Ryôta Nakano
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Nella famiglia semplice degli Asada, il fratello minore Masashi è sempre stato quello “particolare”, controcorrente. Sin da quando, a dodici anni, il padre gli regala una macchina fotografica, Masashi diviene ossessionato dal sogno di diventare un fotografo professionista: come soggetto sceglie la propria famiglia, ritratta in situazioni bizzarre o in scenette fittizie, travestiti di volta in volta da pompieri o da yakuza. È il 2011 quando il successo comincia ad arridere a Masashi, ma la tragedia dello tsunami lo colpisce in maniera indelebile. Parte alla ricerca di una famiglia, da lui ritratta in passato, per sapere se è sopravvissuta al disastro e finisce per diventare un volontario nel gruppo che recupera fotografie tra i relitti, sperando di riconsegnarle ai legittimi proprietari. La biografia di un fotografo insignito di alcuni premi diviene nelle mani di Ryota Nakano una commedia girata nel tipico stile giapponese, in cui i momenti surreali o goffi sono evidenziati da una colonna sonora complice e poi bruscamente interrotti dall’irruzione di una tragedia o di un evento altamente drammatico. Sulla capacità di gestire questo equilibrio e sulla reazione dei personaggi a queste situazioni si gioca molto della scommessa di Nakano, che chiede al protagonista Kazunari Ninomiya un’interpretazione intensa e minimalista.
Masashi è al centro di FOTO DI FAMIGLIA ma non ne è necessariamente l’eroe. Siamo invitati, in quanto spettatori, a provare empatia quando muove i suoi primi passi nel mondo della fotografia e coltiva un sogno, ma la delusione è dietro l’angolo. Quella di Masashi, costantemente colto alla sprovvista dalle asperità e dagli obblighi della vita; e quella di noi spettatori, ormai affezionati al suo sorriso gentile da eterno ragazzino e quindi a maggior ragione scottati dall’egoismo e dall’incapacità di assumersi responsabilità che ne caratterizzano il percorso di vita. Se Masashi può portare avanti il proprio sogno, lo deve interamente all’amore di una famiglia comprensiva e a quello di Wakana, innamorata di Masashi e convinta fino alla devozione sul suo talento artistico. La svolta drammatica legata allo tsunami del 2011 divide nettamente in due segmenti il film e scatena un cambiamento nel protagonista, ma mantiene una continuità nella riflessione sull’arte della fotografia, per sua natura inestricabile da un dubbio morale. Dove inizia lo sfruttamento e il cinismo quando si impugna una fotocamera e si ritraggono persone colpite da una tragedia o in un momento di difficoltà? Il Masashi fotografo rivela in un certo senso che sotto il bonario disimpegno dell’eterno fanciullo si cela un distacco dalla realtà, che è anche mancanza di empatia nei confronti del prossimo. Il suo codice etico peculiare trasforma in set fotografico persino il funerale del padre, esorcizzando la morte con leggerezza ma sfiorando l’insensibilità e l’anaffettività.
In questo senso il volontariato di Masashi, al servizio delle vittime della tragedia, diviene una sorta di percorso di redenzione e di tardiva maturazione: il personaggio di Masashi acquisisce un significato a tutto tondo (…).
Le fotografie, si sa, immortalano il momento e raccontano il tempo che passa. L’esistente, insomma. Quando la restituzione dell’attimo si emancipa dalla cronaca e dalla testimonianza, si passa nel territorio dell’arte e della poesia. Masashi Asada abita lì, perché le sue non sono semplici istantanee, ma prodotti di un’intuizione folgorante: fotografare ciò che non è (ancora) accaduto o che non accadrà mai. Storia vera, quella di Foto di famiglia di Ryôta Nakano, che nasce nel cuore di una famiglia, gli Asada appunto, tanto unita quanto piena di sogni irrealizzati: il papà voleva fare il pompiere, la mamma si immaginava moglie di un gangster della Yakuza, il figlio più grande sperava di essere pilota di Formula 1. A partire da questi desideri, Masashi colloca i suoi congiunti in ritratti che ricreano le vite non vissute, come se fossero cosplayer chiamati delle possibili versioni di sé. È un successo: altre famiglie lo cercano, gli chiedono cose ora divertenti ora struggenti per sconfiggere il destino almeno nelle immagini che resteranno, finché il terremoto del 2011 sconvolge le vite di un’intera nazione. E così Masashi cambia missione: salvare le foto e gli album di famiglia smarriti nel crollo delle case, con l’obiettivo di riconsegnarli ai legittimi proprietari. Insieme ad altri volontari, in pochi mesi raccoglie oltre 60.000 foto: i sommersi si salvano, i ricordi riemergono dalle macerie, il passato torna a farsi ipotesi di futuro. È un film caldo e accogliente, Foto di famiglia, popolare non solo perché arriva da una realtà quotidiana e al contempo straordinaria ma anche perché coinvolgente nel divertimento (il tono da commedia buffa) come nella commozione (d’altronde sui bambini si gioca facile). Certo, è ruffiano quanto basta (i colori accesi da favola conciliante) e tutto sembra un po’ appoggiato sul carattere volitivo del protagonista, ma sa mettere insieme la vocazione alla malinconia e ricerca della serenità, il sentimento collettivo e la rivelazione del privato, l’esercizio della compassione e il mistero delle immagini. Cast affiatato, dall’ottimo Kazunari Ninomiya alla sempre incantevole Haru Kuroki, ma il meglio sta proprio nell’incontro di sguardi, negli occhi che all’improvviso scoprono un baluginio di felicità.
Da appassionati del Sol Levante, non possiamo che essere felici ogni volta che abbiamo l’opportunità di guardare film appartenenti alla cinematografia giapponese. E se fino a qualche anno fa le occasioni si limitavano a poche uscite e proiezioni ai grandi festival internazionali, in tempi recenti le opportunità si sono per fortuna amplificate. E la gioia aumenta quando possiamo parlare di film che ci hanno anche colpiti, come nel caso di questa recensione di Foto di famiglia, toccante storia degli Asada che affronta il tema sentito in Giappone del terremoto del 2011 da un punto di vista inedito, che si concentra sul lato umano di quella terribile tragedia. (…) Il cuore del racconto di FOTO DI FAMIGLIA, dicevamo. Lo è anche nel riflettere l’ideale suddivisione del film in due parti, una prima più concentrata su di lui, sulla sua crescita sin da bambino al presente della storia, una seconda dopo il drammatico sisma del 2011. Due parti in cui Masashi, e con lui il film, cambia, perché c’è inevitabilmente un prima e un dopo per il ragazzo, per il Giappone e per tanti dei suoi abitanti. Il Masashi della prima parte è un ragazzo creativo, un po’ viziato dalla famiglia, ma incline agli errori nella vita e forse incapace di gestire e preservare i rapporti interpersonali, come quelli con la ragazza che da sempre gli piace; quello che impariamo a conoscere dopo è un Masashi che finalmente affronta la vita con maturità, che cresce nel rapportarsi con il dolore causato dal dramma del terremoto, nel salvare a una a una oltre 60.000 fotografie assorbendo il dolore che portano con sé. Una metamorfosi incarnata con profondità da un bravissimo Kazunari Ninomiya, capace di mantenere un grande equilibrio nel trasmettere empatia allo spettatore, mantenendo apprezzabile il suo personaggio pur nei suoi errori e nelle sue mancanze e comunicando il dolore che prova nel confrontarsi con il dramma della primavera del 2011. Elabora quel dolore, Masashi, come il Giappone è solito fare da sempre attraverso l’arte che riprende le tragedie nipponiche: abbiamo visto più volte affrontare da vari punti di vista e con approcci variegati il dramma del nucleare e della Seconda Guerra Mondiale, sta accadendo anche negli ultimi anni con il terribile terremoto che ha devastato il paese nel marzo del 2011, ripreso e approfondito da tanti punti di vista diversi.
Ci sono film specifici su Fukushima, sia in forma di documentario che di finzione, ce ne sono altri più allegorici come il recente Suzume di Makoto Shinkai, ma quello di Ryōta Nakano è un approccio particolare, più intimo e umano, che sa aggiungere qualcosa di nuovo e prezioso al tema, facendoci comprendere più in profondità cosa il terremoto ha rappresentato per i singoli abitanti del paese del Sol Levante, con i quali ci sentiamo sempre più vicini. Da appassionati del Sol Levante, non possiamo che essere felici ogni volta che abbiamo l’opportunità di guardare film appartenenti alla cinematografia giapponese. E se fino a qualche anno fa le occasioni si limitavano a poche uscite e proiezioni ai grandi festival internazionali, in tempi recenti le opportunità si sono per fortuna amplificate. E la gioia aumenta quando possiamo parlare di film che ci hanno anche colpiti, come nel caso di questa recensione di Foto di famiglia, toccante storia degli Asada che affronta il tema sentito in Giappone del terremoto del 2011 da un punto di vista inedito, che si concentra sul lato umano di quella terribile tragedia.
(…) Il cuore del racconto di FOTO DI FAMIGLIA, dicevamo. Lo è anche nel riflettere l’ideale suddivisione del film in due parti, una prima più concentrata su di lui, sulla sua crescita sin da bambino al presente della storia, una seconda dopo il drammatico sisma del 2011. Due parti in cui Masashi, e con lui il film, cambia, perché c’è inevitabilmente un prima e un dopo per il ragazzo, per il Giappone e per tanti dei suoi abitanti. Il Masashi della prima parte è un ragazzo creativo, un po’ viziato dalla famiglia, ma incline agli errori nella vita e forse incapace di gestire e preservare i rapporti interpersonali, come quelli con la ragazza che da sempre gli piace; quello che impariamo a conoscere dopo è un Masashi che finalmente affronta la vita con maturità, che cresce nel rapportarsi con il dolore causato dal dramma del terremoto, nel salvare a una a una oltre 60.000 fotografie assorbendo il dolore che portano con sé. Una metamorfosi incarnata con profondità da un bravissimo Kazunari Ninomiya, capace di mantenere un grande equilibrio nel trasmettere empatia allo spettatore, mantenendo apprezzabile il suo personaggio pur nei suoi errori e nelle sue mancanze e comunicando il dolore che prova nel confrontarsi con il dramma della primavera del 2011. Elabora quel dolore, Masashi, come il Giappone è solito fare da sempre attraverso l’arte che riprende le tragedie nipponiche: abbiamo visto più volte affrontare da vari punti di vista e con approcci variegati il dramma del nucleare e della Seconda Guerra Mondiale, sta accadendo anche negli ultimi anni con il terribile terremoto che ha devastato il paese nel marzo del 2011, ripreso e approfondito da tanti punti di vista diversi. Ci sono film specifici su Fukushima, sia in forma di documentario che di finzione, ce ne sono altri più allegorici come il recente Suzume di Makoto Shinkai, ma quello di Ryōta Nakano è un approccio particolare, più intimo e umano, che sa aggiungere qualcosa di nuovo e prezioso al tema, facendoci comprendere più in profondità cosa il terremoto ha rappresentato per i singoli abitanti del paese del Sol Levante, con i quali ci sentiamo sempre più vicini.