Maria Sole Tognazzi
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Attività
Presentazione e critica
Un film che mette una o più donne al centro del racconto, e che in più è diretto da una regista, non è necessariamente un film “al femminile”, anche se è ispirato al romanzo di una scrittrice, la protagonista è una donna e a scrivere il copione ci ha pensato una sceneggiatrice. Forse sarebbe più corretto usare l’aggettivo “femminista”, ma Dieci minuti in realtà non è femminista, pur rivendicando il diritto dei personaggi femminili di occupare la ribalta, relegando i personaggi maschili sullo sfondo. Però questi personaggi maschili, che attraversano la vita di una donna in crisi di nome Bianca, non hanno una connotazione negativa ma una fragilità che finalmente gli uomini sembrano aver volentieri sposato anche nella vita reale, ad esempio quando non si sentono bene, quando perdono il lavoro, quando si tratta di mettere la parola fine a un matrimonio. Da donna che è stata aiuto regista solo di filmmaker uomini, e che ha girato un film intitolato L’uomo che ama, la piccola di casa Tognazzi racconta sì la vicenda di Bianca, che è distrutta dalla sofferenza, ma si augura che il suo percorso di guarigione possa aiutare i bambini, i ragazzi, i mariti, i fidanzati, i padri e i nonni a capire cosa succede nel cuore di una donna che sperimenta l’abbandono e il senso di perdita, che poi sono cose che prescindono dal genere.(…)
(…) Non c’è giudizio in Dieci minuti, nessuno ha completamente torto o del tutto ragione, ad eccezione della dottoressa Brabanti interpretata magistralmente da Margherita Buy, ormai attrice-feticcio di Maria Sole Tognazzi. Alla regista non interessa mettere i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, ma avvicinarsi il più possibile al disagio esistenziale di Bianca per poi soffermarsi sui suoi tentativi di uscire dalla sua comfort zone. Bianca si fa dipingere le unghie di nero, fa l’autostop, va a un funerale, e in questo fronteggiare piccole e grandi paure, per la prima volta “vede” gli altri, senza idealizzarli né sminuirli né tantomeno paragonarsi a loro. Aiutandoli, si sente meglio, come accade a molti di noi dopo una buona azione. Contemplando e accettando la varietà e la diversità, Bianca cambia l’ordine delle proprie priorità, incamminandosi per un sentiero a volte in salita e accidentato ma che porta a un nuovo sé. C’è un altro tema molto interessante in Dieci Minuti: la capacità di una mente creativa di inventarsi una realtà immaginaria che sarà sempre migliore della vita vera. È una qualità che comporta dei rischi e delle delusioni, perché il paragone fra l’esistenza che si conduce e quella che si desidera condurre può davvero portare alla frustrazione e a un profondo senso di sconfitta. E infatti Bianca è scrittrice e quindi immagina per mestiere, e attraverso la sua vicenda Maria Sole Tognazzi parla anche dello scollamento dalla quotidianità dell’artista, che corre il rischio di tramutare la sua unicità in egocentrismo.
In questo senso la scelta di Barbara Ronchi come interprete principale è giustissima, perché con i suoi occhioni azzurri e lo sguardo impaurito, con il suo pianto che quasi diventa pigolio sommesso, l’attrice non rende Bianca una ragazzina egoriferita ma un enigma, un mistero da svelare piano piano. Non a caso Dieci minuti ha anche un elemento thriller, nel senso che ciò che la protagonista ha vissuto lo si capisce solo grazie a dei flashback. Il tempo del film non è lineare, e così ogni personaggio può essere una cosa e il suo contrario, e quindi vittima e carnefice, traditore e tradito. Senza una signora sceneggiatura ciò non sarebbe stato possibile, e a una scrittura raffinata corrisponde una messa in scena molto precisa e molto curata, mai sontuosa e artificiale ma comunque elegante. Ed elegante è anche l’ottima idea di non sdrammatizzare i momenti dolorosi con battute o gaffe, anche se la leggerezza di cui parlava la Gamberale fa capolino di tanto in tanto.
Infine in Dieci minuti c’è il tema della sorellanza, stavolta reale. Nella vita di Bianca irrompe sua sorella Jasmine, che rappresenta un altro modo di essere donna, o meglio la donna che un po’ tutte dovremmo essere: libera e nello stesso tempo generosa, diretta ma anche protettiva, e certamente in grado di non farsi condizionare dal giudizio altrui. Per trasformarci in lei, prima dobbiamo dichiararci disposte a mettere ogni cosa in discussione e soprattutto a prenderci il permesso di aprire la porta al dolore, perché senza dolore non può esistere una rinascita.
In uno dei momenti più critici del suo disagio esistenziale Bianca (Barbara Ronchi) si sente rivolgere una frase che le suona come una rivelazione. All’apparenza banale e un po’ scontata la presa di coscienza che la solitudine non appartenga solo a lei, ma che sia qualcosa che accomuna l’intero genere umano non è solo un punto di svolta narrativo del film e, in particolare, del percorso di consapevolezza intrapreso dalla protagonista per reagire alla paura di vivere, ma riguarda anche una delle caratteristiche più lampanti del nuovo lungometraggio di Maria Sole Tognazzi, quella di parlare di un sentimento umano che tutti prima o poi ci siamo trovati a sperimentare. Che poi “Dieci minuti” decida di declinarne le conseguenze prendendo in esame per la quasi totalità figure femminili non esenta la controparte da speciale immunità se è vero che pur addebitando il tracollo della protagonista all’abbandono da parte del proprio partner, il film evita l’alzata di scudi contro la categoria maschile e dunque la litania di cliché e stereotipi a cui ci ha abituato il cinema del #MeToo, presentandoci un quadro piuttosto variegato di torti e di ragioni equamente distribuiti tra le parti in causa.
Ma c’è di più perchè prendendo in prestito il metodo curativo della dottoressa Brabanti (Margherita Buy), la psicoterapeuta da cui Bianca è in cura, Dieci minuti evita di piangersi troppo addosso preferendo l’azione alla commiserazione. Così succede che, pur non lesinando la dose di dolore e di apatia che accompagna le giornate della protagonista, mostrandoci anche in flashback le varie fasi del suo calvario, a fare da motore alla storia è la pars construens della vicenda, quella della politica dei piccoli passi in cui la “paziente” in prima persona – e senza scuse – si fa garante della propria guarigione.
Nella sceneggiatura scritta dalla Tognazzi assieme a Francesca Archibugi e ispirata al libro – “Per dieci minuti” – di Chiara Gamberale, la ricetta salvifica assume le forme a cui alludono i dieci minuti del titolo, con la serie di esperienze “iniziatiche”, brevi ma intense, fatte apposta per abituare Bianca a uscire fuori dalla propria confort zone, permettendole di guardare in faccia i fantasmi che le condizionano la vita.
Fedele alla matrice intimista del suo cinema, Maria Sole Tognazzi ancora una volta mette in scena una metamorfosi femminile tormentata e dolorosa in cui la rinuncia alle certezze del quotidiano diventano il modo per abbracciare la libertà di una nuova vita. Dieci minuti non fa deroghe, suggellando la rinascita personale della sua protagonista attraverso una sequenza – quella della panoramica conclusiva che ci mostra Bianca tuffarsi nel mare e prendere il largo – in cui l’eccezionalità della ripresa (rispetto alla scelta di utilizzare campi limitati in coerenza con le chiusure psicologiche della protagonista) fa il paio con la valenza metaforica della scena.(…)