Edoardo De Angelis
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
1940, Seconda Guerra Mondiale. Salvatore Todaro è un comandante della Marina Militare con un destino inscritto nel nome, a capo del sommergibile Cappellini nonostante un incidente gli abbia provocato forti dolori alla schiena che lo autorizzerebbero ad accettare la pensione di invalidità (come la moglie Rina, stanca di saperlo lontano e in pericolo, vorrebbe che facesse). Ma il comandante Todaro non sa stare lontano dai flutti. Durante la sua ennesima missione avvista una nave belga che, malgrado il Belgio sia formalmente neutrale, attacca il sommergibile italiano. Il comandante e la sua squadra rispondono al fuoco e affondano la nave. Ma Todaro decide di mettere in salvo i naufraghi, agganciandoli al suo sommergibile per trascinarli verso il porto neutrale e sicuro di Santa Maria delle Azzorre, e accettando il rischio di navigare in emersione fino a destinazione: perché la legge del mare per lui conta di più della legge della guerra.
Comandante è un film altamente testosteronico e profondamente patriottico, che lavora a ridefinire (o a riportare alla memoria collettiva) il senso di una virilità consapevole e di un carattere nazionale realmente eroico. Il racconto che Edoardo De Angelis, regista e cosceneggiatore insieme allo scrittore Sandro Veronesi, fa di questo episodio di storia vera e di questa figura di militare sui generis si pone in controtendenza rispetto ai sovranismi basati sulla prevaricazione, rivendicando il valore del soccorso come fondante dell’identità italiana.
Anche l’accento sulla composizione variegata della sua compagine, riflessa nei tanti accenti regionali dei personaggi, rimanda all’intenzione educativa del libro “Cuore”, che identificava l’unità nazionale in una collettività di provenienze, ognuna con il proprio portato. De Angelis si butta in questa avventura con sprezzo del pericolo e un pizzico di follia, anche produttiva (una cordata che fa il paio con la ciurma del Cappellini), utilizzando effetti speciali da kolossal d’oltreoceano, ma mantenendo una dimensione artigianale e un senso pittorico tutti italiani. Pierfrancesco Favino resta saldamente alla guida di una storia a tratti didascalica e altisonante, il cui potenziale “cringe” è a volte notevole, in quest’epoca di cinismi e disillusioni. E naturalmente Comandante è ad alto rischio di vedersi accomunato alla retorica più superficiale intorno al nazionalismo, quando invece è un cavallo di Troia, poiché il messaggio contenuto nella sua confezione da kolossal bellico, e certe dichiarazioni, si muovono in direzione ostinata e contraria.
La fotografia, del consueto sodale Ferran Paredes Rubio, ricorda U-Boot 96 di Petersen ma anche il Querelle de Brest di Fassbinder, perché Todaro è soggetto a visioni fantasmagoriche che alludono alla sua capacità di ragionare sul lungo termine, non solo sull’emergenza momentanea, come da abitudine contemporanea. “Non si può mai sapere”, cautela Todaro i suoi uomini, ma lui sa presagire (di qui il soprannome da “stregone”), e agire di conseguenza. C’è anche un incipit che ricorda Allied di Zemeckis, di cui De Angelis mantiene l’equilibrio fra concretezza bellica e realismo magico. Lo spazio angusto del sommergibile impone una recitazione teatrale, ma il confronto con il mare richiede una regia inequivocabilmente cinematografica, e De Angelis gestisce questa alternanza con qualche “transiente aperiodico”.
Comandante racconta il coraggio come il superamento di una paura lecita, l’alternarsi di ognuno di noi fra il desiderio di nascondersi e quello di essere visti, e l’amore per un Paese “meraviglioso e putrido” di cui riconosce le contraddizioni, ma legittima solo la capacità di pietas. Todaro ne emerge come un morituro che conosce il valore della responsabilità personale e “distribuisce equamente i sacrifici”, invitando i suoi uomini a rimanere tali, come fanno i (veri) marinai. Il che in buona parte giustifica una messa in scena sopra le righe e molte declamazioni altisonanti, perché non si può fare una frittata senza rompere le uova, o un film ambientato nella Seconda Guerra Mondiale depurandolo dall’enfasi e dalla magniloquenza di cui quella guerra, come ogni guerra, è (purtroppo) imbevuta.
“Noi il ferro del nemico lo affondiamo, ma gli uomini li salviamo”.
Sembra una banalità, ma in tempi di guerra un’azione simile è destinata a cambiare determinati parametri, a rimarcare quanto la legge del mare non possa sottostare alle leggi del conflitto.
Per il suo quinto lungometraggio Edoardo De Angelis abbandona il campo d’azione abituale (il territorio partenopeo che abitava e caratterizzava Mozzarella Stories, Perez, Indivisibili e Il vizio della speranza) e si getta in acque finora inesplorate con Comandante, quasi kolossal da una quindicina di milioni di budget che riporta a galla le gesta di Salvatore Todaro, pluridecorato militare italiano passato alla storia per aver tratto in salvo, nell’ottobre del 1940, 26 naufraghi belgi nelle acque dell’Atlantico.
Per la prima volta in concorso a Venezia – il film inaugura questa 80ma edizione della Mostra – De Angelis porta sullo schermo uno script firmato insieme a Sandro Veronesi (dal quale è tratto l’omonimo romanzo edito da Bompiani) e costruisce insieme a Pierfrancesco Favino – ennesimo, nuovo intercalare per la sua recitazione (il veneto stavolta) – la versione cinematografica di un uomo realmente esistito, autore di un gesto che in tempi come i nostri (la guerra russo-ucraina, che il film sottolinea con l’esergo iniziale, o le innumerevoli tragedie che ancora tingono di sangue i mari con le morti dei migranti) rimbomba e non può lasciare indifferenti.
Il cuore e lo stomaco dell’opera sono da rinvenire ovviamente nel sommergibile Cappellini della Regia Marina che il Comandante governa durante la seconda guerra mondiale: un “pesce di ferro” che si nasconde negli abissi, che di tanto in tanto riemerge, all’interno del quale uomini provenienti da qualsiasi parte del paese formano un corpo unico. Cameratismo e onore, certo, che trovano nel rispetto incondizionato verso Todaro – uomo capace di guardare oltre, come quando decide di lasciare a terra un marinaio e questi tre giorni dopo viene operato d’urgenza per peritonite – l’ulteriore tassello per mettere da parte eventuali incomprensioni o tensioni date dalle differenze di provenienza territoriale o dalla situazione di cattività in cui questo equipaggio si ritroverà dopo lunghi giorni di navigazione.
De Angelis sa sfruttare molto bene alcune caratterizzazioni, partendo dal sodale Massimiliano Rossi qui impiegato come secondo/aiutante del comandante, passando per il corallaro di Torre del Greco o il cuoco di bordo, interpretato da Giuseppe Brunetti, e affida ad immagini liriche-oniriche il gancio con la vita rimasta sulla terraferma, dapprima con quel prologo in cui accenna all’infortunio di Todaro (frattura della colonna vertebrale dovuta ad un inabissamento di un idrovolante) e alla moglie Rina che tenta di convincerlo a ritirarsi, poi con rimandi a queste immagini irreali di “felicità” domestica verso le quali l’uomo anela ma al tempo stesso rifugge in nome di un ideale immarcescibile.
“Non sono un fascista, sono un uomo di mare!”: è dunque questo il punto nodale intorno cui ruota il film del regista napoletano, che dimostra enorme coraggio e disinvoltura nell’alternare momenti epici, e bellici – come nella scena dell’attacco al Kabalo, il mercantile belga dal quale poi Todaro trarrà in salvo i naufraghi e per accoglierli a bordo è costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini – a situazioni “interne” meno spettacolari ma di forte tensione emotiva.