Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna

Greg Berlanti

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Assunta per rilanciare l’immagine pubblica della NASA, Kelly Jones, ragazza prodigio del marketing, si scontrerà con Cole Davis, direttore del programma di lancio, creando scompiglio nel suo già difficile compito. Quando la Casa Bianca ritiene che la missione sia troppo importante per fallire, Kelly Jones viene incaricata di inscenare un finto sbarco sulla Luna come piano di riserva. A quel punto il conto alla rovescia inizia davvero...
DATI TECNICI
Regia
Greg Berlanti
Interpreti
Scarlett Johansson, Channing Tatum, Woody Harrelson, Jim Rash, Ray Romano, Peter Jacobson, Joe Chrest, Colin Woodell, Christian Clemenson, Greg Kriek
Durata
131 min.
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Rose Gilroy, Sharon Maguire
Fotografia
Dariusz Wolski
Montaggio
Harry Jierjian
Distribuzione
Eagle Pictures
Nazionalità
USA, Gran Bretagna
Anno
2024

Presentazione e critica

Cole Davis è il direttore del programma di lancio dell’atteso viaggio sulla luna dell’Apollo 11. Kelly Jones è una spregiudicata esperta di marketing che viene assunta per promuovere l’impresa spaziale il più possibile, per fomentare il popolo americano a seguire con passione la missione e gli sponsor a investirvi. Nel mezzo c’è la politica del governo Nixon, determinata a mostrare al mondo – con ogni mezzo a disposizione, oltre l’etica – che l’America approderà sulla luna ben prima della Russia.

 

Un film-caleidoscopio, con dentro commedia, love story, dramma, metacinema e una spruzzata di thriller politico. È tutto questo Fly me to the moon, creatura ibrida o complessa a seconda dei punti di vista, diretta da Greg Berlanti. Nelle duplici vesti di produttrice e protagonista spicca Scarlett Johansson, che nella prima parte del film conosciamo come Kelly Jones, venditrice spregiudicata, bugiarda e persuasiva dalle multiple identità, imbattibile nel suo lavoro. Un personaggio a metà tra Leonardo Di Caprio in Prova a prendermi e Jennifer Lawrence in Joy. Il suo carisma e la sua furbizia vengono notate dai vertici della politica americana, tanto da venir avvicinata da un uomo del presidente (Woody Harrelson, nell’ennesima performance memorabile della sua carriera). Le fa la proposta delle proposte: lavorare per promuovere la missione sulla luna, trasformando in star gli astronauti e facendoli entrare nel cuore della gente. Dal momento in cui Kelly entra alla NASA e incontra Cole Davis, astronauta mancato a capo del programma di lancio, tutto cambia. La commedia sofisticata cede gradatamente il passo a una commedia romantica che si prende il suo tempo per partire, e parallelamente si aprono altre due strade narrative: il dramma della commemorazione della missione fallita Apollo 10, trauma da cui Davis stenta a riprendersi, e la costruzione a tavolino, o meglio in studio, del finto allunaggio. Una finzione voluta dai vertici della politica per rendere credibile l’incredibile e trasmettere al mondo, e all’elettorato americano, il prodigio della missione riuscita in diretta, anche qualora fosse nella realtà fallita.

Un film enormemente ambizioso, che traccia tante piste narrative con una regia che riesce nell’intento di intrattenere, incuriosire, divertire, commuovere e far riflettere sulle manipolazioni multiple di una politica spregiudicata, decisa a calpestare ogni etica pur di mostrare al mondo intero la sua volontà di grandezza. Channing Tatum è credibile anche se ingessato, Scarlett Johansson risulta perfettamente aderente al suo ruolo, tanto che è impossibile non affezionarsi al suo personaggio e agli incredibili escamotage pubblicitari inventati per “vendere” il sogno del viaggio sulla luna agli americani. Un’antieroina furbissima e scorretta, che solo nella seconda metà del film svela la sua vulnerabilità e il suo lato umano, utili in scrittura a non appiattirla su una silhouette solo caricaturale.

Menzione speciale infine per il villain interpretato da Woody Harrelson, che riesce nell’impresa non scontata di far piacere al pubblico un personaggio sulla carta assolutamente detestabile.

 

Mymovies

La storia la scriviamo ogni giorno, la raccontiamo e riraccontiamo nei libri di testo, ma anche nelle canzoni, nei film e nei romanzi. E i film in particolare ogni giorno la riscrivono non esattamente per come è andata davvero, ma per come ci può dire qualcosa sul presente, a uso e consumo degli obiettivi di chi la racconta. Pochi anni fa, in Il diritto di contare, la storia della conquista della Luna è stata una maniera per dire che un momento cruciale della dimostrazione di supremazia statunitense e quindi di orgoglio, è stato sorretto e cementato da un gruppo di donne afroamericane discriminate, di eccezionale bravura nei calcoli, che hanno svolto tutte le operazioni che hanno reso tecnicamente possibile l’impresa. Ora, in Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna, quello stesso evento (il grande scatto che fu necessario per arrivare sulla Luna entro la fine degli anni ’60 e prima dei sovietici) ci viene detto che è stato possibile grazie al capitalismo.

 

A differenza di Il diritto di contare, questo non è un film con pretese di realismo, anzi, si diverte nella sua piccola e controllata implausibilità per fare una commedia rosa dai dialoghi ritmati. È un film volutamente d’altri tempi, in cui tutta la spregiudicatezza sessuale è allusa e non mostrata, e in cui conta molto di più l’interazione e la rapidità dei dialoghi rispetto all’effettivo intreccio. E Scarlett Johansson ci sguazza. Erano anni che non era così decisiva in un film commerciale, così capace di formare un personaggio animato da spinte opposte. Nella trama è una pubblicitaria spietata e bravissima degli anni ’60, Don Draper di Mad Men, con in più una contagiosa joie de vivre utile a convincere e vendere ancora di più. Il governo ha bisogno di vendere la conquista della Luna agli americani per poterla finanziare come merita e la assume. Lei userà il marketing più spietato per rendere sexy gli astronauti e l’impresa, per farla andare di moda, per far desiderare al paese che il loro governo la finanzi. E poi le chiederanno l’inganno finale: di filmare il finto allunaggio perché “non si sa mai come può andare”. È la celebrazione definitiva della vittoria sull’Unione Sovietica, ballando sopra il suo cadavere: non solo gli americani sono arrivati sulla Luna per primi, ma ci sono arrivati (secondo il film) perché erano un paese capitalista. E la protagonista è essa stessa l’incarnazione del capitalismo, ne ha tutte le caratteristiche: è bella, è sexy, è desiderabile, vende piacere, vende un mondo di sogni, è pronta a mentire a tutti per interesse, non accetta mai un “no” come risposta e, se pagata, fa qualsiasi cosa. Scarlett Johansson, da attrice, vende a noi la donna che sa vendere bene. C’è poi la controparte maschile, Channing Tatum, ingegnere tutto d’un pezzo della Nasa che vede di cattivo occhio tutti questi lustrini e questo marketing, perché conta solo la missione, ma che lentamente sarà conquistato da questa donna irresistibile e ovviamente (visto che sono la stessa cosa) dall’idea di vendere la missione al paese.

Quel primo livello, quello della musica swing da big band, degli sguardi allusivi, delle operazioni romantiche e delle schermaglie che portano al bacio, è perfetto. Ma è il secondo che conquista davvero. Perché già non è semplice fare una commedia romantica fatta bene (oggi poi!), ma ancora di più lo è creare i presupposti per una celebrazione del capitalismo che forse non è tale. Perché, arrivato alla fine, Fly Me to the Moon è anche una gigantesca apologia della menzogna e delle fake news fatte circolare per ottenere un obiettivo superiore, e il film stesso è il primo a mettere nello spettatore il dubbio che davvero questa convinzione dei personaggi che tutto si può fare per battere i russi sia giusta. La bravura di Scarlett Johansson è di dare a questo personaggio una tenacia un filo oltre il giusto. È pronta a diventare tutto quel che serve per fare soldi, senza veri ideali che non siano la conquista dell’obiettivo. Senza etica e morale. È efficace (che è uno dei grandi miti americani) ma così tanto che fa venire qualche domanda.

 

Wired

Se nelle dinamiche della commedia Greg Berlanti non va molto al di là di una corretta applicazione di formule, i motivi più interessanti del film sono altrove. In quegli spunti di un discorso teorico, evocati dalle finte riprese dell’allunaggio. È una trovata che gioca sul celebre mito complottista (con tanto di Kubrick chiamato in causa), per riportare all’urgenza di una riflessione sul rapporto tra la realtà e le immagini, sul loro potere manipolatorio, sulle contorte ragioni del potere politico ed economico, della propaganda su cui proliferano le fake news. A essere messa in discussione è soprattutto la nostra incapacità di comprendere e decifrare le ambiguità della visione. Come nella lunga, decisiva scena in cui nessuno si rende conto se le immagini trasmesse in TV siano quelle dell’allunaggio vero o finto. Fino a che non interviene l’imprevisto della realtà, quello che manda all’aria l’ossessione profondamente cinematografica (e industriale) del controllo totale del set e dell’azzeramento del rischio.

 

 

Sentieriselvaggi