Cattiverie a domicilio

Thea Sharrock

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1922. Una cittadina affacciata sulla costa meridionale dell’Inghilterra è teatro di un farsesco e a tratti sinistro scandalo. Edith Swan, originaria del posto e profondamente conservatrice, e Rose Gooding, turbolenta immigrata irlandese, sono vicine di casa. Quando Edith e altri suoi concittadini iniziano a ricevere lettere oscene piene di scabrosità, i sospetti ricadono immediatamente su Rose. Le lettere anonime scatenano una protesta a livello nazionale che scaturisce in un processo. Saranno le donne – guidate dalla poliziotta Gladys Moss – a indagare sul crimine, sospettando che le cose potrebbero non essere come sembrano.
DATI TECNICI
Regia
Thea Sharrock
Interpreti
Olivia Colman, Jessie Buckley, Alisha Weir, Timothy Spall, Gemma Jones, Joanna Scanlan, Eileen Atkins, Lolly Adefope, Hugh Skinner, Anjana Vasan, Malachi Kirby
Durata
100 min.
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Jonny Sweet
Fotografia
Ben Davis
Montaggio
Melanie Oliver
Musiche
Isobel Waller-Bridge
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Regno Unito
Anno
2023

Presentazione e critica

Nel 1922 a Littlehampton la routine di una piccola cittadina viene sconvolta da una serie di lettere anonime oscene e cariche di insulti, indirizzate a Edith Swan. È una donna devota, cristiana, la sua fama di rettitudine e impeccabilità morale la precede. Tutto il contrario della sua vicina di casa Rose Gooding, immigrata irlandese vivace, ribelle e anticonformista. Sarà lei la prima sospettata, e subito arrestata, come autrice delle anonime missive. Sarà vero? A fare luce sulla vicenda, una giovane poliziotta poco rispettata, che insieme alle donne di quartiere si impegnerà a scoprire la verità. Fare commedia in modo arguto, sottile, raffinato, è arte sempre più rara. Appartiene di sicuro alla penna di Johnny Sweet e alla maestria registica di Thea Sharrock, che firmano un’opera deliziosa, scorretta e imperdibile.

Al centro c’è un mistero da risolvere: lettere oscene piene di insulti dal mittente sconosciuto. Siamo nel primo ventennio del Novecento, le donne non sono ben viste in società, e Sharrock ne sottolinea con amara ironia a più riprese la realtà ingiustamente subalterna. A partire dalla protagonista Edith Swan, che vive nella pia devozione cristiana ed è del tutto sottomessa ai voleri e alle isterie del padre/patriarca.

Due personaggi drammatici, resi più interessanti che mai non solo dall’abile scrittura, ma anche dalle titaniche performance degli attori Timothy Spall e Olivia Colman. Quest’ultima offre l’ennesima prova d’attrice maiuscola, riuscendo perfettamente a calarsi nei panni di una donna repressa, che trova una via di sfogo nell’amicizia inattesa con la vicina Rose Gooding. Rose è un personaggio-chiave, rappresenta la forza vitale che viene da fuori, un’immigrata irlandese con tanto di figlia al seguito, sboccata, anticonformista, ribelle, pronta a scoccare freccette sulla testa degli uomini, non certo a farsi comandare da loro.

Anche Jessie Buckley sfoggia una memorabile abilità recitativa, è perfetta nel dare corpo e grinta alla vera “outsider” della storia, una donna moderna, imperfetta, ritenuta “sbagliata” da tutti, eppure profondamente autentica. Il suo modo di vivere decisamente agli antipodi dell’apparente rettitudine di Edith insospettisce, tuttavia, il padre di quest’ultima, che la ritiene colpevole delle anonime sconce missive che gli arrivano in casa. Il sospetto diventa automaticamente accusa ed Edith viene incarcerata.

Qui la commedia si mischia prima con la “detection”, poi con il “legal movie” quando Rose dovrà affrontare il processo. Scene drammatiche si alternano a continui spunti di leggerezza, cesellati di ironia pungente e scorretta. Nel mirino della sceneggiatura c’è soprattutto l’ottusità e l’arroganza degli uomini del tempo, determinati a considerare le donne “di serie b”, mortificandone aspirazioni e talenti.

Succede anche alla poliziotta Gladys Moss (un’eccellente, anche qui, Anjana Vasan dallo sguardo più che espressivo), che ha nel sangue il dna del detective e si mette a indagare sul caso, per quanto il suo superiore glielo abbia vietato. In quanto donna non solo non può fare indagini, ma non può neanche avere figli o sposarsi. L’ironia con cui Sharrock porta sullo schermo tutta questa narrazione è feroce e politicamente scorretta, ma soprattutto colpisce tutte e tutti indiscriminatamente: anche le manie delle donne vengono messe alla berlina, dall’irascibilità di Rose al bigottismo di Edith, passando per le loro – indimenticabili – vicine di quartiere, tra cui c’è chi che senza mangiare uova non sa stare. A tutto questo si aggiunge l’umorismo marcato, e amaro al tempo stesso, con cui si affronta in maniera narrativamente ammirevole il fenomeno contemporaneo degli “haters”, attraverso questa storia “più che vera” (avvertono i titoli di testa).

L’insulto anonimo selvaggio nasce – come il film non cessa di mostrare – dalla repressione, dalla violenza psicologica domestica, dalla reclusione. E anche un po’ dall’invidia verso chi ha la volontà e la possibilità di vivere una vita libera, lontana dalle imposizioni.

 

Mymovies

La storia è vera, nomi compresi, così come l’epilogo raccontato da Sharrock, regista soprattutto teatrale, conosciuta sul grande schermo per Io prima di te (2016). Tra il caso sensazionalistico, che arrivò fino ai giornali londinesi, e la conclusione del processo c’è però una densa e divertente ricostruzione di dialoghi, situazioni e relazioni umane che prende forma nel binomio Colman-Buckley. Uno scontro spesso teatrale, nel senso più scenografico del termine, limitato a pochi luoghi, spesso chiusi come il cortile di casa o l’aula del tribunale. Spazi ristretti che enfatizzano l’emozione in scena.

Sul grande schermo le aveva già portate, insieme, Maggie Gyllenhaall con La figlia oscura, nello stesso ruolo della protagonista, in età diverse. Si era notata già in quell’occasione la sensibilità che le lega, che permette a una di specchiarsi nell’altra. Se Gyllenhaall l’ha fatto con un dramma claustrofobico, Sharrock ne sfrutta invece la vena comica. Il viso trasformista di Olivia Colman, a tratti durissimo e a tratti il più dolce e indifeso mai visto, si adatta bene al carattere della sua Edith Swan. Una donna matura, educata dai genitori come una serva, obbediente e repressa. La cattiveria meschina (richiamata anche nel titolo originale, Wicked Little Letters) le attraversa lo sguardo in un lampo e si camuffa facilmente dietro strati di maschere e apparenze.

Improperi, parolacce e insulti a sfondo sessuale strappano così più di una lecita risata, soprattutto grazie al contrasto e alla distanza che Colman riesce a creare fra sé e il personaggio.

Trasparente, schietta e libera, la Rose Gooding di Jessie Buckley non è mai, invece, la cattiva della storia. Il pubblico si schiera dalla sua parte fin dal primo minuto, trasformando il suo arco narrativo in qualcosa di più della ricerca del colpevole in tribunale. È una giustizia molto più profonda, quella che insegue Rose. Per se stessa e per le donne come lei. Emarginata in Irlanda, guardata con sospetto in Inghilterra, Rose rifiuta lo sguardo e il controllo maschile, che sia di un padre, di un marito o di un agente di polizia. Le uniche persone in cui ripone fiducia sono il compagno, che la tratta da sua pari, e la sola donna nelle forze di polizia della città, Gladys Moss. Su Rose, Gladys e le abitanti di Littlehampton, che rifiutano di tornare in un angolo della società dopo le rivendicazioni del primo dopoguerra, si basa anche il messaggio sociale e più ampio di Cattiverie a domicilio. La sorellanza, intesa come collaborazione e riconoscimento reciproco del ruolo femminile nelle battaglie e nella quotidianità, è l’anima e lo scheletro del film.

Le piccole lettere meschine non sono che il pretesto per parlare di qualcosa di più, di una liberazione che, a ben vedere, investe in modi sorprendenti anche la più reticente delle anti-femministe. E il risultato è esilarante.

 

Hollywoodreporter