I dannati

Roberto Minervini

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I Dannati, il film diretto da Roberto Minervini, si svolge durante la Guerra di Secessione americana. Siamo nell'inverno del 1862, l'esercito invia una compagnia di soldati volontari nordisti in perlustrazione verso gli Stati dell’Ovest. Nel gruppo ci sono vecchi soldati che maneggiano armi ormai datate e giovani che non hanno mai sparato a un essere umano in vita loro, si confrontano e scambiano riflessioni sulla vita e sul futuro che li aspetta.
DATI TECNICI
Regia
Roberto Minervini
Interpreti
Jeremiah Knupp, Cuyler Ballenger, René W. Solomon, Noah Carlson, Timothy Carlson
Durata
89 min.
Genere
Drammatico
Storico
Sceneggiatura
Roberto Minervini
Fotografia
Carlos Alfonso Corral
Montaggio
Marie-Hélène Dozo
Musiche
Carlos Alfonso Corral
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Italia, Belgio, USA
Anno
2024

Presentazione e critica

Sin dalla prima scena, in cui vediamo un branco di lupi sbranare il cadavere di un animale, Minervini ci immerge in un mondo dominato dalla morte e dall’istinto di sopravvivenza. Le bestie come gli esseri umani sono dei “dannati” e il regista qui racconta la via crucis di un plotone di soldati dell’esercito americano durante la Guerra Civile, costretto ad aspettare rinforzi, ad affrontare gli elementi avversi di un paesaggio imperturbabile e ostile e a farsi domande sul senso dell’uccidere e della guerra. Infatti nel mezzo di un’attesa quasi beckettiana spuntano, all’improvviso, gli agguati di un nemico che non vediamo mai nitidamente, relegato a ombre in profondità di campo o colpi di arma da fuoco tra gli alberi. La regia di Minervini sceglie di battere tre strade principali: la contemplazione ieratica e oscura del paesaggio di frontiera, il pedinamento nei confronti dei soldati e il primo piano dei personaggi che si confessano e si interrogano durante le poche scene di dialogo. Impeccabile nei suoi dettagli di “realismo estetizzante” – i fiocchi di neve sui volti, il vento sferzante sui crini di cavallo, i suoni della natura, i cadaveri nel fango – il film insegue ambiziosamente un’astrazione tra materia cruda e trascendenza, con il contributo decisivo del compositore e direttore della fotografia Carlos Alfonso Corral. Questa dimensione chiaramente fa abbandonare al cinema di Minervini la rabbia e il linguaggio diretto delle opere precedenti. Forse il limite e il fascino di I dannati risiede proprio nel suo essere un film senza peso, tra il tutto e il nulla, collocato nella stessa no man’s land in cui finiscono intrappolati i soldati protagonisti: fuori dal tempo e fuori dallo spazio, della storia come degli schematismi cinematografici, di “genere”, che qui vengono inevitabilmente a confondersi in un oggetto alieno e ibrido, tra il western, il film politico e il documentarismo visionario.

Sentieriselvaggi

Inverno, 1862. Da qualche parte nelle terre dell’Ovest, un manipolo di soldati nordisti deve perlustrare il territorio e resistere due settimane prima dell’arrivo della ‘cavalleria’. In attesa di un nemico invisibile organizzano il campo e le guardie. Giovani volontari, che hanno sparato soltanto ai conigli, o soldati di lungo corso, che lucidano Colt e fucili, giocano a carte e si scambiano pensieri sulla guerra civile che dilania l’America. Come solo orizzonte un crinale dietro il quale riparare ed oltre il quale avanzare e interrogare il senso del loro arruolamento. Sono soli sulla terra, trafitti soltanto da un colpo di carabina, ed è subito neve.
I nordisti, i cavalli, le giubbe blu, le montagne innevate, i carri, l’accampamento… sono tutti archetipi del western eppure nel film di Roberto Minervini sembra di scoprirli per la prima volta. È una questione di sguardo, di tempo, di suoni, soprattutto di silenzio, è una questione di attesa (soltanto Buzzati ha fatto meglio), è una questione di soldati perduti, malgrado la fede, il padre e la Patria.
Discretamente e ostinatamente, l’autore italiano traslocato in America prosegue la sua strada di cinema, un sentiero accidentato ai margini di Hollywood e contro le regole dello spettacolo dominante. Si fa domande Minervini e le risposte sono sempre magnifiche. Questa volta è un film di guerra come una preghiera, fondato sull’esperienza della durata, l’attenzione minuziosa alle persone e ai luoghi, la forza tellurica dei quadri, gli spazi vergini, l’assordante laconismo degli attori.
Perché i suoi film parlano un po’ meno, osservano un po’ di più e comprendono meglio quello che siamo. I paesaggi sommergono lo schermo e hanno il tempo di depositarsi, come i personaggi, che marciano o resistono trafiggendo con la loro presenza e le loro questioni montagne e pianure. E in quello spazio infinito c’è sempre un posto dove raggomitolarsi, come il soldato che si è arruolato senza ragione e adesso ‘sente’ la vita come la neve.
I dannati comincia come il romanzo di Stephen Crane (“Il segno rosso del coraggio”), fonte di tutta la letteratura sulla guerra civile americana (1861-1865), avanza a cavallo lungo sentieri di fango liquido, costeggia un fiume nero e poi smonta i soldati per montare alloggi e rifugi da occupare con settimane di ozio e di monotona attesa. Un raggio di sole dorato buca le nuvole e accarezza le barbe incolte dei ‘guerrieri’, sfuggendo liricamente alla circolarità dei loro ragionamenti. Minervini compone dei tableaux vivants di una guerra che è tutte le guerre insieme, dove i soldati combattono per diventare uomini, forse eroi, sicuramente cadaveri. Il film prende piena misura del destino dell’individuo in mezzo a forze collettive. La battaglia è imminente, l’inferno non è mai lontano. Irrompe improvviso nelle immagini e nei suoni, avvicinando la narrazione al fantastico, come per ritagliare le scene di guerra da una possibile realtà. Quello che i soldati vedono non è di questo mondo, ma appartiene al regno dei morti.

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