Antonio Albanese
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Chi custodisce i nostri tesori non sempre custodisce i nostri sogni. Se ne accorge suo malgrado Antonio, per una vita tornitore e operaio di un cantiere nautico, che finalmente sta per coronare il suo desiderio più grande: regalare il ricevimento di matrimonio alla sua unica, amatissima figlia, Emilia. Potendo contare sui risparmi di una vita, Antonio si ritrova però ben presto al cospetto di una situazione imprevista: la banca di cui è da sempre cliente sembra non navigare in ottime acque, i dipendenti sono sfuggenti e il direttore cambia inspiegabilmente di continuo. Dove sono finiti i suoi soldi? E con essi la possibilità di realizzare quel sogno di cui fantasticava con la figlia sin da quando era piccola?
Antonio Albanese torna alla regia di un lungometraggio (cinque anni dopo Contromano) con Cento domeniche, film che non tradisce l’urgenza dell’attore-regista brianzolo di portare sullo schermo una storia delicata e quanto mai dolorosa. È la storia – come da dedica finale – di tutte quelle centinaia di migliaia di persone che hanno perso i loro risparmi a seguito dei crac bancari: convinti di essere “semplici” risparmiatori si sono riscoperti invece azionisti di quelle stesse banche, avendo firmato a suo tempo contratti che venivano sottoposti in maniera sbrigativa e, soprattutto, in modo disonesto. “Per noi la banca era come un confessionale, ci siamo sempre fidati”, dirà Antonio in più di un’occasione: ecco, Cento domeniche (titolo che si riferisce al tempo speso da un suo concittadino per costruire la propria casa) si concentra sul cambio di prospettiva di un uomo dalla quotidianità normale, dalla vita mite e tranquilla, che gioca a bocce con gli amici, che si prende cura dell’anziana madre (Giulia Lazzarini, al solito encomiabile), costretto al pre-pensionamento ma non per questo restio a tornare a dare una mano in azienda, ancora in buoni rapporti con l’ex datore di lavoro, con l’ex moglie e amante notturno di una ricca signora (Sandra Toffolatti) sposata con un imprenditore che apre fabbriche in Romania (“per delocalizzare e poi vendere a un fondo, con gli operai che finiranno in fondo a un fondo…). Un uomo, Antonio, che dall’oggi al domani passa dalla gioia di vedere realizzato un sogno a nottate dove a regnare è invece l’insonnia (dal latino, insomnia, “senza sogni” …), che prima affrontava le giornate con il piglio e l’atteggiamento giusto e che ora, invece, non riesce a pensare ad altro, stretto nella morsa di una situazione apparentemente senza risoluzione. Albanese (che prima di trovare il successo in tv e a teatro è stato operaio per davvero) è come sempre, forse ancor più del solito, mosso da una sincerità cristallina (e la scelta di aver girato e ambientato il film nei suoi luoghi d’origine, Olginate, Lecco, Garlate e provincia non è affatto casuale): il film ne risente ovviamente in positivo ed è evidente che lo spirito dell’opera non è quello di chi cerca l’autorialità a discapito del contenuto.
E Cento domeniche, da questo punto di vista, va dritto al punto, in un crescendo che tramuta la commedia gentile dell’inizio ad angosciante tragedia che non può lasciare indifferenti.
Questo 2023 è l’anno degli esordi per figure di spicco del nostro cinema che hanno voluto fare il grande salto dietro la macchina da presa: (…) è un discorso che in qualche modo si presta anche per Antonio Albanese, di nuovo regista ma ancora più a fuoco nel ruolo e al servizio di una storia delicata, anche lui alla manifestazione della Capitale. Un lavoro sofferto, doloroso, che affronta un tema sentito e delicato che l’autore mette in scena con il giusto tono, il giusto rigore formale, senza particolari guizzi, ma neanche sbavature che possano sporcarne l’efficacia e la portata emotiva.
(…) Antonio Albanese non si limita solo a costruire il racconto e raccontarcelo con uno stile sobrio, asciutto, efficace, ma si carica sulle spalle il ruolo drammatico del protagonista, uomo comune, ex operaio come tanti, con sogni altrettanto semplici ma non per questo meno importanti. Un ruolo delicato che l’attore incarna senza lasciarsi andare a eccessi, senza steccare il tono del racconto e mettendosi al servizio della storia, della sua nuova storia da regista con la giusta umiltà e distanza. Non è un film che ha particolari guizzi nella costruzione del racconto e della messa in scena, è vero, ma è altrettanto evidente che l’Antonio Albanese regista dimostri ancora una volta un occhio, uno sguardo capace di trasmettere sensazioni, emozioni e tematiche della storia che va a costruire. Lo fa da regista, lo fa da attore, riesce a ottenerlo dal resto del cast, tutto in parte e capace di trasmettere allo spettatore l’empatia necessaria a comunicare l’importanza del tema e delle sue ripercussioni sociali. È infatti importante il tema che la storia di Cento domeniche affronta, quello della crisi economica, dei crac bancari, della protezione dei risparmi che affidiamo alle banche e alle strutture preposte che possono approfittarsene o non salvaguardarli nel modo adeguato. Si parla di truffe, di raggiri, di gestione non trasparente della clientela e delle loro esigenze, di storie che fin troppo spesso abbiamo letto tra le notizie di cronaca. Per questo è un tema che tutti sentiamo caro e una storia che accogliamo con inevitabile sofferenza e partecipazione. Perché un po’ tutti noi ci sentiamo, chi più chi meno, nelle condizioni dell’Antonio interpretato da Albanese al cospetto di realtà che ci parlano di cose che possiamo non comprendere a fondo, alle quali non possiamo far altro che affidarci con un pizzico di incoscienza e con sofferta fiducia. Nella speranza, non sempre ripagata, che non sia malriposta.
(…) L’intento qui è raccontare un’Italia perbene in via di sparizione, preda delle spietate logiche del mercato e della spregiudicatezza degli istituti bancari, che fanno ruotare il personale nelle filiali locali affinché nessuno possa costruire un rapporto di fiducia con il cliente. Ed è proprio di fiducia che Cento domeniche parla: quella con cui Antonio mette in mano il suo futuro a persone che dovrebbero tutelare i suoi interessi, e non solo i propri. Perché le brave persone come lui appartengono ad un mondo antico in cui la solidarietà e l’aiuto reciproco erano moneta corrente, e la parola data era oro.
Nella prima parte del film quel mondo sembra ancora vivo: compagni della bocciofila, colleghi affettuosi, persino un datore di lavoro bonario che gli lascia in gestione un orto e un pollaio (dopo però averlo prepensionato per suo comodo). Ma a poco a poco quel mondo viene sostituito da personaggi che sembrano gli alieni di L’invasione degli ultracorpi, rotelle dell’ingranaggio più o meno consapevoli. Un ingranaggio che stritola gli indifesi – i pensionati, i giovani, le donne – lasciando “viaggiare” solo i pochi potenti.
Albanese come sempre è magistrale nell’incarnare l’uomo comune, quello che ci rimette perché è in buona fede, che mostra empatia e attenzione (spesso non reciprocata) verso gli altri. Nella prima parte i dialoghi sono eccezionalmente precisi e credibili, mentre diventano più forzati nella seconda parte, forse perché lì Albanese deve raccontare persone molto lontane da lui, e moralmente incomprensibili. Ma i suoi incontri con la madre, interpretata da una monumentale Giulia Lazzarini, sono pieni di verità e infine di strazio. Ed è straziante l’intera parabola di Antonio, prevedibile per tanti ma non per lui, che non reagisce con la dovuta tempestività semplicemente perché non può credere a quel sistema di (dis)valori così diverso dal proprio sentire, da ciò su cui ha basato la sua intera esistenza. E poi si ritrova a fare i conti con il senso di colpa e la vergogna per essere stato così ingenuo, così sprovveduto. Per non avere mai letto le clausole in piccolo, fidandosi delle strette di mano e di chi lo chiamava per nome.
Dal punto di vista della regia Cento domeniche (quelle in cui Antonio ha lavorato per tutta la vita) è convenzionale, quasi scolastico nelle transizioni fra un scena e l’altra, ma ha anche intuizioni bellissime e in qualche modo visionarie: la silhouette della madre di Antonio dietro la porta a vetri, la bambina che gioca a nascondino e gli fa segno di tacere. Al prossimo film speriamo che dia più ascolto a quelle intuizioni e si preoccupi di meno che tutto torni, soprattutto nel raccontare una storia in cui, per il protagonista, non torna proprio niente.