Iddu – L’ultimo padrino

Antonio Piazza, Fabio Grassadonia

Image
Iddu - L'ultimo Padrino è ambientato in Sicilia nei primi anni 2000. Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi Segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l'occasione per rimettersi in gioco.
DATI TECNICI
Regia
Antonio Piazza, Fabio Grassadonia
Interpreti
Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo
Durata
122 min
Genere
Drammatico
Fotografia
Luca Bigazzi
Montaggio
Paola Freddi
Musiche
Colapesce
Distribuzione
01 Distribution

Presentazione e critica

Presentato in concorso al Festival di Venezia, Iddu è il film della coppia Grassadonia e Piazza che affronta una storia poco nota di un padrino per certi versi sottovalutato. Fra ridicolo e risate grottesche, il rapporto fra un mafioso e un piccolo politico

Pizzini a confronto, fra uomini di potere e uomini d’onore, sempre con quel senso di ricolo che non guasta. La mafia e le sue declinazioni fra il grottesco e il puerile, sempre senza che questa voglia dire sminuirne la portata criminale, sono al centro della produzione cinematografica di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Il loro lavoro a quattro mani li ha portati, dopo l’esordio con Salvo, apprezzato alla Semaine di Cannes, alla rievocazione con sospesa originalità di Sicilian Ghost Story. Tornano a disinnescare la linearità del racconto mafioso in Iddu, anche se questa volta si muovono in territori più convenzionali, con il racconto di un momento poco conosciuto della latitanza di Matteo Massina Denaro. Uno sfregio durato quasi trent’anni, diventato una sintesi fattuale delle complicità e dei sospetti nell’azione delle istituzioni e nella capacità del fenomeno mafioso di incidere ancora in profondità sul territorio.

L’ossessione della scrittura dei proverbiali pizzini ha fatto emergere la corrispondenza di Messina Denaro con un piccolo e grigio politico locale. Siamo nei primi anni Duemila e le fortune di quest’ultimo sono in caduta libera, dopo alcuni anni in prigione e un dilemma morale che gli viene servito dai servizi segreti: aiuto nella cattura dell’introvabile in cambio di un ritorno in quei giochi ambigui fra politica, piccolo malaffare e rapporti con i clan da cui ormai è tagliato fuori. Iddu inscena un gioco di maschere fra le due monadi di questo confronto a distanza, amplificando ogni possibile equivoco e mettendo alla prova la piccola furbizia del politico, Catello, alle prese con un uomo ossessionato dalla segretezza e dalla propria solitaria prigionia.È la figura di Messina Denaro ad emergere in maniera cristallina, come uno squalo si aggira in moto perpetuo per contrastare la sua prigionia autoimposta, ma senza trovare mai la soddisfazione di una scia di sangue su cui scatenare la sua rabbia e la sua sete di potere. È un tiranno impossibilitato a nutrirsi della paura negli occhi dei sottoposti, dei destinatari del suo status di ultimo padrino. Per cui questo dialogo a distanza con la mediocrità di Catello ne alimenta ancora di più la frustrazione, scatenata nei confronti dei piccoli predatori del suo clan che circondano ogni tanto il grande boss, oltre al desiderio di vendetta. Due maschere da commedia dell’arte che si confrontano in una tragicommedia con accenni grotteschi in cui si affastellano personaggi di contorno, subalterni e piccola manovalanza, istituzioni più o meno segrete e parenti. Un universo fin troppo popolato che tende a disperdere la portata del confronto a distanza, allentando ritmo e toni di una storia piuttosto ordinaria e spenta, specie quando non sono in vista i due catalizzatori di (sano) ridicolo e di tensione simbolica delle mediocrità nazionali.

Cominsoong

(…) Presentato in concorso a Venezia 81, Iddu è, quindi, solo il profilo di un uomo che vive come “nu sorcio”, allargandosi verso il concetto di invisibilità, di cui Denaro era il massimo esponente. Scelta senza dubbio originale, e intelligente: alcune volte, certe storie, risultano cinematograficamente più potenti se vengono asciugate dalla cronaca, ponendosi su un piano narrativo di finzione (per così dire), certamente più malleabile e incisiva rispetto ad una precisione storiografica limitatamente cercata dai registi. Iddu è ambientato nel 2000, “da qualche parte in Sicilia”. Sui muri scrostati e abusivi, mentre scorre il feretro di un boss, si legge che “u’ pupu c’è”. Anche se nessuno sa dove sia. Matteo, mai chiamato per cognome, parla per pizzini, scritti di getto, rispondendo solo a chi merita risposta, con l’aiuto di una donna (Barbora Bobulova) che lo ospita a casa sua. Intanto, dopo aver scontato diversi anni di prigione per mafia, torna libero Catello, omuncolo conosciuto in paese come “il preside”. Soprattutto, lo conoscono bene i servizi segreti, che provano a sfruttarlo, essendo Catello una sorta di padre putativo per il latitante. Catello accetta di collaborare (o meglio, è costretto) ed inizia a scambiare con Matteo i famosi pizzini. Ciononostante, l’azzardo diventa sempre più rischioso.Ed è stato un rischio, almeno teorico, quello di ritrarre un frammento ideale di ciò che è (ed è stato) il ricercato numero uno in Italia. Rischio, questo, in qualche modo compensato e veicolato in quello che sarà poi un lungometraggio asciutto, quasi asettico, ma spezzato da un umorismo mai invadente e anzi coerente con lo spirito di un manipolo di personaggi che, ripetiamo, devono essere necessariamente separati dalla realtà (nonostante sia presente, e fondamentale nel tratteggio psicologico: il rapporto tra Matteo e suo padre, per esempio). Certo, ciò che vediamo in Iddu, e ciò che porta in scena la mimica e la dialettica di Elio Germano (e non possono mancare gli iconici occhiali), è indubbiamente continua allo spettro del boss, ma per comprendere (e forse quindi apprezzare meglio) Iddu bisogna compiere un ulteriore sforzo immaginifico, legato indissolubilmente al mezzo cinematografico mosso dai registi, che si affidano alla fotografia di Luca Bigazzi e all’ottima colonna sonora composta da Colapasce.I suoni sincopati, rimbombanti, elettronici accompagnano l’andirivieni di un montaggio che alterna Matteo e Catello, piazzandoli sul doppio e parallelo binario che, a volte, sfrigola nell’irrisoluto, nell’inafferrabile (tanto per restare in tema) e nell’accennato (potremmo citare l’ammiccamento a quello Stato che “arrestata tutti, tranne che Lui”: una traccia narrativa troppo potente per lasciarla interdetta). Ciononostante, per alludere gli stessi dialoghi (la sceneggiatura è firmata dai registi), “qualcosa dal cielo arriva sempre”. Niente di più vero. E dunque la compensazione risulta in un certo senso logica nella sua declinazione rispetto allo spunto scenico dell’invisibilità che, in un’elegante misura filmica, riesce a far rima con originalità. Non era facile.

Movieplayer