Benoît Jacquot

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Pierre e Cléa sono una coppia che non ha figli. Ospitano in casa loro Belle, la figlia di un’amica di lei che frequenta il liceo dove lui insegna matematica. Un mattino la ragazza viene trovata strangolata. L’omicidio è avvenuto mentre in casa c’era solo Pierre e i sospetti iniziano ad addensarsi su di lui che però riesce ad autodifendersi riuscendo anche a mantenere un buon autocontrollo. Un film ispirato a un romanzo di Simenon che incorpora tutto quello che la comunicazione del nostro tempo ha messo in campo. Non lo fa solo narrativamente ma si è trovato anche a subire un corposo rinvio dell’uscita nelle sale a causa delle accuse di abusi sessuali piovute sul regista che spiegano la didascalia che la produzione ha imposto alla fine del film. Per quanto riguarda l’opera in sé e la sua scrittura (sia in fase di sceneggiatura che di riprese) va rilevato come non ci si trovi davanti a una rilettura tradizionale di un romanzo simenoniano. Il prolifico autore belga infatti scrisse il libro in soli dieci giorni mentre si trovava nel Connecticut. La vicenda era ambientata negli Stati Uniti ed aveva un finale molto diverso. Jacquot vi ha trovato materia per spostare l’azione in una città di provincia dove tutti si conoscono, ha conservato al protagonista il ruolo di insegnante (al Liceo Georges Simenon) ma soprattutto ha innervato l’operazione di trasferimento nella contemporaneità facendo ampio riferimento ai media e ai social. Perché la morte di Belle diventa un argomento di cui si dibatte in rete e quanto si trova nel suo cellulare favorisce l’alimentazione dei sospetti su Pierre. Il personaggio viene affidato alle sapienti cure interpretative di Guillaume Canet il quale sa offrirgli la giusta dose di ambiguità costringendo lo spettatore a chiedersi, sulla base degli elementi che gli vengono messi a disposizione, da che parte stare. Credere all’autoproclamata innocenza di un uomo che viene comunque presentato come complesso oppure propendere, come fanno alcune persone che pure stanno dalla sua parte, per ritenere la sua posizione come insostenibile?
Il gioco è cinematograficamente riuscito e la scelta di Charlotte Gainsbourg nel ruolo di Cléa è funzionale alla creazione di un clima in cui fiducia e dubbio possono ambiguamente convivere. La stessa scelta di una donna (a differenza di quanto accadeva nel romanzo) nel ruolo del magistrato che interroga Pierre favorisce una lettura legata al potere di seduzione del protagonista che verrà utilizzata in favore di un’ulteriore complessità del plot. Viene così da pensare che a Simenon, nonostante le variazioni, questo film sarebbe piaciuto.
Prima dei titoli di coda di Il caso Belle Steiner, sullo schermo compare un disclaimer, in francese, che si riesce a leggere a malapena da tanto poco ci resta, e che dice “l’équipe del film condanna qualsiasi forma di aggressione e molestia e afferma la sua solidarietà alle vittime e alla liberazione della loro parola”. Perché? Si chiederà lo spettatore ignaro, dopo averlo visto, pensando magari che si riferisca alla sorte della povera Belle, che facciamo appena in tempo a vedere prima di ritrovarla nuda e uccisa. In realtà Il caso Belle Steiner dà luogo a uno dei più stranianti e inquietanti corto circuiti della storia del cinema, che a nostro avviso necessita di una premessa. Dal 2024 il regista Benoit Jacquot è sotto accusa ed è stato rinviato a giudizio per i rapporti che ha intrattenuto con attrici all’epoca (molto) minorenni: Judith Godreche, quattordicenne all’epoca dei fatti (lui ne aveva 40), e Isilde LeBesco, quindicenne, che ha aggiunto alla denuncia anche Jacques Doillon. In un’età in cui un’adolescente cerca nell’uomo maturo, come ha dichiarato la prima, solo un amico, una figura paterna in sostituzione di quella reale, assente per vari motivi, Jacquot ha approfittato della situazione per plagiare e trasformare in oggetto sessuale una personalità ancora in fase di sviluppo. Del resto lui non ha mai fatto mistero della sua attrazione per quelle che un tempo, sulla scia del romanzo di Nabokov, Lolita, venivano chiamate “ninfette”, tanto da parlarne apertamente in un documentario del 2011 (Les ruses du désir, lo potete trovare su youTube), lo stesso che ha risvegliato i traumi del passato in Godreche. Premesso questo, ne Il caso Belle Steiner c’è un’adolescente, la cui tragica e misteriosa fine dà il via a tutta la storia, che Jacquot ha tratto, cambiando diversi aspetti, dal romanzo americano del 1952 di Georges Simenon “La morte di Belle”, già portato al cinema nel 1961 da Edouard Molinaro. Ambientata in una cittadina molto puritana (tanto che quando venne pubblicato in inglese gli abitanti del luogo dove lo scrittore aveva vissuto si risentirono, evidentemente riconoscendosi) negli anni Cinquanta, la storia viene trasportata in questa nuova versione in una località francese ai giorni nostri. Belle, scopriremo subito, non fa parte del nucleo famigliare di Pierre e Cléa, la coppia borghese – insegnante di matematica lui, ottica lei – in apparenza felice e integrata nella comunità che conosciamo all’inizio. E’ la figlia di un’amica di lei, che ospitano per farle frequentare il liceo locale, ma che una mattina viene trovata uccisa nella sua camera, senza apparenti segni di violenza sessuale. Il fatto è che lui è rimasto sempre in casa, rinchiuso a fare dei conti nel suo stanzino, è l’ultimo ad averla vista in vita quando è rientrata dal cinema sotto la pioggia battente e i sospetti si accentrano immediatamente su di lui, che sostiene di non aver visto e sentito niente. L’ombra del dubbio, che per alcuni diventa subito certezza, sconvolge la vita della coppia: lui sembra quasi indifferente all’accaduto, freddo, non fa che ripetere la sua versione, che non sa nulla e non ha fatto nulla. Ma a lungo andare il sospetto inizia a logorarlo. In fondo ha anche lui le sue piccole perversioni nascoste (il voyeurismo), il rapporto con la moglie è più di amicizia che di amore (lei lo ha tradito in passato e lo fa di nuovo), e come chi non si conosce davvero a fondo, Pierre inizia a seguire le piste che si presentano e che non portano a nulla nell’indagine ma potrebbero portare lui ad essere, forse, quello che gli altri pensano che sia. Del resto neanche Belle, l’adolescente “incantevole” descritta da Cléa, si sa veramente chi sia, è poco più che un fantasma. Come molti suoi coetanei ha un lato nascosto e forse oscuro, che complica le cose. Il tema di Il caso Belle Steiner è tipico del noir psicologico e la scelta di inserti narrativi brevi, ellissi, la mancanza di spiegazioni nette della messinscena inseriscono il film in una corrente che ricorda certe opere di Chabrol.
L’abilità – e al tempo stesso il limite – della sceneggiatura e della regia è quello di non scegliere una soluzione definita, come avveniva nel romanzo di Simenon: il finale resta aperto, demanda allo spettatore il compito di trarre le conclusioni di una vicenda che finisce per sembrarci quasi un’autoanalisi: come se Jacquot ci dicesse che giudicare è facile ma nessuno sa veramente cosa si agita all’interno di un animo umano sottoposto al continuo giudizio altrui. In questo caso, nemmeno quando apparentemente Pierre viene riammesso nella comunità di appartenenza, torna ad essere quello di prima, perché quello che è successo l’ha cambiato per sempre. Alla fine, Jacquot potrà affermare la sua versione dei fatti in tribunale, mentre Pierre resta in un limbo da cui non saprà più uscire.
Il caso Belle Steiner è un film bizzarro ed enigmatico, ma tutt’altro che privo di fascino, se non altro per il suo coraggio di essere scarno ed essenziale, suscitando più interrogativi e rifiutando le certezze a cui oggi il cinema ci ha abituato. Sempre che si riesca ancora a distinguere l’uomo dall’artista, come evidentemente ha fatto il suo cast. Parlando di artisti, se Charlotte Gainsbourg presta il suo volto e corpo di attrice impegnata ad un’enigmatica Cléa, Guillaume Canet si conferma ancora una volta uno dei migliori attori europei: alle prese con un personaggio non facile, passivo, dimesso e controllato per metà film e aperto a tutto nella seconda parte, riesce anche soltanto con la postura del corpo e con lo sguardo a incarnare uno di quegli esseri umani che vivono in mezzo a noi o proprio accanto a noi, il cui mistero ci resterà per sempre sconosciuto. Anche solo per la sua performance, Il caso Belle Steiner merita la visione.