriva dopo uno spettacolo teatrale di cartellone e di successo, dallo stesso titolo, stavolta con il duo Giorgio Colangeli e Francesco Montanari in scena. Dietro c’erano, ci sono, sempre il regista Alessandro Bardani, che firma anche la sceneggiatura con Luigi Di Capua dei The Pills (a cui si aggiungono, a mo’ di solido puntello, Leonardo Fasoli e Maddalena Ravaglia), ma ancora più dietro c’è quella sorta di brodo primordiale che è stato Ce l’hai un minuto?, corto di Bardani con protagonisti ancora Colangeli e Montanari, una sorta di prova di messinscena, per saggiare pesi e contrappesi, di questo dialogo generazionale tra chi ha avuto un passato e chi avrà il futuro, entrambi persi dentro un senso di spaesamento che investe ogni cosa, ognuno, ovunque.
Insomma, ci arriva preparato e approntato, Bardani, alla versione filmica di IL PIÙ BEL SECOLO DELLA MIA VITA, e lo dimostra anche il fatto di aver saputo scegliere con occhio emotivo ed estetico i due protagonisti principali, qui Sergio Castellitto e Valerio Lundini: coppia dotata del giusto star power e perfettamente complementare, con da una parte il Metodo Castellitto per immergersi nella voce bassa ed espressività tutta sopra la cintola dell’ultracentenario Gustavo; e dall’altra la Maschera Lundini, solo mezze frasi e indecisione perenne perfette per il suo Giovanni. E l’investitura attoriale si rivela ancora più importante visto il declivio preso per affrontate un tema così spigoloso da maneggiare, che tra “genitorialità naturale” e “genitorialità giuridica”, il rispetto della privacy per le donne che hanno deciso di mantenere l’anonimato e la giusta scoperta delle proprie origini per i figli, la difficoltà di accedere ad un’anamnesi familiare e l’entrata in campo di questioni come la fecondazione assistita e la gestazione per altri, si sarebbe potuto trasformare in uno sterile dibattito a tesi.
Così Bardani sembra avvicinare e avvicinarsi ad un recente titolo sullo stesso tema, Ritorno a Seoul di Davy Chou, lì con la venticinquenne Freddie che nata in Corea, adottata in Francia, durante un viaggio in Asia fa una deviazione capitale – e alla fine capitalistica – sulla tratta orientalistica per riscoprire le sue origini e conoscere la donna e l’uomo che l’hanno data in adozione.
Certo, l’afflato autoriale e l’orizzonte di mercato sono lontani ma neanche troppo, però quello che IL PIÙ BEL SECOLO DELLA MIA VITA fa è di scartare a lato rispetto al pamphlet puramente civile e politico, per concentrarsi sulle vite piccole ma grandi dei suoi protagonisti, Gustavo e Giovanni. Ed è qui che il film trova la sua intima ragion d’essere, cioè elevando il bozzetto compiaciuto del personaggio di Castellitto a correlativo oggettivo di un’intera nazione, quando di giorno si andava a gareggiare a Vallelunga e di notte ad alzare i calici a Via Veneto, senza passare sopra ad una sorta di sottovalutata presa di coscienza delle ultime generazioni che cercano un riconoscimento attraverso delle sincere ma centrali battaglie pubbliche – il percorso di Giovanni.
Tutto questo è innervato dalla regia di Bardani, misurata al secondo sul senso dell’operazione, capace di scorrere placida e cheta per l’intera durata del film e poi tentare qualcosa in più, tra la sequenza iniziale in bianco e nero e certe insistenze sul visto centenario ma vivissimo di Castellitto. Cinema medio, cinema giusto, cinema che ci deve sempre stare.