Gabriele Muccino
DATI TECNICI
Regia
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Durata
Genere
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Montaggio
Musiche
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Presentazione e critica
“Questo è il mio tredicesimo film, escludendo i 18 episodi di A casa tutti bene – La serie. Ne ho viste tante e sento che la mia vita professionale è stata particolarmente ricca. Nonostante questo in ogni film che fai ritorni al punto di partenza e hai la stessa ansia da prestazione e paura. Penso di aver fatto un buon film come penso a volte di aver fatto film meno buoni. Sono sereno sul fatto che sia un buono e lo dico senza presunzione, perché l’avrò visto 250 volte e quando le cose non funzionano diventano enormemente orribili”.
Così Gabriele Muccino ha raccontato Fino alla fine, un titolo importante perché segna diverse novità nella filmografia di un autore che, evidentemente, non hai mai smesso di mettersi in gioco in ogni suo lavoro, incapace di frenare un coinvolgimento sempre epidermico con qualsiasi storia messa in scena, “i film mi hanno salvato la vita”, spiega. Un elemento che si avverte forte e chiaro anche questa volta, e forse anche più.
Tutti abbiamo rimpianti. Le vite di tutti noi sono fatte di bivi e scelte, strade che non abbiamo percorso e che inevitabilmente ci fanno chiedere cosa sarebbe successo se avessimo preso decisioni differenti. È questo, o almeno anche questo, che ci racconta Fino alla fine, il nuovo film di Gabriele Muccino, il tredicesimo della sua carriera. Un progetto diverso da quelli a cui ci aveva abituati, perché si tratta di un thriller adrenalinico, un viaggio della durata di una notte che ci mette faccia a faccia con il cammino e le scelte, per l’appunto, della protagonista Sophie, interpretato da Elena Kampouris. Presentato alla Festa del Cinema di Roma e ora arrivato nelle sale con 01 Distribution, prodotto da Lotus Production con Rai Cinema, in associazione con Adler ed Ele Film. Vent’anni, americana, Sophie sta vivendo l’ultimo giorno di vacanza in Italia, a Palermo, insieme alla sorella. Ma se la sua compagna di viaggio vorrebbe dedicare tutto il tempo all’arte e le attività di stampo culturale, lei sente il bisogno di respirare libertà, di divertirsi e svagarsi prima del ritorno in California, dove svolge una vita che percepisce opprimente. Fino alla fine come il titolo ci suggerisce. Convince la sorella ad andare in spiaggia e lì conosce Giulio e il suo gruppo di amici siciliani, che sceglie di rincontrare quella sera in discoteca e poi seguire in un cammino avventuroso alla ricerca di quella dose di adrenalina di cui sentiva di aver bisogno. Sophie si abbandona al fascino del pericolo e lascia che sia la voglia di trasgressione e di libertà a dettare le sue scelte, commettendo errori che cambieranno e segneranno per sempre la sua esistenza. Un viaggio di una notte, una corsa senza sosta lungo una discesa che impedisce di fermarsi. Un bivio dopo l’altro, una scelta dopo l’altra, in bilico perenne tra il voltarsi e tornare indietro o proseguire sul folle cammino intrapreso. Elena Kampouris si carica sulle spalle questo personaggio, il suo percorso, e fa del suo meglio per renderlo credibile e permetterci di capire le sue decisioni.
La supportano però i co-protagonisti, come Saul Nanni e un buon Lorenzo Richelmy, oltre ai volti che Sophie incrocia lungo il cammino. Pedine urlanti, come al solito, nelle mani di Gabriele Muccino per il suo inno alla libertà e al caos che ne deriva. Pedine, le abbiamo chiamate così, perché l’essenzialità di Fino alla fine è nella sua forma. Di più, come senso di racconto, oltre a ciò che racconta: il pregio principale del film è infatti nella costruzione e confezione, in una regia che sa gestire tempi e spazi, che si affida al ritmo e lo usa per costruire una corsa ansiogena e carica di tensione. Nel seguire Sophie, intuiamo quale sarà la strada che si troverà a percorrere, ma non riusciamo mai a scrollarsi l’incertezza, la tensione, l’ansia relativa alle decisioni che le vediamo inanellare. Una dopo l’altra, fino alla fine, fino a ribaltare i presupposti della sua stessa esistenza.
Tutto in una notte. La scrittura di Muccino e Paolo Costella gioca con le aspettative disattese. Semina indizi, suggerisce implicazioni, ma improvvisamente sbanda e cambia strada, proprio come le auto che si inseguono all’impazzata per i vicoli contorti del centro storico. Soprattutto, sceglie di ridimensionare le ambizioni, per abbracciare un approccio più apertamente d’intrattenimento. In Fino alla fine, insomma, Muccino sembra mettere da parte ogni volontà di scavo psicologico o di affresco generazionale. Nonostante la solita recitazione urlata, sovraccarica, nevrotica, sopra le righe, per una volta i suoi personaggi assolvono deliberatamente al compito di essere semplici funzioni, puri vettori narrativi. Non c’è traccia di profondità, a parte qualche accenno al passato, o qualche gesto, un’espressione che lasci intuire il segreto di un vissuto. Come nello sguardo perso nel vuoto di Lorenzo Richelmy, stretto in un abbraccio che non avrebbe mai immaginato. È il suo Komandante, non a caso, il personaggio che lascia maggiormente il segno, che si imprime negli occhi e nei ricordi. Molto più della protagonista, Sophie, di cui si tenta, invece, una tridimensionalità accentuata. E che però talvolta finisce per essere più scontata delle convenzioni, una specie di nota stonata per eccesso di giustificazione autoriale. In fondo, sono le scene introspettive, quelle che dovrebbero svelare meglio l’intimità della protagonista, a risultare più forzate. Come la sequenza al pianoforte, nel centro commerciale deserto. Il film è molto più convincente quando resta a galla, in superficie. E in questo senso è del tutto sensata la scelta di muoversi in una Palermo turistica e stereotipata: Mondello, le feste notturne in Vucciria, le strade del centro tra la Cattedrale e Piazza Pretoria. Quasi uno sguardo da cartolina, che rifugge la tentazione sociologica e il realismo d’impegno. Segno di una volontà di andare a fondo, fino alla fine, nella ricerca di un cinema global, da esportazione, nonostante le sbandate, le esagerazioni, i ripensamenti.
“Fare un film è un’esperienza sempre molto masochistica – dice Muccino, tra il serioso e lo scherzoso – perché ti mette nella condizione di dover essere giudicato, ogni volta mi chiedo perché sottomettermi ad una cosa del genere, quando è ciò che da adolescente temevo di più. Forse perché balbettavo e quindi ho pensato che potessi esprimermi attraverso i corpi degli altri, ma la paura del giudizio c’è sempre”.
Fino alla fine sposta per la prima volta l’equilibrio della sua “geografia dei sentimenti”, accedendo ad un genere che permette ad essere di muoversi in modo più dinamico e action. Nonostante i rischi. “Quasi tutti i miei film raccontano il mio modo di stare al mondo in quel momento al punto che posso dire che io sono i film che faccio. Fino alla fine rappresenta la mia voglia di rompere uno schema, fare qualcosa che non ho ancora fatto, scavalcare il muro di quella safe zone dove ho fatto tutti i miei film”. Al netto di un salto importante, c’è comunque un fil rouge molto forte che lega una pellicola come questa a quelle precedenti, come ammette Muccino stesso: “Non ho cambiato il genere: il thriller c’era anche ne L’ultimo bacio e A casa tutti bene – La serie, ma ho cambiato la declinazione del linguaggio, ho spostato i personaggi ad andare oltre quella zona di comfort o del buonsenso, un muro, che avevo evidentemente dentro di me. Avevo paura di sbagliare e di non saper fare questo salto, ma quando la serie mi ci ha portato ho capito che mi sento molto a mio agio”. Un salto che si rivelato logico non solo per la qualità registiche di Muccino, che è a suo agio anche nel raccontare le scene d’azione, ma anche per la visione che ha il regista del percorso evolutivo dell’umanità in senso più ampio. Infatti, come dice lui stesso: “l’animo umano è stato costruito per millenni sulle atrocità e sulla necessità di proteggersi e prevaricare. L’uomo ha per natura molto presente dentro di sé questo lato oscuro: fight or flight”. La cornice filmica per Gabriele è importantissima, perché permette ai suoi personaggi, sempre passionali e sempre in movimento, di correre in un senso o nell’altro. Una cornice che plasma le loro scelte e orienta i loro animi, “siamo tutti cacciatori o guerrieri, sono le circostanze che ci trasformano in una cosa o nell’altra”. Questo perché gli eventi dei film del regista romano portano con loro il soffio del vento delle emozioni, costringendo i personaggi a reagire e, di conseguenza, a scegliere.