Michele Vannucci
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Attività
Presentazione e critica
Tra Ferrara e Rovigo, tra le acque e le nebbie, un gruppo di bracconieri venuti dalla Romania si dedica alla pesca illegale. Tra loro c’è Elia, un uomo del posto che se ne era andato anni prima. Il suo cammino incrocia ben presto quello di Osso, un volontario che assieme alla sorella e alla sua associazione si occupa di difendere l’ecosistema locale. Tra impegno e sopravvivenza, i bracconieri e i volontari si affrontano, mentre di mezzo ci va anche l’ex di Osso, Anna, che si avvicina a Elia. Altro giro e altra corsa per l’universo in fortissima espansione di Groenlandia, la factory di Matteo Rovere che ormai produce per il cinema e per la TV anche a livello internazionale. Delta, seconda regia di Michele Vannucci dopo il buon esordio di Il più grande sogno, è un’espressione della “core mission” di Groenlandia, quella che immagina un cinema di genere italiano che sa interpretare il paese e il territorio in tutta la sua specificità.
Come già ne La terra dei figli, stavolta il luogo prescelto è alla fine della pianura padana, tra i tortuosi flussi d’acqua del delta del Po. Un mondo uggioso, popolare, fatto di povertà ma anche di attaccamento identitario alla tradizione del luogo. La legge è inefficace, il che contribuisce a creare un clima da neo-western dove ci si scontra direttamente, senza il tramite del sistema. Oltre ad evocare un ottimo senso dell’ambiente, e a legare la storia a circostanze specifiche della vita reale, il merito più grande del film è di creare due personaggi principali opposti ma di uguale statura, senza buoni e cattivi ma semplicemente prodotti delle rispettive esperienze.
Se Borghi – che di Groenlandia è uno dei volti fissi – propone ancora una volta un personaggio burbero al limite dell’animalesco, è Lo Cascio a raccogliere i meriti di un’operazione cinematografica di questo tipo con un ruolo per lui inedito, che parte da alcuni suoi tratti classici più riflessivi per poi spingerlo fino al limite.
Cinema dai mezzi imponenti e dagli ottimi risultati tecnici, che racconta storie del paese attraverso i codici intensi del thriller e dell’action: la formula di Groenlandia, a cui Rovere diede il via con Il primo re, trova un’altra applicazione encomiabile (…).
Lo stesso regista definisce Delta un western italiano, perché si tratta prima di tutto una storia di frontiera. Con una regia decisa e allo stesso tempo piena di virtuosismo, Michele Vannucci dà vita a un duello avvolto dalle nebbie del Po, uno scontro all’ultimo sangue dove, nonostante solo uno esce vincitore, non c’è una vera vittoria. Non ci sono eroi così come non ci sono cattivi: ci sono solo le tante sfumature della vita, le strade sbagliate e quelle giuste, gli errori che possono costare la vita. Grazie anche a delle scelte registiche che raccontano, per rimandi e bellissime immagini, il territorio del Delta e tutte le sue contraddizioni, si ricostruisce piano piano la storia di un intero popolo.
Nel suo essere un dramma di frontiera, Delta si carica di storia e di significato. Le prove attoriali di Borghi e Lo Cascio sono il tramite attraverso cui Vannucci riesce a raccontare come diverse persone e diverse culture vivano in modo diverso il fiume e il rapporto con questo. Nel freddo inverno del Nord le emozioni perdono qualsiasi freno e corrono libere ad esprimere tutta loro potenza.
Il Delta di Vannucci (già in concorso a Locarno 2022) è un cuore di tenebra cupo e primordiale, fangoso ed esplosivo, labirintico e sanguinolento. L’osservazione del reale, già cifra stilistica de Il più grande sogno (sempre Borghi protagonista), qui rimane come ordito per cucire un neo-western “fluviale” (regista dixit) sulle palafitte scricchiolanti di una natura inconoscibile e selvaggia. Dal genere, infatti, il regista recupera il corollario di passioni elementari: amore, odio, vendetta. Argilla narrativa che forgia le sfumature e le ragioni dei due duellanti. Borghi rispolvera i panni del villain ingrugnito e luciferino con una recitazione più corporale che verbale, tra un primissimo piano (leoniano) e una angosciosa camera a spalla. Lo Cascio, invece, incarna un personaggio passatista di sapore scespiriano costretto, oltre l’istinto di conservazione, a una parabola discendente (simil The Bad Guy) senza ritorno: dalla legge di Stato alla legge del taglione. Dal diritto al fucile.
Spigliatezza e capacità di slargare i confini del nostro immaginario cinematografico (parole d’ordine in casa Groenlandia, qui in produzione con Kino e Rai Cinema), unite a una messinscena doviziosa a braccetto con le immagini d’archivio. Tra fiction e documentazione, tra proiettili e batticuori, tra piani sequenza intensivi e dronate stemperanti, Delta, con un budget non faraonico, riesce a tenere insieme narratività del reale, denuncia sociale, radiografia ambientalista del paesaggio e antropologia di una comunità ancora ostile e xenofoba.
(…) Si vedono abbastanza bene le origini da documentarista di Michele Vannucci in questo Delta, origini che si esplicitano nello sguardo su un territorio che diviene parte integrante della costruzione drammatica: più che sfondo elemento significativo, e dal forte valore simbolico, dell’atmosfera e dello svolgimento stesso della storia. L’onnipresente nebbia dell’ambientazione, la fotografia dal taglio naturalista, l’insistenza su una wilderness che pare esprimere plasticamente le pulsioni che muovono la storia: il tutto va a comporre una sorta di cupo neo-western, che del western ha il passo e la filosofia di base (lo scontro per il territorio, la frontiera come simbolo anche ideale del confronto tra gruppi umani) compensate però dalla sostanziale assenza di manicheismo. Tutta la parte introduttiva del film di Vannucci, infatti, presenta in modo sostanzialmente neutro le due comunità, mettendone in luce le diverse ragioni: lo fa illuminando da un lato le ombre, le meschinità e le connivenze che si annidano nel gruppo di Osso, e dall’altro il disperato bisogno di sopravvivenza di quello di Elia. Una dialettica in cui presto i fantasmi personali si sovrapporranno alle istanze ideali, e il desiderio di vendetta si confonderà con quello di giustizia.
L’ottima confezione di Delta testimonia una volta di più il taglio produttivo dei lavori della Groenlandia di Matteo Rovere, all’insegna di un ricercato appeal internazionale e di un’attenzione ai contenuti che va di pari passo a quella alla fruibilità per un target più ampio possibile; lo sguardo antropologico alla base del film si contamina quindi, fin da subito, con un’impostazione fortemente improntata al genere, espressa soprattutto sul confronto a distanza (e poi ravvicinato) tra i due protagonisti interpretati – ottimamente – da Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio. Se il primo, reduce da Le otto montagne, è avvezzo alla ruvidezza di ruoli simili – dando vita a un personaggio ben delineato quanto, in fondo, prevedibile nel misto di istintualità e laconica malinconia che incarna – la costruzione del ranger ambientalista interpretato da Lo Cascio sorprende e spiazza forse ancora di più; una sorpresa che consiste soprattutto nella credibile rappresentazione della progressiva perdita di razionalità, e di contatto coi propri valori, di un uomo che – per come la sceneggiatura lo presenta fin dall’inizio – è quello con cui lo spettatore è portato da subito a empatizzare maggiormente. Un’empatia che tuttavia assume presto caratteri problematici, parallelamente allo svelamento di un mondo in cui le pulsioni più oscure (per tutti) possono avere la meglio da un momento all’altro.
Perennemente immerso in un grigio spettrale quanto accattivante, rappresentazione di una nebbia che copre l’animo dei protagonisti (e della loro stessa natura divisa) Delta è dapprima un dramma e uno spaccato antropologico, poi un western dal taglio thriller, per toccare alla fine il filone del revenge movie. La regia di Vannucci è avvolgente, magnetica, ricca di stile, capace di valorizzare tanto il paesaggio quanto il dramma – esteriore e interiore – dei due protagonisti; il limite del film risiede piuttosto in una definizione un po’ sommaria delle figure di contorno, tra cui citeremmo per esempio il personaggio del barista – funzionale solo all’avanzamento della trama – e soprattutto le due importanti figure femminili (…).