Martin McDonagh
Golden Globes 2023, miglior film nella categoria commedia o musica
Golden Globes 2023, miglior protagonista (Colin Farrell)
Golden Globes 2023, migliore sceneggiatura
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Presentazione e critica
Gli spiriti dell’isola è il nuovo capolavoro di Martin McDonagh, un ritorno in grande stile quello di McDonagh che dopo Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) collabora di nuovo con il suo attore feticcio, Colin Farrell, in compagnia di Brendan Gleeson. Questo duo dei tempi di In Bruges – La coscienza dell’assassino (2008), primo film di Martin McDonagh, si consolida ne Gli spiriti dell’Isola.
Il titolo originale, The Banshees of Inisherin, rispetto alla traduzione italiana, evoca meglio l’essenza della pellicola. Inisherin, infatti, è il nome dell’isola, teatro dei litigi tra Pádraic e Colm mentre le “banshees” sono creature tipiche dei miti fantastici irlandesi che, con il loro lamento funebre, annunciano una morte incombente. Dunque il titolo rimanda al folklore che è la quintessenza dell’ultima black comedy di Martin McDonagh. Infatti, Gli spiriti dell’isola non può essere fissato in un unico genere perché è un ibrido, ci si diverte grazie ad un’impeccabile lavoro di sceneggiatura ma dietro ad ogni risata c’è una vena di malinconia e solitudine di cui sono vittime tutte le persone che popolano Inisherin.
La vita tranquilla di Pádraic Súilleabháin è scandita da una routine in cui si susseguono il pascolo degli animali, le pinte nel pub dell’isola e le chiacchierate con gli abitanti di Inisherin. Improvvisamente questa monotonia è interrotta da un litigio con Colm Doherty, amico da una vita che vuole prendere le distanze da Pádraic, il quale “non gli va più a genio”. Da un pretesto apparentemente infondato questa bromance si sgretola davanti agli occhi straziati di Pádraic che non si capacita della rottura dell’amicizia e cerca in ogni modo di rimediare.
“Avete litigato?” gli chiedono al pub, ma Pádraic non sa cosa rispondere perché non si sente colpevole di nulla, per lui il suo rapporto con Colm è rimasto invariato. Da una semplice domanda si origina una complessa storia che si rivela in tutta la sua drammaticità. Complice la penna di McDonagh che ci trasporta in questo universo solo in apparenza intatto e intrappolato in confini atemporali. Tutta l’isola viene descritta con cura e ciascun abitante serve per completare il puzzle a partire dal “matto” del paese, ovvero Dominic Kearney, un po’ emblema della stupidità ma infondo portatore di valori genuini e della sfortuna riservata alle anime buone.
Ne Gli spiriti dell’isola molti sono gli inserti umoristici e la sceneggiatura ci attira in un costante fluire comico; eppure il macabro rimane incastonato nell’atmosfera nebbiosa di Inisherin. La svolta drammatica si palesa nel momento in cui Colm fa un patto con Pádraic: ogni volta che l’amico gli rivolgerà la parola, lui si taglierà un dito della mano sinistra, quella con cui suona il violino, con la cesoia. Ecco che sentiamo più soffocante il richiamo della morte, delle banshees; vediamo di fatto concretizzarsi un presagio tragico presente dall’inizio della pellicola. La morte si aggira come uno spirito, appunto.
I paesaggi irlandesi con le coste frastagliate contro cui sbattono le onde increspate e la nebbia che avvolge i paesaggi aridi rappresentano la cupezza dei moti interiori dei personaggi. Lo sfondo de Gli spiriti dell’isola è la Guerra Civile. Siamo nel 1923 e ai rumorosi bombardamenti della vicina Belfast si contrappone il silenzio, altrettanto doloroso, di una piccola guerra tra amici che si combatte nella tranquilla Inisherin. Proprio gli ordigni che si vedono in lontananza e che scandiscono l’andamento della pellicola, rappresentano l’esagerazione di quel litigio domestico che si consuma tra i muri del villaggio. Un litigio, quello tra Pádraic e Colm, che nei suoi sguardi silenziosi nasconde un’esplosione ancor più rumorosa di quella della Guerra Civile.
Gli spiriti dell’isola può a buon diritto considerarsi una favola dark dove i protagonisti, così distanti fisicamente, rimangono emotivamente legati. Nella loro diversità Colm e Pádraic sono complementari. Colm dice di essersi allontanato dall’amico perché lo reputava noioso e la noia è ben diversa dalla pace. Non si può sprecare il tempo annoiandosi, bisogna tramandare qualcosa ai posteri. La gentilezza, pregio di Pádraic, infatti, non è immortale come la musica cui si dedica Colm. Essendosi allontanato dall’amico, Colm ha trovato il tempo per comporre con il violino la sua ballata folkloristica intitolata proprio “The Banshees of Inisherin”, che vorrebbe suonare il giorno del funerale di Pádraic. La musica fa da cornice al teatro folkloristico messo in scena da McDonagh.
La pellicola nella sua semplicità è un capolavoro. Mc Donagh riesce a caricare di emozioni anche i silenzi e gli sguardi che si scambiano i due protagonisti. La forza pregnante della sceneggiatura è mantenuta anche grazie al carisma degli attori. Ciascuno dei personaggi, principali e non, è impeccabile. Colin Farrell è esplosivo e coinvolgente, perfettamente calato nella parte, una parte scritta per lui che con maestria la porta sul grande schermo. Anche Gleeson è a suo agio in un ruolo che gli calza a pennello così come il giovane Barry Keoghan. Non stupiscono dunque le numerose candidature per Gli spiriti dell’isola, tutte ugualmente meritate.
Un mondo fiabesco dove però non c’è solo il lieto fine, c’è l’eco della morte, la desolazione paesaggistica e quella interiore, il silenzio frastornante e la malinconia degli animi. Un film intensamente comico e velatamente tragico. Un ossimoro perfetto da cui deriva una pellicola da pelle d’oca, una macabra carezza.
Se indagare nelle paure e nei dubbi della psiche umana è un’abitudine dello sceneggiatore e regista irlandese, con Gli Spiriti dell’Isola McDonagh racconta anche quel sottile confine che traccia la separazione tra ingenuità e inettitudine, tra depressione e noia, attraverso i personaggi di Farrell e Gleeson che proprio non riescono a trovare un terreno di incontro di fronte a un cambiamento dello status quo.
È questo il gap che si crea trai due: Colm, forse perché più anziano e più prossimo alla morte, sente avvicinarsi la fine e con essa l’urgenza e la necessità di lasciare qualcosa al mondo, vuole sopravvivere a se stesso e non gli basta il ricordo e l’affetto di chi lo ha conosciuto. Vuole creare musica e rimanere trai vivi, come è successo, ad esempio, a Mozart, che viene più volte citato nel film. Pádraic invece si esaurisce nel qui e ora, si trascina lungo le coste dell’isola, beve birra, intrattiene conversazioni futili con chi incontra e questo lo soddisfa, perché non ci sono domande o paure, nella sua vita, almeno non fino a che Colm non comincia ad ignorarlo. I due interpreti regalano due performance misurate ed eleganti, dando corpo a due personaggi quasi antitetici che prendono la vita molto diversamente ma che sono entrambi sovrastati dalla paura del domani. Se da una parte c’è chi sente l’approssimarsi della fine, dall’altra non ci si pone nessun tipo di domanda e si prova ad andare avanti come se niente fosse, come se la vita fosse immobile in un eterno presente senza prospettive né cambiamenti. Cosa che non sta bene alla sorella di Padraic che invece vuole lasciare l’isola e costruire qualcosa per se stessa, per la sua vita e il suo futuro.
La scrittura di Martin McDonagh è ancora una volta ironica e drammatica allo stesso tempo, tratteggia con grande precisione non solo i protagonisti, ma anche tutti i personaggi di contorno, creando un microcosmo realistico e coerente seppure immerso in un mondo ai margini che sembra non essere mai esistito e su cui aleggia un velo di antica magia. La decisione scatenante di Colm fa piombare Padraic in una depressione travolgente che non conosce rimedio se non la continua ricerca del confronto, la richiesta di spiegazioni e, di fronte al rifiuto dell’altro, la frustrazione totale.
Un elemento importante della storia è senza dubbio l’ambientazione, che grazie all’occhio di McDonagh si mostra sempre come essenziale e fondamentale. Perché abbraccia le storie narrate, perché si erge a sfondo e testimone impassibile e perché il regista stesso riesce a sfruttarne la bellezza selvaggia senza farne una cartolina dell’azienda Soggiorno e Turismo ma rendendo il territorio uno strumento narrativo. Le lunghe traversate delle colline verdi e desolate sembrano simboleggiare la noia, la fatica, l’insoddisfazione che regna in quei luoghi, nonostante la bellezza naturale, e ogni personaggio, anche gli splendidi comprimari, trova il suo momento e il suo spazio per brillare, immerso com’è in una natura che dialoga con chi la abita.
Gli Spiriti dell’Isola racconta di un’amicizia, di chi è capace di porsi nel mondo in maniera critica e di chi invece si lascia soltanto trascinare dalla contingenza, il film di Martin McDonagh lo fa con realismo, intelligenza e delicatezza, dimostrandosi una delle opere più coese e compiute del regista. Un film piccolo con lo spirito di una bellissima novella.