Dominique Abel, Fiona Gordon
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
Da più di trent’anni l’ex terrorista Boris si nasconde dietro l’apparenza del silenzioso e innocente barista del café L’Etoile Filante, insieme alla sua compagna, l’astuta e intraprendente Kayoko, e al fedele amico di entrambi, il buttafuori Tim. Una sera di pioggia torrenziale, però, un uomo si presenta al bancone pronto ad ucciderlo, poiché ha riconosciuto in lui il responsabile dell’attentato in cui è rimasto gravemente menomato tanto tempo prima. L’unica soluzione, per Boris, sembra essere la fuga, ma ecco che Tim incontra per caso Dom, un individuo solo e depresso, che assomiglia a Boris come una goccia d’acqua: il candidato ideale per pagare al suo posto.
Al quinto lungometraggio, il duo composto dal belga Dominique Abel e dalla compagna di vita e d’arte Fiona Gordon, australiana, si muove, come di consueto sopra le righe, nel territorio finora inesporato del noir, senza per questo rinunciare alla poesia. La figura archetipica del sosia permette ai due autori-attori di duplicare tanto l’umorismo che la malinconia, portando in scena due coppie speculari e dunque opposte. Mentre Boris e Kayoko si tengono, infatti, furbescamente al riparo dal mondo, nella penombra del bar in cui lavorano e sopra cui abitano, Dom e sua moglie Fiona si ritrovano invece loro malgrado ai margini della società, lontani da tutti e anche lontani tra loro, a causa di un dolore troppo grande da superare.
Un segreto e un dolore, quindi: due cose che non si possono dire. Alla parola suppliscono allora i corpi, che corrono sul materasso nella notte, inseguiti dagli spettri del passato, o sprofondano nella reiterazione degli stessi gesti (le mille lattina di Coca, le mille sigarette). Il suono e il colore completano la costruzione di questo universo, più disperato che misterioso, capace anche di grande tenerezza (specie nel personaggio della detective Fiona). Il rosso dell’astuzia e dell’intraprendenza di Kayoko, e quello rosso più scuro del criminale Boris, si contrappongono ai colori più spenti e dimessi che indossano Dom e la moglie, ma lo scambio di abiti innesca anche un cambio di ruoli.
Il cinema di Abel e Gordon non è teatro filmato: i fisici clowneschi, le coreografie danzanti, la teatralità ampiamente intesa, sono parte integrante della costruzione dei personaggi e del racconto dell’assurdo della vita, come è stato nel cinema di Jacques Tati e come spesso accade ancora in Kaurismaki.
Raccontano della resistenza di questi uomini e queste donne all’efficienza e alla normalità, dicono la loro inutilità (un buttafuori di un locale senza clienti, un’investigatrice senza casi da risolvere), il loro difetto di fabbrica, che è però anche un’ultima risorsa, quel prezioso residuo di non conformità che il centro della città e della società ha annullato o dimenticato, perdendo in umanità.
Siamo in Belgio, e non in Finlandia, ma il mondo di I misteri del bar Étoile, quello di questo nuovo film della coppia Abel/Gordon, è un po’ lo stesso dei film di Aki Kaurismaki. Un mondo fatto di minimalismo, di una certa quale afasia, di un’umanità ai margini e di locali spogli e un po’ squallidi nei quali questa umanità si ritrova nel silenzio e nell’alcool.
Uno di questi locali è appunto il bar del titolo, l’Étoile Filante. Lì lavora come barista un uomo di nome Boris, ex attivista che ha compiuto anni addietro un non meglio specificato attentato, assieme alla sua compagna giapponese Kayoko e al loro amico Tim. Quando un uomo rimasto ferito e mutilato in quell’attentato lo trova e vuole ucciderlo per vendicarsi, i tre trovano in uno strano tipo solitario, Dom, perfetto sosia di Boris, il modo per risolvere i loro problemi: ma le cose non saranno così facile, anche perché, preso Dom a lavorare nel bar e sottratto alla sua vita quotidiana, sulle sue tracce si metterà l’ex moglie Fiona, una meticolosa e strampalata detective.
Non fatevi ingannare da queste poche righe di trama, giacché il giallo o il nero, in questi film, contano ben poco. E lo scambio di persona e di esistenze tra Boris e Dom, e il gioco di equivoci e situazioni bizzarre che questo andrà a generare, è quasi solo un pretesto affinché Dominique Abel e Fiona Gordon portino sullo schermo la loro unica e inconfondibile idea di cinema. Un’idea per la quale su questo scenario alla Kaurismaki si innestano situazioni che giocano con lo slapstick più esasperato o raffinato (quello che fa proprie le lezioni di geni come Buster Keaton e Jacques Tati), con la clownerie pura (che è il mondo dal quale questa coppia di stralunati cineasti proviene), con un’idea di ritmo e di musica e di colori che è stilizzata e sregolata al tempo stesso.
Abel e Gordon chiedono allo spettatore di stringere un patto, stimolano una cooperazione che faccia sì che lo sguardo superi la superficie. In questo modo, accettandolo, ci si accorge della tragedia e della malinconia che si cela dietro lo humor e la buffoneria, e si può apprezzare il discorso – anarchico quanto quello relativo alla forma e all’immagine – che riguarda il rifiuto di piegarsi (dentro e fuori dal racconto) alle logiche funzionaliste e performative delle nostra società. I personaggi di questo film sono tutti, appunto, marginali se non addirittura inutili, quasi disfunzionali, rispetto ai meccanismi tradizionali della produzione, ma sono sempre funzionalissimi agli inutili e pretestuosi disegni della trama e della messa in scena. Rivendicano, in questo modo, un’eccentricità che è artistica, certo, ma anche esistenziale.