Ethan Coen
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
(…) Il film inizia con Pedro Pascal nei panni di un misterioso uomo con una valigetta, continua con un cameo di Miley Cyrus negli intermezzi psichedelici e finisce con… Matt Damon? No, mica vi posso dire come finisce. Ma nei viaggi conta più la strada che fai e non la destinazione, ed è anche il caso di Drive-Away Dolls: osserviamo una protagonista estroversa e logorroica (Margaret Qualley) con un accento texano e tantissime avventure sessuali ad arricchire il suo bagaglio culturale che condivide con spettatori/trici e amica e l’altra (Geraldine Viswanathan) timida, introversa, che ha decisamente bisogno di lasciarsi andare in tutti i sensi. La loro missione principale è andare a fare birdwatching (è banale? Sì. Fa ridere? Sì), almeno questo secondo Marian, perché Jamie ne ha un’altra: aiutare l’amica a fare sesso e scaricare un po’ la tensione. I cattivi, invece, devono recuperare la preziosa valigetta.
Drive-Away Dolls ha le vibes di un b-movie anni ’70 ma ambientato nel ’99, un film di sesso e mistero – ma non nel senso erotico. È trash, quello buono, quello che ti fa spegnere il cervello per ridere e non pensare poi troppo. Le transizioni tra una scena e l’altra ce lo dicono esplicitamente, così come il dildo da parete e tantissime altre scene leggere e – finalmente – queer. Non lo dico solo io, finalmente queer, ma anche chi il film l’ha creato. Sempre citando l’intervista al The Guardian, Drive-Away Dolls è stato scritto negli anni ’90 ma vede luce solo adesso perché “l’irriverenza non era proprio la cosa che andava più di moda all’epoca”, afferma Cooke. Coen aggiunge: “l’idea di un film lesbico divertente sconcertava le persone e non siamo riusciti a convincere nessuno che avesse senso farlo”.
Ed è una fortuna che si possa vederlo nel 2024, come si era pensato, dopo aver affrontato l’inferno e il purgatorio dei film di genere LGBTQ+ con donne queer come protagoniste con trame strazianti – o storie mai finite. Drive-Away Dolls è finalmente un film con una rappresentazione diversa dal solito, in entrambi i casi. C’è il sesso, la violenza, c’è il non prendersi troppo sul serio e ci sono due protagoniste queer che non sono macchiette, che non vivono l’ombra di nessuno. C’è un film che non ha l’etichetta LGBTQ+ perché è confezionato per il suo pubblico, ma ce l’ha perché racconta di un viaggio, di un mistero, tra cunnilingus e un dito medio alzato ai conservatori.(…)
Privarsi di parte della propria identità non deve essere un lavoro facile. Lo sanno bene i fratelli Coen, dal 2018 separati in casa e ad oggi (notizie di gennaio) al lavoro per una reunion che li dovrebbe portare addirittura nel genere horror, a più di quarant’anni da quando aiutarono l’amico Sam Raimi a realizzare La Casa. E mentre Joel ha provato a sbancare da solo con uno dei Macbeth più opachi della storia del cinema, Ethan ha prima realizzato un documentario sulla vita di Jerry Lee Lewis ed è infine tornato alla fiction con Drive-Away Dolls. Un film che rappresenta un primo riavvicinamento a quel cinema così unico nella sua postmodernità da diventare addirittura classico. Ma che è anche l’inizio di un percorso che Coen e la moglie Tricia Cooke vogliono trasformare in una cosiddetta “trilogia queer”, con già il secondo lavoro in cantiere con il titolo Honey Don’t!. Elemento di continuità una Margaret Qualley che, dalla hippie di Manson in C’era una volta a…Hollywood, ha conquistato tutti con la sua presenza scenica.Anche perché effettivamente la nostra mistress in Sanctuary rappresenta il volto perfetto, con il suo fisico androgino e la sua capacità di abbandonarsi pienamente anche ad un registro più brillante.
La coppia che forma con Geraldine Viswanathan è senza dubbio il punto di forza del film. Jamie e Marian, appunto: due ragazze omosessuali che decidono di affrontare un viaggio da Philadelphia a Tallahassee per staccare e dimenticare le rispettive delusioni personali. Il metodo è quello del drive-away, ossia prendere l’auto di qualcun altro gratuitamente con il solo obbligo di portarla il più velocemente possibile da un punto A ad un punto B. Il problema, che poi è il nodo del film, è che le due amiche finiscono per prendere la macchina sbagliata, con dentro qualcosa di preziosissimo per persone senza scrupoli. Avrete già riconosciuto elementi familiari alla filmografia coeniana: innanzitutto, il pretesto noir visto e rivisto della persona comune catapultata in una storia più grande. La stessa custodia, ossia la valigetta dove è chiuso “il tesoro”, è un altro oggetto ricorrente, insieme anche agli echi psichedelici che rendono Il Grande Lebowski uno dei rimandi più naturali a cui pensare. Gli stessi personaggi di contorno, tra il debole e l’inetto, rappresentano una fauna perfettamente mescolabile a quella del passato. Su tutti, una coppia di scagnozzi che non possono non ricordare, al netto di evidenti differenze, quelli di Peter Stormare e Steve Buscemi in Fargo.
Ma se Drive-Away Dolls fosse stato solo un continuo revival di un cinema che difficilmente raggiungerà ancora quelle vette, non ci saremmo certamente scomodati a promuoverlo. A dare sprint alla pellicola è un tipo di ironia meno cerebrale e, soprattutto, una “pennellata di sesso” capace di rendere il film una intelligente e saffica dark comedy. Come poche ce ne sono, è bene sottolinearlo, nell’attuale produzione a tema. C’è la nudità e c’è il sesso, senza però la pretesa di voler andare troppo oltre per semplice posa. Insomma, un’aggiunta leggera e sincera ad un impianto narrativo che altrimenti saprebbe troppo di “Coen” e fuori tempo massimo. La stessa levità con cui ci si avvia alla conclusione e verso un “boss finale” pronto ad essere smitizzato e de-classicizzato come tutta la vicenda. C’è spazio solo per le adorabili Jamie e Marian, due ragazze alla ricerca della vita e di ciò che può donare loro. E questa cosa arriva, insieme a Billy Wilder, in un’inquadratura fin troppo inequivocabile per non essere un omaggio.