Patricia Font
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
La storia de Il maestro che promise il Mare racconta è rimasta a lungo sconosciuta, come quella di molti insegnanti che hanno cercato di plasmare le menti dei loro studenti con un impegno e una dedizione, capaci di lasciare un segno profondo in chi ha seguito i loro insegnamenti. Antoni “Antonio” Benaiges era nato a Mont-Roig del Camp (Tarragona) il 26 giugno 1903. Dopo gli studi e alcuni anni trascorsi ad insegnare nelle scuole di Madrid e Barcellona, venne assegnato alla piccola scuola di Bañuelos de Bureba nel giugno del 1935. In Spagna dal 1931 governa la Repubblica, che sembra destinata a portare il Paese verso un futuro migliore, ma la destra, ancora legata alle tradizioni monarchiche e religiose, domina ancora la mentalità rurale. Sono anni in cui socialisti e conservatori si alternano al potere e le violenze fratricide si scatenano fino ad arrivare alla guerra civile nel 1936, che porterà alla vittoria il dittatore Francisco Franco. Alla vigilia di questi tragici e storici accadimenti, il maestro Beinaiges, nonostante l’ambiente ostile, riesce in poco tempo a conquistare la stima e l’affetto dei suoi alunni, e ad ottenere dai loro genitori il permesso per portarli a vedere il mare per la prima volta. Purtroppo, le sue idee liberali apertamente dichiarate e i suoi metodi di insegnamento innovativi, lo condannano a morte: nel luglio del 1936, dopo la rivolta militare contro il governo della Seconda Repubblica, Antoni Benaiges viene sequestrato, torturato e giustiziato a Briviesca, dove viene e presumibilmente sepolto nella fossa comune di La Pedraja.Antoni Benaiges era un sostenitore del metodo “freinetista”, ideato dal pedagogo francese Célestin Freinet, un metodo didattico basato sullo sviluppo naturale del bambino, in cui la continua scoperta viene promossa attraverso la libera espressione, lo scambio e il dibattito di idee. Uno dei suoi pilastri didattici si basava sull’utilizzo in classe della macchina da stampa, attraverso la quale gli studenti creavano e stampavano dei quaderni tematici, che venivano poi scambiati con quelli di altre scuole che seguivano il metodo, in patria e all’estero. Come vediamo nel film, coi suoi soldi Antoni Benaiges ne comprò una e applicò questo metodo innovativo anche nella modesta scuola rurale di Bañuelos De Bureba, dove prima del suo arrivo a insegnare era il parroco, l’educazione era religiosa e non laica e le punizioni corporali all’ordine del giorno. L’arrivo del nuovo maestro per questi bambini, spesso costretti a sottrarsi all’obbligo scolastico per lavorare, è una vera rivoluzione. I quaderni composti e stampati dagli alunni sono una conquista che li aiutano a immaginare altri modi di vivere al di fuori del loro piccolo mondo e ad apprezzare la gioia dell’apprendimento.La regista Patricia Font sceglie di intrecciare passato e presente attraverso la figura inventata di Arianna una donna inquieta alla cui storia manca un tassello importante: è pronipote di un allievo del maestro, e scopre che il nonno aveva fatto richiesta per sapere cosa ne era stato del padre, socialista. Si reca dunque a ricercare le proprie origini dopo la scoperta di una fossa comune, in cui l’uomo potrebbe essere sepolto con oltre 100 vittime. Facendolo, entra in contatto con gli allievi sopravvissuti del maestro Benaiges, il cui corpo non è mai stato trovato. In questo modo si sottolinea l’importanza della memoria e l’importanza di non lasciare che la nostra storia recente cada nell’oblio. A distanza di molti decenni, le famiglie delle vittime della brutalità del regime franchista sono ancora impegnate perché il sacrificio dei propri cari non venga dimenticato. In un momento storico che vede il mondo sconvolto dalle guerre e in cui molti Paesi sono alla mercé di feroci dittature, Il maestro che promise il Mare ci ricorda quanto sia importante conoscere il passato e tenere accesi i riflettori su quello che è stato, perché non si verifichi di nuovo.Nel film assistiamo alla faticosa opera di Antoni Benaiges per convincere i genitori dei bambini a cui insegna, a lasciar fare loro una gita estiva per vedere il mare, in ricompensa del loro lavoro durante l’anno scolastico e per regalare loro la visione di una realtà che hanno immaginato in uno dei loro preziosi quaderni. Il mare diventa simbolo di libertà e speranza e anche se la cruda realtà della guerra lo stronca sul nascere, getta il seme da cui cresceranno i cittadini della democrazia futura, che in parte deve ancora fare i conti col suo passato, ma che grazie agli insegnamenti di tanti docenti illuminati ha in sé gli anticorpi per creare una società più tollerante e inclusiva, in cui la cultura è un valore primario. Perché immaginare un futuro migliore, come ci mostra Il maestro che promise il Mare, fa paura a chi ci vuole ancorati a un passato di divisioni e sopraffazioni, può costare caro ma regala l’insostituibile profumo della libertà a chi ha saputo impegnarsi per realizzarla.(…)
Siamo nel 1935 e seguiamo la storia di Antoni Benaiges, un insegnante proveniente da Tarragona che viene assegnato e trasferito alla scuola di Bañuelos de Bureba, una piccola cittadina della provincia di Burgos. Nel piccolo centro abitato, il maestro Antoni instaura un ottimo rapporto con i suoi giovanissimi studenti, insegnando loro con metodi originali che riescono a incuriosirli e stimolarli. A loro il maestro promette il mare, come da titolo, promette cioè di portarli a vedere quel qualcosa di magico di cui hanno potuto solo legger e ascoltare racconti. Una promessa che però si rivelerà vana, perché l’avvento del regime franchista si porrà in contrapposizione alle idee innovative, e percepite come sovversive, del maestro, che si ritroverà a doversi battere con coraggio per sostenere e difendere le proprie idee.È molto interessante lo strumento narrativo usato da Patricia Font ne Il maestro che promise il mare, che sviluppa il suo racconto su due piani temporali, non limitandosi alla storia vera del maestro Antoni e i suoi alunni, ma ponendosi anche 75 anni dopo, quando quella vicenda riemerge grazie ad Arianna, una donna alla ricerca dei resti del proprio bisnonno, scomparso durante il periodo del nazionalismo autoritario del generale Franco. Uno sdoppiamento dei piani temporali che aiuta a creare un ponte tra presente e passato, a sottolineare quanto il secondo influisca sul primo, quanto l’eco di quanto accaduto è percepibile ancora oggi. Il nostro sguardo di spettatori, le nostre riflessioni, si spostano così al nostro presente, alla nostra attualità macchiata da pericolose derive autoritarie o populiste, rendendoci conto di quanto sia importante e prezioso raccontare queste storie, soprattutto quelle meno note al pubblico, per sottolineare e ricordare il passato per far sì che ci si possa immunizzare contro determinati pericoli.
La storia de Il maestro che promise il mare non si limita solo a metterci in guardia, ma ci offre anche motivo di speranza: mette in scena ed enfatizza un aspetto assolutamente da non sottovalutare e da sostenere in ogni sede grazie alla splendida intesa tra Enric Auguer che interpreta Antoni Benaiges e i suoi giovani compagni di scena: l’importanza dell’educazione e della cultura, di creare il terreno fertile in cui far germogliare consapevolezza, ragionamenti e senso critico. Formare per avere esseri umani e cittadini in grado di comprendere al meglio il mondo che li circonda ed essere immuni da determinate pericolose derive che possano sfociare in regimi autoritari e oppressivi. La cultura come difesa imprescindibile e fondamentale. La cultura come arma. L’unica che ci sentiamo di accettare.