Eterno visionario

Michele Placido

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1934. In treno verso Stoccolma, dove riceverà il premio Nobel per la letteratura, Luigi Pirandello rivive il fascino e la magia dei personaggi che hanno popolato la sua vita e ispirato la sua arte. Davanti al suo sguardo passano i fantasmi di un’intera esistenza: la follia della moglie, incapace di comprendere e accettare la scelta di vita di un artista predestinato; il burrascoso legame con i figli, schiacciati dal genio paterno e per questo incapaci di volare con le proprie ali; il controverso rapporto con il fascismo; lo scandalo del suo teatro, sovversivo e troppo moderno per il perbenismo borghese; il sogno di un amore assoluto per Marta Abba, la giovane attrice eletta a sua musa ispiratrice in un’inestricabile compenetrazione fra arte e vita. Una fase della vita di Pirandello per rivelarne il mondo emotivo, l’umanità, le passioni, le ossessioni e l’esistenza più intima intrappolata fra l’amore dirompente e impossibile per Marta e il burrascoso rapporto con la dolorosa malattia della moglie Antonietta. Un racconto emozionante che si dipana fra Roma, la Stoccolma dei Nobel, la Berlino dei cabaret e di Kurt Weill, la Sicilia arretrata degli zolfatari e degli arcaici paesaggi. Per restituire il ritratto autentico e vivido, il tormento e la forza di un artista immenso, un implacabile, eterno visionario: un genio capace di trasformare in Arte la propria infelicità.
DATI TECNICI
Regia
Michele Placido
Interpreti
Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Federica Luna Vincenti, Giancarlo Commare, Aurora Giovinazzo, Michelangelo Placido, Michele Placido, Mino Manni, Lorenzo Gioielli, Anna Gargano, Marcello Mazzarella, Dajana Roncione, Erika D'Ambrosio, Giovanni Trombetta, Silvio Laviano, Pietro Micci, Silvia Siravo, Guia Jelo, Edoardo Purgatori
Durata
112 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Michele Placido, Matteo Collura, Toni Trupia
Fotografia
Michele D'Attanasio
Montaggio
Consuelo Catucci
Musiche
Oragravity
Distribuzione
01 Distribution
Nazionalità
Italia, Belgio
Anno
2024

Presentazione e critica

Amburgo, 8 dicembre 1934. Luigi Pirandello è in treno, direzione Stoccolma, e sta andando a ritirare il Premio Nobel per la letteratura. Davanti a lui passano i fantasmi della sua esistenza: la figura di Marta Abba, giovane attrice diventata sua musa ispiratrice che lo aveva conquistato durante un provino a Roma nel 1925 e che ha rappresentato il sogno di un amore assoluto; la follia della moglie Antonietta Portulano che è stata ricoverata in manicomio nel 1919; il profondo legame ma anche il difficile rapporto con i figli Lietta, Stefano e Fausto; il controverso rapporto con il fascismo; i trionfi ma anche gli insuccessi come la rappresentazione dei Sei personaggi in cerca d’autore accolta da fischi e insulti da parte del pubblico nel debutto al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921; l’illusione di una collaborazione cinematografica con il grande regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau.

 

Si erano già incrociati i destini di Luigi Pirandello e Michele Placido, che nel film si ritaglia il ruolo di Saul Colin, l’agente letterario del drammaturgo e scrittore. Al cinema La scelta, uno dei film meno riusciti del regista, è liberamente ispirato alla commedia drammatica L’innesto. A teatro ha portato sul palco, tra gli altri, “Placido recita Pirandello“, “Io e Pirandello“, “Cosi è (se vi pare)” e nel 2025 andrà in scena con Pirandello. Trilogia di un visionario che comprende tre delle sue opere: “Lettere a Marta“, “L’uomo dal fiore in bocca” e “La carriola“. Forse è una coincidenza ma il termine ‘visionario’ è presente sia nel film che nella rappresentazione, una visione che probabilmente l’attore e il cineasta ha sempre avuto di Pirandello ma che proprio con questo termine la riaggiorna e rende più moderna.

 

La vicenda biografica è volutamente frammentata e procede per salti temporali. Da quel treno per Stoccolma lo sguardo di Pirandello, interpretato un bravissimo Fabrizio Bentivoglio che è volto e corpo riconoscibile del suo cinema dopo essere stato diretto in Un eroe borghese e Del perduto amore, rivede la sua vita come se si trovasse davanti alle immagini di un film con lui stesso come protagonista. Ed è proprio attraverso cinema, spesso cercato da Pirandello che ritorna nel finale sul set di Il fu Mattia Pascal dove il regista Pierre Chenal lo chiama per battere un ciak, che parte un lungo viaggio che lo porta tra gli arcaici paesaggi delle miniere della Sicilia, la Berlino dei cabaret e soprattutto Roma tra il teatro e gli oscuri interni familiari. Questi sono il luogo di tensioni ma anche allucinazioni creative come nelle visioni nella stanza dove sta scrivendo “Sei personaggi in cerca d’autore” in cui le luci stordenti della fotografia di Michele D’Attanasio contribuiscono a mostrare il legame stretto tra il corpo e la mente di Pirandello e, come lui stesso ha detto, quello tra il talento che si è evoluto ma gli ha impedito di vivere.

Come il precedente L’ombra di Caravaggio, anche Eterno visionario brucia di passione, lascia addosso i segni di un’instabilità che è come se fosse permanente dove si sente ora impotente e in trappola davanti alla moglie interpretata da Valeria Bruni Tedeschi prima che venga ricoverata in manicomio, oppure improvvisamente incantato da quando ha conosciuto Marta Abba (Federica Luna Vincenti) per la prima volta.

Pirandello guarda la giovane attrice con un desiderio nascosto ma faticosamente trattenuto simile a quello di von Aschenbach nei confronti di Tadzio in Morte a Venezia. Per questo, forse anche per lo stretto rapporto che c’è col teatro, in Eterno visionario si sente l’influenza di Visconti, evidente anche nel rapporto con gli specchi, proprio quelli che mettono a nudo Pirandello e lo rendono impotente davanti all’impietoso scorrere del tempo. Ma il drammaturgo avanza anche verso l’obiettivo, lo guarda come se volesse astrarsi dalla sua stessa storia. In Eterno visionario c’è tutto l’amore di Placido per l’arte di Pirandello e lo trasforma in tantissimi personaggi. Bentivoglio è uno, nessuno, centomila ed è al centro di un biopic che è invece qualcos’altro, un viaggio onirico pieno di passione e sofferta vitalità in cui ancora una volta Placido tira fuori il meglio dagli attori.

 

Mymovies

Eterno visionario, che Michele Placido ha basato sul libro “Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello” di Matteo Collura (Longanesi), richiede di appiedare nel suo registro carico, sopra le righe, costruito su una retorica corposa e – almeno sulle prime – distanziante per chi lo osservi e lo ascolti con uno sguardo contemporaneo. Pensiamo tuttavia che sia necessario fare attenzione a un aspetto di quest’enfatica “teatralità”, quando non solo si discute di teatro, ma di teatro e letteratura in un’epoca che dava all’arte retorica un valore di innalzamento, un potere di veicolare i moti dell’animo, di farsi bussola verso la verità. Il lavoro di Placido e del suo cast, a novant’anni dal Nobel raccolto da Pirandello dopo “Il fu Mattia Pascal“, ne celebra la figura più sul piano biografico e storico, che su quello linguistico, come invece scelse di fare qualche anno fa Roberto Andò con La stranezza, dove la stessa struttura narrativa incarnava il metalinguismo dello scrittore siciliano. Placido sceglie piuttosto di dare al pubblico l’uomo prima del suo lavoro, o meglio di intrecciare l’uomo e il suo lavoro sul piano più emotivo, disperato e meno cerebrale: di scelta si tratta, perché anche Eterno visionario, quando si concede le sue parentesi metanarrative, dimostra di amare la poetica dell’autore. In particolare colpisce una riuscita epifania della vecchiaia, quando Luigi rinuncia a baciare Marta Abba, guardandosi a uno specchio, ma guardando di fatto in macchina, osservando noi, spettatori e spettatrici.

Al di là di queste parentesi brevi, Eterno visionario racconta Pirandello più che incarnarlo, ma lo fa piuttosto bene, tanto da fornire coordinate interessanti per avviarsi nella sua scoperta o riscoperta: la centrata interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi nei panni della disturbata Antonietta è una chiave molto utile per illuminare una parte del non detto che il Pirandello uomo celava a se stesso, riversandolo però nelle sue opere. Luigi non soffre solo per Antonietta, ma sembra anche averne paura, quasi fosse consapevole che il male di vivere di sua moglie, internata perché diventata ingestibile, sia solo una valvola di sfogo sbagliata a un dolore esistenziale che lui conosce sin troppo bene. Nel suo caso ha preso la via dell’arte, ma con una sofferenza non inferiore: “Si scrive per vendicarsi di essere nati”, dirà lo scrittore, tentando di non essere nemmeno pianto al suo funerale.

È una ricerca artistica ed esistenziale, di cui Eterno visionario non nega una deriva egocentrica, come diventa chiaro nel rapporto conflittuale e triste di Pirandello con i figli, dimenticati da un padre che cercava una famiglia in chi condivideva il suo viaggio artistico, non tra le mura domestiche. In questo contesto le parole, la loro declamazione, sono sfogo ed esplosione, un tentativo di raggiungere ciò che non è mai a portata, condannati dalla propria identità, in una ribellione che i “personaggi in cerca d’autore” potevano urlare, ma Luigi no. Fabrizio Bentivoglio si fa carico di un’emotività fragile, nascosta da un’eleganza culturale difesa non per snobismo, ma per effettiva necessità: per dare un senso alla vita che spesso dimostra di non averne. Il resto del cast, i costumi di Andrea Cavalletto e le scenografie di Tonino Zera ci trasportano in un’epoca dove c’era meno libertà di essere se stessi al di là delle convenzioni sociali. Ma dove forse – proprio per questo – ogni conquista in tale senso aveva un peso più grande.

 

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