Grazie Ragazzi

Riccardo Milani

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Grazie ragazzi, film diretto da Riccardo Milani, racconta la storia di Antonio, un attore con una grande passione per la recitazione, ma che purtroppo non riesce a trovare un lavoro in questo campo. È così che decide di accettare un impiego come insegnante e di tenere un laboratorio teatrale a degli alunni molto particolari; Antonio, infatti, dovrà insegnare in un carcere e la sua classe sarà composta da detenuti.
DATI TECNICI
Regia
Riccardo Milani
Interpreti
Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Nicola Rignanese
Durata
117 min
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Michele Astori, Riccardo Milani
Fotografia
Saverio Guarna
Montaggio
Patrizia Ceresani, Francesco Renda
Musiche
Andrea Guerra (II)
Distribuzione
Vision Distribution
Nazionalità
Italia
Anno
2023
Classificazione
Tutti

Presentazione e critica

È un percorso che dura da molti anni ormai quello di Milani: anche nei suoi grandi successi di pubblico Come un gatto in tangenziale e il sequel l’argomento è simile. Possono il cinema, il teatro, la bellezza toccare e arrivare anche a chi non li frequenta mai o non ci è abituato? Il regista sembra dirci che possono, ma non è facile. Lo conferma anche l’esperienza di Antonio, interpretato da Antonio Albanese, attore in difficoltà (doppia film porno e non sa come dirlo alla figlia), che insegna a recitare a un gruppo di detenuti. L’opera scelta è Aspettando Godot di Samuel Beckett, perché chi è in prigione questo fa: aspetta.

Grazie Ragazzi continua quindi questa missione del regista: cercare di unire alto e basso, con un linguaggio semplice, comprensibile a tutti. In una parola: popolare. Anche uno dei nostri attori più in vista e amati, Pierfrancesco Favino, parla spesso di questa parola, vista ancora da alcuni come qualcosa di sporco, difendendola. Arrivare al pubblico più vasto possibile facendosi capire da tutti è in realtà una dote rara e bellissima: Grazie Ragazzi cerca di fare proprio questo e ci riesce.

Nonostante non abbia avuto la carriera che desiderava, Antonio ha ancora il sacro fuoco dell’arte: il palcoscenico per lui è vita, energia, nutrimento. Quando gli si presenta quindi l’occasione di mettere in piedi uno spettacolo con attori inesperti, per di più carcerati, non si tira indietro: sta comunque facendo teatro. Non è un compito facile: in galera, inutile sottolinearlo, non si trovano le stesse persone che frequentano l’accademia d’arte drammatica. Ognuno ha alle spalle azioni più o meno gravi, spesso storie personali difficili e nella maggior parte dei casi non solo non ha mai pensato di recitare, ma non ha mai nemmeno messo piede in un auditorio.

(…) Tappa dopo tappa, Antonio e i suoi attori diventano un vero gruppo: il primo scopre che la naturalezza tanto cercata da chi recita loro ce l’hanno senza sforzo, perché le esperienze dure formano più di tanti corsi di teatro. E i secondi, grazie a quella persona che ha così a cuore parole di autori morti molti anni prima, intravedono un futuro diverso, in cui non fare più scelte sbagliate. Non è un rapporto sereno: ovviamente lungo la strada succede di tutto. Il confronto però è interessante: in questo modo Milani riesce a compiere il suo scopo, avvicinando linguaggi, esperienze e aspirazioni completamente diverse.

La forza di Grazie Ragazzi sta nel suo cast: un gruppo pieno di forza vitale, che coinvolge e trascina. Vale la pena di vedere il film per loro.

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Nel panorama cinematografico italiano, dove le commedie costituiscono il prodotto principale offerto, rendendo saturo un mercato già in difficoltà, essere scettici è lecito. Eppure, a volte, arriva un regista in grado di aprire una finestra più conturbante delle solite in cui, seppur a dominare è il genere della commedia, l’opera risulta ben riuscita. Le ragioni risiedono nella sua struttura compositiva che, oltre a essere studiata per il grande pubblico, si pone l’obiettivo di apparire corposa nella materia trattata, delineando un messaggio di spicco.

Sembra questa l’idea con cui Milani ci presenta il suo Grazie Ragazzi, una pellicola in cui sceneggiatura e immagini hanno lo stesso peso e lo stesso spazio nel piano della messinscena, fatta di equilibri semplici ma efficaci. Operare con semplicità qui diventa un escamotage per mettere in luce la potenza del contenuto proposto, il quale non esige toni forbiti e montaggi particolari per risultare appetibile, quanto piuttosto di una forma basilare ma autentica per mostrarsi nella sua essenza più pura. Seppur la durata dilati in maniera eccessiva gli eventi, Grazie Ragazzi con il suo ritmo incalzante e coinvolgente, regala al pubblico un’opera dignitosa e sincera, conscia del carico che si porta sulle spalle e sicura di dove vuole arrivare.

La scrittura di Grazie ragazzi pone al centro della sua trama un ringraziamento speciale al teatro, una forma d’arte al servizio di tutti, anche dei discriminati e dei criminali, che in essa cercano e trovano rifugio. Il teatro è potente, liberatorio, salvifico e nel film ci viene restituito nella sua accezione più vera e universale. I personaggi qui tracciati sono dei detenuti che hanno perso il sapore della vita e, al tempo stesso, hanno smarrito loro stessi.

La loro quotidianità è colma di attese infinite: il pasto, il colloquio, l’ora d’aria ma soprattutto il giorno della libertà. Ecco perché il dramma teatrale Aspettando Godot di Beckett non è una scelta casuale: proprio come Estragone e Vladimiro che aspettano Godot, i ragazzi aspettando con ansia la loro libertà, fra dibattiti, insicurezze e grandi speranze. E non è forse questo il teatro? Un palcoscenico in cui fingere diventa, paradossalmente, l’unico accesso al proprio Io reale, dando così un senso alla vita.

Albanese veste i panni di un attore deluso dalla sua carriera, che cerca di riscattarsi facendo diventare il suo spettacolo un veicolo di sfogo per quei ragazzi costretti – seppur per colpa loro – ad una condizione sociale limitante e frustrante, proprio come la sua. Il teatro, per questi, diventa l’unica strada percorribile per essere “liberi di volare”, come dice la canzone di Vasco Rossi e, in qualche modo, perdonarsi.

Un teatro, quello sullo schermo, che sembra elogiare il metodo Stanislavskij, la cui base sta proprio nell’approfondire la psicologia del personaggio in scena e, al tempo stesso, ricercare l’affinità fra il suo mondo interiore e quello dell’attore. Il processo che si mette in moto in Damiano, Mignolo, Aziz, Diego e Radu costituisce la cifra dominante di Grazie Ragazzi: tramite la connessione creatasi fra loro e i personaggi che rappresentano, riescono a trovare una voce, a riscattarsi e soprattutto a credere ancora in loro stessi.

In conclusione Grazie Ragazzi diventa una bella parabola sulla vita, sul teatro e sulle sue verità. Un inno a questa forma d’arte liberatoria e a tutta la cultura in generale, spesso svalorizzata e dimenticata, ma la cui potenza, come il cinema, è talmente forte da poter rivoluzionare il mondo. Un’arte che andrebbe incentivata e usata per alleviare, come una medicina, le sofferenze degli uomini.

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(…) Riccardo Milani dirige e adatta (insieme a Michele Astori, entrambi autori di soggetto e sceneggiatura) il film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, a sua volta tratto dalla storia vera dell’attore svedese Jan Jonson, che mise effettivamente in scena Beckett con un gruppo di detenuti.

Milani rispetta la dimensione reale della storia con una regia che a tratti è quasi documentaristica, mentre alla sceneggiatura “costruita” spetta il compito di definire caratteri e creare situazioni appetibili al grande pubblico. E se è vero che la lezione di quanto il teatro in carcere faccia miracoli è già stata raccontata al cinema (punta di diamante Cesare deve morire dei fratelli Taviani) è anche vero che raccontarla in forma drammaturgicamente elaborata senza cadere nel pietismo e senza per contro creare situazioni in cui si ride dei carcerati e non con loro, resta una sfida.

Grazie ragazzi è il tipo di film che negli Stati Uniti si definisce “crowd pleaser”, cioè disegnato per andare incontro al gradimento del grande pubblico, dunque si risparmia digressioni filosofiche vezzi autoriali per mettersi a servizio del racconto con onestà e gentilezza.

Le musiche di Andrea Guerra (più la canzone di Vasco “I soliti”) accompagnano la piacevolezza dell’insieme che, pur rimanendo orgogliosamente sul versante dell’accessibilità, ha il dono di raccontare gente semplice, spesso non per scelta, con disarmante semplicità.

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