Andrew Haigh
Adam è uno sceneggiatore quarantenne gay che abita in un complesso di appartamenti londinese. Un giorno bussa alla sua porta Harry, giovane uomo esuberante che gli si propone con grande disinvoltura sentimentale e sessuale, ma inizialmente Adam è troppo riservato e solitario per concedersi il piacere di questa nuova scoperta. Andando in visita alla casa della propria infanzia l'uomo incontra i fantasmi dei suoi genitori, scomparsi quando lui era appena dodicenne, e all'epoca incapaci di accettare la sua emergente omosessualità. I genitori gli appaiono come suoi coetanei e come presenze molto reali, con cui confrontarsi per riallacciare i fili di un passato bruscamente interrotto dall'incidente del quale mamma e papà sono stati vittime. Ma confrontarsi con i propri fantasmi non è facile per un uomo che ha fatto tutto il possibile per evitarli, così come ora sta facendo il possibile per evitare il contatto con una nuova possibilità di amore.
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
Adam è uno sceneggiatore quarantenne gay che abita in un complesso di appartamenti londinese. Un giorno bussa alla sua porta Harry, giovane uomo esuberante che gli si propone con grande disinvoltura sentimentale e sessuale, ma inizialmente Adam è troppo riservato e solitario per concedersi il piacere di questa nuova scoperta. Andando in visita alla casa della propria infanzia l’uomo incontra i fantasmi dei suoi genitori, scomparsi quando lui era appena dodicenne, e all’epoca incapaci di accettare la sua emergente omosessualità. I genitori gli appaiono come suoi coetanei e come presenze molto reali, con cui confrontarsi per riallacciare i fili di un passato bruscamente interrotto dall’incidente del quale mamma e papà sono stati vittime. Ma confrontarsi con i propri fantasmi non è facile per un uomo che ha fatto tutto il possibile per evitarli, così come ora sta facendo il possibile per evitare il contatto con una nuova possibilità di amore. È davvero difficile spiegare la trama di Estranei perché il film scritto e diretto dal regista britannico Andrew Haigh è impalpabile e rifiuta ogni facile classificazione, costruendo una parabola delicatissima sul rimpianto e la difficoltà di venire a patti con i traumi del proprio passato e le proprie personali insicurezze.
Basato sul romanzo “Strangers” dello scrittore giapponese Taichi Yamada, Estranei si muove lungo il confine labile della realtà senza essere un vero e proprio ghost movie, e men che meno un “film di paura”, anche perché le presenze dei genitori di Adam (e non solo) ci appaiono del tutto reali, in carne ed ossa, e invitano al protagonista al contatto fisico e alla concretezza materiale. Haigh, sia in sceneggiatura che in regia, si muove come un equilibrista sul filo teso fra realtà e immaginazione, fantasia e memoria, pragmatica presa d’atto e immateriale struggimento. Chiunque abbia amato e perduto, così come chiunque abbia temuto di non essere accettato dalle persone care, conosce bene lo strazio di Adam. Andrew Scott è perfetto nell’incarnare le mille espressioni della sensibilità ferita del protagonista, che non a caso ha il nome del primo uomo, ovvero del maschile archetipale. Ma a rubare la scena è (ancora una volta) Paul Mescal nei panni del vagabondo dalla sensualità irresistibile e la ruvida dolcezza, (forse solo apparentemente) capace del coraggio affettivo che sembra mancare ad Adam, o meglio, che Adam ha tenuto per troppo tempo sotto chiave per paura del giudizio degli altri.
L’altro gigante recitativo in scena è Jamie Bell nei panni del padre di Adam: un uomo del suo tempo, apparentemente fine anni Cinquanta, abituato ad un concetto tradizionale di mascolinità e dunque impreparato ad accettare l’alterità del figlio, ma non per questo privo di genuino amore verso di lui. Claire Foy chiude il quartetto nel ruolo della madre di Adam, anche lei donna del suo tempo, ma dotata di una maggiore apertura verso l’accettazione totale della realtà – sia pure quella solo percepita. La fotografia di Jamie D. Ramsey, sotto la regia ispirata di Haigh, riesce miracolosamente a ricreare quella dimensione onirica della storia che aiuta a sospendere la nostra incredulità e riesce ad evocare la potenza del nostro desiderio di reincontrare chi abbiamo perduto, e dire loro ciò che non siamo stati in grado (o non abbiamo avuto la possibilità) di dire quando erano in vita. In questo senso è un film doloroso, ma di un dolore che rimargina, ricongiunge e assolve, e ci aiuta a riappropriarci del rimpianto e a ricercare la dolcezza della riconciliazione, con noi stessi e con il microcosmo dei nostri affetti, passati e presenti. Con la stessa intensità Estranei richiama alla coscienza il desiderio di intimità e connessione che la contemporaneità ci spinge a mettere da parte, ognuno rinchiuso nella propria celletta di alveare urbano.
Estranei ha una grazia leggera e profonda nel raccontare le difficoltà di un uomo ad accettare l’inevitabile e ad accettarsi nel riflesso dello sguardo delle persone più amate, che non sempre gli restituiscono la sua immagine più autentica, e non sempre ricevono l’invito ad entrare nella sua intimità: perché anche le persone più vicine possono trattarsi come estranei, quantomeno a quella parte di sé che ognuno tiene ben nascosta. Il film è stato girato in gran parte nella casa in cui è cresciuto il regista, il che esplicita l’elemento autobiografico della storia che porta sullo schermo e la vicinanza dei temi trattati alla propria esperienza di artista omosessuale. Il risultato è un percorso davvero commovente sull’elaborazione del lutto, non solo concreto ma anche metaforico, e sulla pacificazione, nonché un omaggio al potere salvifico dell’amore (“The Power of Love” dei Frankie Goes To Hollywood è la canzone simbolo del film).
“Kelsey, in questo mondo spaventoso, ciò che resta sono solo i legami che creiamo…” diceva Bojack Horseman, nella serie TV animata omonima su Netflix, durante una delle sue più grandi epifanie da adulto. Il peso di una frase del genere risuona, intimamente, anche nei meandri narrativi di Estranei (All of Us Strangers, in originale), il film diretto da Andrew Haigh e liberamente tratto dal libro con lo stesso titolo scritto da Taichi Yamada nel 1987. Sul grande schermo, questo specifico concetto diventa la forza trainante di una storia estremamente sottile, delicata e complessa, capace di riflettere sia in maniera molto ampia che, e soprattutto, specificamente personale (lo si poteva evincere fin dai trailer dedicati a Estranei).
(…) Al centro di questo piccolo mondo personale c’è la scrittura di una sceneggiatura che, a quanto pare, coinvolge in prima persona i suoi ricordi d’infanzia e il rapporto con i genitori, fondamentali in un’analisi dal retaggio nostalgico e allo stesso tempo tangibile per lui (l’elemento drammatico e familiare sfruttato per indagare lo specifico umano l’avevamo trovato anche nella recensione di The Warrior). (…) Trattandosi di un racconto incentrato principalmente sullo stesso Adam, Estranei canalizza immediatamente la propria narrazione passando continuamente attraverso il suo specifico sguardo. La scelta di soggettivizzare la lettura degli eventi risulta vincente fin dall’inizio, traslando la routine di un uomo qualsiasi attraverso la sua stessa fantasia di scrittore. Questo risulta essere un passaggio fondamentale nella lettura generale della pellicola, lavorando subito a un approccio espositivo degli eventi in corso sfaccettato e aperto a una serie di interpretazioni deviate continuamente dagli stati d’animo e dalle letture stesse del personaggio principale. Adam è uno scrittore e l’immaginazione è il suo pane quotidiano in questo senso. Cercando di dare forma a ciò che vive, prova e sente attraverso le parole che si trascina dentro. Nel processo creativo e mentalmente immaginifico dell’artista risiede il percorso di un uomo che si ritrova faccia a faccia con la propria storia passata, senza tenere troppo in considerazione lo scorrere del tempo presente. Il contrasto e il rapporto fra la realtà effettiva e la realtà percepita di Adam nutrono lo svilupparsi di Estranei, ponendo continuamente l’accento sulle sue sensazioni e sentimenti al livello più intimo e personale possibile.
(…) Estranei va oltre le frontiere del tempo. È un viaggio non nell’inconscio ma nei desideri del protagonista. Forse il mondo che sta attorno ad Adam sono solo costruzioni mentali. Lui stesso in discoteca balla, è felice, ama, poi la ruota gira, la musica rallenta, diventa dissonante…Stacco. In quei primi piani ravvicinatissimi del cinema di Haigh c’è tutta la paura e il desiderio di un cinema che non sembra volersi porre più nessun limite. Mai cerebrale, di un’intensità che abbraccia e porta via con sé nel cielo. Eric Rohmer in versione ‘queer’ con il corpo-memoria di David Cronenberg. Sono tante altre infinite stelle nell’universo di un film di infinita bellezza che verrebbe voglia di rivedere subito appena terminati i titoli di coda. Il mélo-fantasy più impossibile di sempre, ispirato al romanzo di Taichi Yamada del 1987. Andrew Haigh è ora, definitivamente, un cineasta di cui non si può fare più a meno.